Isola, parlavano di “finocchi”, ma andavano a caccia di reperti archeologici

  • Postato il 12 dicembre 2025
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Isola, parlavano di “finocchi”, ma andavano a caccia di reperti archeologici

Il gergo di copertura dei trafficanti di reperti archeologici di Isola Capo Rizzuto, durante gli scavi illeciti parlavano di “finocchi”


ISOLA CAPO RIZZUTO – Nelle conversazioni intercettate parlavano di “finocchi”, “asparagi”, “motoseghe”. Ma quando dicevano di aver trovato un bel “caffè”, in realtà erano reperti archeologici. Il gergo di copertura dei tombaroli di Isola Capo Rizzuto è stato facilmente smascherato dai carabinieri del Gruppo Tutela Patrimonio culturale che monitoravano da tempo il presunto gruppo criminale. Un gruppo dedito a traffici di reperti trafugati dai siti archeologici di Capocolonna (Crotone), Scolacium (Roccelletta di Borgia), Kaulon (Monasterace) e collegato, secondo i pm della Dda di Catanzaro Silvia Peru ed Elio Romano, alla cosca Arena di Isola Capo Rizzuto.

L’interesse del clan per il settore archeologico era già emerso dall’inchiesta che, qualche anno fa, portò alla maxi operazione Jonny. In quel contesto emerse la figura di Vincenzo Godano, finito in carcere nella nuova operazione in quanto, insieme a Roberto Filoramo, è ritenuto tra gli organizzatori. Altri nove sono finiti agli arresti domiciliari, e tra loro ci sono anche due siciliani, gli altri sono tutti isolitani.

SCAVI ILLECITI A SCOLACIUM, KROTON E KAULON

Tutto nasce dalla denuncia di scavi clandestini nel parco archeologico di Scolacium (da qui il nome in codice per l’operazione, denominata Ghenos-Scylletium) fatta dalla direttrice del museo, Elisa Nisticò, e dall’assistente Domenico Procopio. Nel corso di un sopralluogo, nel novembre 2022, furono rilevate numerose buche e il conseguente danneggiamento di stratigrafie archeologiche. Dalle immagini della videosorveglianza sono poi emerse le attività del gruppo di tombaroli diretti dai due isolitani. La “squadra” è finita così sotto inchiesta.

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PANINI PER LE TRASFERTE

I carabinieri hanno monitorato perfino le soste nei supermercati vicini alle aree archeologiche depredate dove gli indagati si rifornivano di panini per le pause pranzo durante le loro “trasferte”. E sarebbe stata fatta luce anche sul saccheggio dei siti dell’antica Kroton e dell’antica Kaulon. Dicevano di “andare a giocare a pallone”. Ma in realtà stavano “scavando”, muniti di metal detector e cappellino. Spesso trovavano “cose belle, curiose, d’argento”. “

IL PLACET DELLA COSCA ARENA

“Dovete raccogliere tutto, 250 carte devono rientrare”. Affermazioni come queste sono rilevanti, dal punto di vista degli inquirenti. La gip distrettuale Roberta Cafiero, nell’analizzare la richiesta dei pm, non ha dubbi sulla natura associativa del sodalizio in quanto il materiale archeologico prelevato era destinato al mercato illecito.

Lo smercio di reperti avveniva col placet della cosca Arena. Sarebbe emerso che Godano era il fornitore di reperti di Francesco Arena, coinvolto nell’operazione Jonny e figlio di Carmine, il boss ucciso con un bazooka nel 2004. Inoltre, Filoramo, dopo la scarcerazione di Arena, si sarebbe proposto di andare da lui per rifornirlo di monete antiche. L’aggravante mafiosa viene contestata anche perché tra gli “scavatori” ci sarebbe Michele Nicoscia, esponente dell’omonima famiglia mafiosa attualmente alleata agli Arena.

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