Ionà dopo l’intimidazione: «Non la daremo vinta a questi criminali»
- Postato il 17 aprile 2025
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Ionà dopo l’intimidazione: «Non la daremo vinta a questi criminali»
L’intimidazione dell’8 aprile, il raid incendiario nella concessionaria di Campo Calabro, non ferma Emanuele Ionà che rilancia: «Non la daremo vinta a questi criminali»
Audi Zentrum Calabria s’affaccia sulla Statale dei due mari, nel territorio di Pianopoli, a pochi chilometri dall’istmo di Catanzaro, il punto più stretto d’Italia. È qui l’anima del gruppo Ionà Motori, concessionario di alcuni tra i marchi automobilistici più importanti del mondo: un giro d’affari da centocinquanta milioni di euro e centosettanta dipendenti. Otto filiali, di cui una di prossima apertura a Cosenza. Sedi a Lamezia Terme, Rende, Corigliano Rossano. E Reggio Calabria. Già, Reggio, Villa San Giovanni, la Concessionaria Bmw e Mini dal 2022, la stessa completamente distrutta da un raid incendiario dall’inconfondibile imprinting terroristico-mafioso consumatosi nella notte tra il 7 e l’8 aprile.
Emanuele Ionà, assieme alla sorella Vivienne, guida il gruppo fondato dal padre Luigi. Ci attende al piano superiore di una struttura architettonicamente avveniristica. Esce dal suo ufficio e ci viene incontro nel corridoio: l’aplomb è quello del capitano d’industria e non del padrone. Il personale è prevalentemente composto da giovani, che appaiono sereni e motivati, nient’affatto turbati dalla presenza del capo tra i piedi: brulicano, si danno da fare negli open space inframezzati da suggestive pareti a vetro; una bella immagine.
L’INTIMIDAZIONE: LA RABBIA, I DANNI E LA SOLIDARIETÀ A IONÀ
Emanuele Ionà – che è pure vice regionale di Forza Italia – è turbato, ma non piegato, né sconfitto. «Cosa ho provato? Rabbia, dispiacere, frustrazione, un dolore immenso», dice. Nella sua luminosa sala riunioni, dominata da un grande desk bianco, ritorna al mattino dopo l’attentato. «Il primo pensiero? Ho cercato di consolare tutte le persone che erano al mio fianco, la mia famiglia, i collaboratori, gli amici che sono accorsi. Poi, dopo qualche ora, subito, ho pensato solo alla ricostruzione». I danni sono ingenti: per calcolarli sono a lavoro i periti della Procura e quelli delle compagnie assicurative; non è affatto azzardato che la conta possa superare il milione di euro. Il patron del gruppo Ionà, d’altronde, è tutt’altro che propenso a vittimizzarsi o arrendersi: «La solidarietà è stata tanta, forte, a tratti anche commovente, e questo mi motiva a ripartire e raccontare la Calabria esattamente come lo abbiamo fatto fino a tre giorni fa, una terra in cui vivono persone perbene, che lavorano, che non si piegano e che non la daranno mai vinta a questi criminali».
IL RITORNO E IL SUCCESSO
Il suo legame con questa regione è viscerale. In fondo, quella della sua famiglia è una positiva storia di emigrazione di ritorno e successo. Il padre, Luigi, partì negli anni ’70, sgobbò al Nord, in Piemonte, poi rientrò nella terra natia e disegnò le fondamenta dell’impero che avrebbero poi costruito i suoi figli. «Se avessimo investito lontano qui? È una domanda che non mi sono mai posto, questa è la mia terra, è qui che voglio vivere ed è qui che spero possano restare i miei figli. Uno vuole fare il medico, l’altro non ha deciso… È ancora troppo piccolo».
DOPO L’INTIMIDAZIONE A RENDE, IONÀ COLPITO ANCHE A VILLA
Ragioniamo sull’attentato. Episodio analogo, anche se dai danni decisamente molto più contenuti, s’era registrato nella sede di Rende, il 16 agosto del 2022. L’emissario della mala incappucciato, quella notte, scavalcò la recinzione e sistemò un ordigno di medio potenziale che esplose danneggiando una robusta vetrata, che però salvò le automobili in esposizione. Scena analoga è stata ripresa allo scoccare dell’8 aprile dagli impianti di videosorveglianza nella sede di Villa San Giovanni: il balordo, stavolta, indossava un casco integrale. Atletico nel saltare le inferriate assieme a una tanica di carburante, pratico nel forzare con una leva e in pochi secondi le porte d’accesso, rapido nel cospargere il liquido e dare fuoco nello showroom e a dileguarsi in un attimo alla prima poderosa deflagrazione che ha devastato ogni cosa.
«MAI RICHIESTE ESTORSIVE»
Un attentato del genere, da quelle parti, se la ’ndrangheta non lo consente, è difficile possa consumarsi. «La stessa polizia, per l’efferatezza dell’episodio, è rimasta sbalordita e francamente – dice Emanuele – non riusciamo a darci una spiegazione. Il nostro gruppo nasce nella provincia di Catanzaro nel 2015 e si espande in tutta la regione progressivamente. In tutti questi anni noi non abbiamo mai avuto richieste estorsive, probabilmente per la grandezza dell’azienda o per il fatto che non c’è una proprietà giornalmente presente nelle varie sedi e quindi in qualche modo avvicinabile». Verosimilmente anche questa particolare fase storica ha offerto un poderoso deterrente alla criminalità organizzata, attraverso la micidiale azione delle Procure antimafia di Catanzaro e Reggio nell’ultimo decennio.
UN’ALTRA REGGIO
E allora? Come interpretare questo fragoroso attentato. «Non so davvero cosa pensare. Anzi – continua Ionà – quello che temevamo potesse essere il territorio più complicato, il Reggino, ci aveva davvero sorpreso, positivamente. Noi abbiamo fatto lì i primi investimenti nel 2018 e non abbiamo mai, mai, avuto alcun problema, almeno fino a tre giorni fa. E così ho sempre raccontato la provincia di Reggio Calabria diversamente da come veniva rappresentata dalle cronache. Io voglio pensare che sia ancora quella che vedevo prima dell’attentato perché è quella la realtà che voglio continuare a raccontare».
L’INTIMIDAZIONE A IONÀ E L’OMBRA DELLA ‘NDRANGHETA
La concessionaria distrutta dall’incendio ricade in un’area industriale che in pratica segna il confine fra tre Comuni: Villa San Giovanni, Campo Calabro e Reggio Calabria quartiere Catona, ognuna con i propri locali di ‘ndrangheta, tutti ricadenti nella sfera di influenza del Mandamento Centro e, soprattutto, delle grandi famiglie di Archi. Una realtà tutt’altro che immune alle turbolenze del feudo di Gallico, da tre lustri a questa parte segnato da un cruento regolamento di conti interno. L’attentato alla Calabria Motori segue di pochi giorni quello al Centro Colori Chirico, che tra l’1 e il 2 aprile scorsi ha subito due pesanti intimidazioni: prima colpi di pistola, poi un incendio. Il titolare è Giuseppe Paolo Chirico, figlio (incensurato) di Domenico Chirico, il presunto boss di Gallico assassinato nel 2010. Il colorificio e la concessionaria distano appena sette chilometri.
Il racket che rialza la testa dopo anni a subire retate e carcerazioni eccellenti? Attentati finalizzati a indurre le imprese a mettersi a posto e così finanziare i detenuti? E se invece il gruppo Ionà avesse turbato con la sua presenza gli affari di altri rivenditori legati alla malavita?
Emanuele appare sinceramente confuso davanti a questa ridda di ipotesi: «Le abbiamo pensate tutte senza riuscire a darci una risposta plausibile. Abbiamo perfino pensato alla ritorsione di qualche cliente insoddisfatto. Ciò che posso dire è che abbiamo offerto la massima collaborazione alla Polizia, nella quale riponiamo totale fiducia affinché si faccia luce su quanto avvenuto».
«LA NOSTRA CALABRIA»
E adesso cosa succede? «Si va avanti, più determinati e motivati di prima – conclude Emanuele Ionà – quello che è stato distrutto sarà ricostruito. Anzi, non vedo l’ora di riaprire. Perché noi vogliamo raccontare una Calabria bella, orgogliosa, che non si arrende. Perché solo così non la daremo vinta a questi criminali e solo così possiamo fare capire al mondo intero che la Calabria vera siamo noi e non i vigliacchi che pensano di spaventarci e farci del male».
Il Quotidiano del Sud.
Ionà dopo l’intimidazione: «Non la daremo vinta a questi criminali»