Il ruolo della cultura in un mondo in conflitto

Sono sempre più frequenti le notizie di artisti che, nel pieno rispetto della libertà di pensiero e di espressione, decidono di prendere una posizione chiara e netta sulle questioni politiche e belliche che stanno caratterizzando il nostro tempo. La maggior parte di tali posizioni riguarda, va detto, il conflitto israelo-palestinese, in merito al quale, recentemente, le opinioni si sono polarizzate intorno a due posizioni: da un lato coloro che, tra artisti e performer, credono che sia corretto avviare misure di boicottaggio nei riguardi di Israele; dall’altro coloro che, pur condividendo appieno la condanna nei confronti dello stato Israeliano, ritengono che assumere una posizione di questo tipo rifletta un atteggiamento divisivo, e che soprattutto vada a ledere quella porzione di popolazione israeliana che non appoggia le scelte adottate dal governo Netanyahu.  .

Le posizioni di artisti e performer sul conflitto israelo-palestinese

Queste posizioni, entrambe legittime, oltre a manifestare un bisogno diretto, sollevano un tema più generale, vale a dire il ruolo che la cultura può giocare all’interno di un mondo caratterizzato dal ritorno di conflitti bellici.
Se volgiamo lo sguardo al Novecento dei conflitti mondiali, la produzione artistica e culturale fu fortemente permeata dagli avvenimenti storici, basti pensare a movimenti come Futurismo e Dadaismo durante la Prima Guerra Mondiale; a capolavori come Guernica di Picasso o Il Grande Dittatore di Chaplin.
Più avanti, gli episodi della guerra in Vietnam e le critiche ad essa alimentarono e furono a loro volta alimentati da altri elementi di dissenso politico, e in quel caso fu soprattutto la musica ad avere un ruolo identitario decisivo.
A fronte di una produzione culturale importante, operava una stringente attività di censura: dalla letteratura alla musica, dal cinema alle arti visive e performative, ogni Stato ha tentato di plasmare le espressioni culturali secondo una logica propagandistica; oggi anche tramite una logica di finanziamenti ad artisti vicini ai valori che si intende propagandare.
Così come oggi, anche nel corso dei grandi conflitti del Novecento, sullo sfondo del dibattito tra censura ed espressione, tra protesta e adesione, c’erano uomini e donne che provavano a salvare opere d’arte, e testimonianze culturali di ogni sorta dalla distruzione della guerra: dagli atti eroici dei Monuments Men, ai salvataggi improvvisati da parte di coloro che ben conoscendo il ruolo della cultura per la nostra specie, hanno rischiato la vita trasportando manoscritti, opere, e qualsiasi altra produzione culturale presso rifugi sicuri dai bombardamenti.

esodo da gaza city
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Il ruolo della cultura nei conflitti? Offrire un nuovo punto di vista

Guardando a quelle esperienze, e paragonandole anche a quelle attuali, emerge che forse, il ruolo della cultura, sia quello di fornire punti di vista, e diffondere un modo di percepire differente da quello normalmente raccontato dalla cosiddetta maggioranza. Non solo una dimensione di protesta, ma anche la capacità di coinvolgere, rendere immediatamente percepibili delle sensazioni che, pur se assenti dal dibattito pubblico, possono essere molto più diffuse di quanto si creda.

Oggi gli artisti sono anche “influencer”

Probabilmente, una delle connessioni più forti degli ultimi anni è quella che ha legato il periodo di lockdown con l’esplosione della cosiddetta arte digitale: un’operazione non del tutto esente da interessi economici e finanziari, e probabilmente non del tutto estranea a logiche speculative, ma che può ben tradursi in una forma artistica che è emersa in risposta a quanto accadeva nel mondo. Concentrarsi su un boicottaggio, piuttosto che promuovere una nuova forma d’arte o un nuovo genere musicale, pare riflettere un nuovo ruolo della cultura all’interno della nostra società. Un ruolo di “influencer” più legato alla notorietà che alla capacità di trasmettere, attraverso la propria produzione culturale e artistica, delle sensibilità differenti. Un atteggiamento coerente con la storia recente che ha visto crescere l’influenza di musicisti all’interno delle intenzioni di voto: come dimostra la vicenda Trump-Taylor Swift in cui il Candidato Presidente degli Stati Uniti si è servito dell’intelligenza artificiale per realizzare un post di ringraziamento alla celebre musicista per un appoggio mai realmente ricevuto. Di certo non è la prima volta che le opinioni di persone celebri veicolano l’opinione pubblica. Rispetto al passato, però, non solo l’influenza è notevolmente aumentata, ma è cambiata anche la forma di tale influenza, che più che riguardare la dimensione culturale riguarda la dimensione delle opinioni personali.

Una riflessione sugli artisti tra notorietà e creatività

L’idea che ci siano degli artisti che utilizzino più la propria influenza pubblica che la propria produzione culturale per comunicare il proprio punto di vista e le proprie sensibilità, merita in ogni caso un approfondimento sistemico. Si tratta di un “ritardo” produttivo? Una sorta di tempo di latenza necessario a trasformare un evento nella sua rappresentazione? Si tratta di un ritardo derivante da una sensibilità più “intermediata”? Si tratta di una distinzione tra professione e vita privata? O si tratta di un risultato della strutturazione industriale delle varie industrie del contenuto, che renderebbero tali comparti meno permeabili alle innovazioni o in ogni caso più lente nel recepirle? O è la grande separazione degli interessi industriali da quelli culturali, che porta i primi a mantenere sempre una posizione neutra?
Pur essendo soltanto uno spunto minuscolo all’interno della miriade di fenomeni da comprendere, una riflessione su questo tema potrebbe stimolare una comprensione molto più profonda non solo del nostro sistema culturale, ma anche del ruolo che la cultura gioca all’interno della nostra vita.

Stefano Monti

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L’articolo "Il ruolo della cultura in un mondo in conflitto" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

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