Il ricercatore calabrese Francesco Pecora si aggiudica il Premio “Vincenzo Ferraro” 2025
- Postato il 1 novembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Il ricercatore calabrese Francesco Pecora si aggiudica il Premio “Vincenzo Ferraro” 2025

Il ricercatore calabrese Francesco Pecora si aggiudica il Premio “Vincenzo Ferraro” 2025. Un riconoscimento che porta il nome di uno dei padri fondatori della fisica dei plasmi e della scienza dello spazio circumterrestre.
C’è qualcosa di profondamente umano nel desiderio di guardare il cielo e chiedersi come tutto abbia inizio. È la stessa curiosità che, da secoli, spinge gli scienziati a sfidare i confini del conosciuto, a cercare risposte tra le onde magnetiche, la luce delle stelle e il misterioso respiro del Sole. In questo viaggio tra le frontiere più estreme della conoscenza, spicca il nome di Francesco Pecora, giovane e brillante ricercatore cosentino, Post-Doc presso il Dipartimento di Fisica ed Astronomia della University of Delaware, USA.
Il comitato scientifico del Premio internazionale “Una Vita per la Scienza” ha scelto di assegnargli la XVIII Edizione del Premio “Vincenzo Ferraro” 2025, un riconoscimento che porta il nome di uno dei padri fondatori della fisica dei plasmi e della scienza dello spazio circumterrestre. Un onore che non solo celebra la qualità e la profondità delle sue ricerche sulla turbolenza e sulla dinamica delle particelle nello spazio, ma testimonia anche la vitalità e il talento di un’intera generazione di ricercatori che, con passione e rigore, tengono alto il nome della scienza italiana nel panorama internazionale.
Abbiamo intervistato Francesco Pecora, per saperne di più sulla sua storia, sulle sue sfide e sulla meraviglia che ogni giorno lo accompagna nella ricerca dei segreti dell’universo — dal vento solare alle missioni spaziali più ambiziose della NASA e dell’ESA. Un dialogo che ci porta al cuore della fisica spaziale, dove il confine tra scienza e stupore diventa sottile come un raggio di luce che attraversa l’infinito.
Francesco Pecora, cosa ha rappresentato per lei ricevere il Premio internazionale “Vincenzo Ferraro” 2025?
«È un riconoscimento molto importante sotto diversi punti di vista. Fa sempre piacere ricevere un premio internazionale nel campo della fisica dei plasmi, ma in questo caso l’emozione è ancora più grande per ciò che rappresentano Ferraro e le sue scoperte. Le sue ricerche, fondamentali per la fisica dello spazio circumterrestre, hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo di questo ambito scientifico: alcune di esse le ho studiate durante il corso di “Fisica dell’eliosfera” nel mio percorso di laurea triennale. Ricevere un premio dedicato alla memoria di uno scienziato così influente è per me motivo di grande orgoglio».
Il suo lavoro si concentra su turbolenza e dinamica delle particelle nello spazio. Cosa l’ha spinta ad approfondire proprio questo campo della fisica spaziale?
«La scienza mi ha sempre affascinato, ma fin da bambino un’attrazione particolare l’hanno esercitata le stelle e l’universo. Sapere che all’Università della Calabria si studiano il Sole, lo spazio interplanetario e l’universo lontano mi ha spinto a intraprendere questo percorso e a dedicarmi ai temi di ricerca del gruppo di Astrofisica, Geofisica e Plasmi. È un lavoro che mi diverte e mi entusiasma ogni giorno: la ricerca di base nasce dal desiderio di scoprire qualcosa di nuovo, che forse in futuro troverà applicazioni che oggi non possiamo ancora immaginare».
Può spiegare in parole semplici perché questi fenomeni sono così importanti per capire il Sole e l’ambiente spaziale?
«La turbolenza è un fenomeno che si verifica ovunque nell’universo. Il moto di fiumi e oceani, l’atmosfera terrestre, lo spazio interplanetario, lo spazio tra le stelle e le galassie sono tutti diversi sistemi in cui la turbolenza gioca un ruolo fondamentale. Per quanto riguarda l’atmosfera, la complessità indotta dalla turbolenza è il motivo per cui le previsioni del tempo sono affidabili solo entro pochi giorni. Nello spazio succede all’incirca la stessa cosa, soltanto che il grado di complessità aumenta perché lo spazio e l’universo in generale sono perlopiù composti da plasma, un insieme di particelle cariche e campi magnetici.
Il nostro sistema solare è pervaso dal campo magnetico e dalle particelle energetiche che fluiscono costantemente dal Sole e che costituiscono il cosiddetto vento solare. Studiare la turbolenza ci permette quindi di capire meglio sia lo spazio intorno alla Terra che l’universo più lontano. Inoltre, le particelle energetiche possono essere dannose sia per gli esseri viventi che per la tecnologia. Capire come queste particelle che arrivano dal sole si propagano nel vento solare, interagiscono col campo magnetico terrestre e penetrano all’interno è di fondamentale importanza per proteggere gli astronauti in orbita, i satelliti per le telecomunicazioni e, in futuro, eventuali insediamenti sulla Luna, ed effettuare viaggi verso Marte in sicurezza».
Il premio celebra l’eccellenza nella fisica spaziale. Quali sono stati i momenti più significativi o le sfide più complesse nel percorso che l’ha portata a questo traguardo?
«Non so distinguere dei momenti significativi isolati. Gli studi e la ricerca sono un processo continuo in cui pian piano si accumulano conoscenza e risultati. Bisogna essere costanti. Sono però importanti le persone che mi hanno guidato e supportato nel mio percorso scientifico: il professor Sergio Servidio e la professoressa Antonella Greco, i miei supervisori durante il dottorato, e il professor William Matthaeus con cui lavoro negli Stati Uniti da più di quattro anni».
Francesco Pecora, la sua ricerca contribuisce anche a missioni spaziali internazionali, come NASA PUNCH ed ESA Plasma Observatory. Ci racconta qual è il suo ruolo in questi progetti?
«Sono due missioni molto diverse tra loro, ma complementari. PUNCH è costituito da quattro satelliti che orbitano intorno alla Terra, osservano costantemente il sole e generano costantemente immagini del vento solare. Plasma Observatory invece è attualmente una missione finalista nella selezione ESA per la scelta delle future missioni spaziali. Spero venga selezionata l’anno prossimo per essere costruita e lanciata in orbita intorno al 2037. Plasma Observatory sarà composta da sette satelliti che orbitano in formazioni tetraedriche tra lo spazio intorno alla Terra e il vento solare. Per PUNCH mi occupo di capire come ricavare informazioni sulla turbolenza del vento solare a partire dalle immagini ottenute dai 4 telescopi. Per Plasma Observatory invece sviluppo nuove tecniche e metodologie per analizzare i dati ottenuti da queste nuove e complesse costellazioni di satelliti».
Quali sono le principali differenze che ha riscontrato tra il modo di fare ricerca negli Stati Uniti e in Europa/Italia?
«La differenza principale risiede nella quantità di fondi destinati alla ricerca. Gli Stati Uniti, storicamente, hanno investito in modo massiccio in questo settore, e ciò si riflette nel numero di ricercatori, nelle infrastrutture e nella produttività scientifica — anche se non sempre necessariamente nella qualità dei risultati. L’Italia, purtroppo, è tra i Paesi europei che investono meno in ricerca e sviluppo, e questo porta molti giovani studiosi a proseguire la propria carriera all’estero. L’aspetto positivo di questa mobilità è il confronto con ambienti di ricerca internazionali e la possibilità di collaborare con istituti di altissimo livello. Tuttavia, al termine di queste esperienze, le opportunità di rientrare e continuare la propria attività in Italia restano ancora molto limitate».
Francesco Pecora, quali sono le prossime frontiere della fisica spaziale che la appassionano di più?
«Uno degli aspetti più appassionanti della prossima frontiera della fisica spaziale credo sia rappresentata dalle missioni costituite da molti satelliti che volano in formazioni particolari come sciami di api. I dati raccolti da queste missioni rappresentano una sfida perché nascondono una mole gigantesca di informazioni da scoprire, ma presentano anche un grado di complessità mai visto prima nella storia dell’esplorazione spaziale».
Le missioni solari come la Parker Solar Probe stanno aprendo nuove prospettive. Qual è, a suo parere, la scoperta più sorprendente degli ultimi anni in questo ambito?
«Parker Solar Probe ha permesso alla comunità scientifica di acquisire dei dati del vento solare in zone molto vicine al Sole che non sono mai state raggiunte prima da nessun’altra missione spaziale. Questo ci ha permesso di analizzare come cambia il vento solare molto vicino alla sorgente, un po’ come poter osservare la turbolenza in prossimità del motore di una barca anziché essere nella scia lontana. Eppure, non bisogna dimenticare l’eredità lasciata da altre missioni spaziali che ci hanno fornito osservazioni per diversi decenni e che nascondono ancora molti misteri in attesa di essere svelati non appena qualcuno li guarderà con uno sguardo nuovo».
Se dovesse immaginare lo spazio tra vent’anni, quali domande scientifiche spera avranno trovato risposta?
«Uno degli enigmi più affascinanti della fisica dei plasmi spaziali è quello del cosiddetto riscaldamento coronale: il vento solare risulta infatti molto più caldo — milioni di gradi — rispetto alla superficie del Sole, che raggiunge solo poche migliaia di gradi. È come se il vapore di una pentola in ebollizione fosse più caldo dell’acqua che lo genera. Una delle teorie più promettenti per spiegare questo paradosso chiama in causa proprio la turbolenza del plasma. Forse, con le prossime missioni spaziali e con nuovi sviluppi teorici, riusciremo finalmente a comprendere i meccanismi che rendono possibile questo fenomeno».
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Il ricercatore calabrese Francesco Pecora si aggiudica il Premio “Vincenzo Ferraro” 2025