Il primo amore lo puoi scordare, ma il primo giorno di scuola non lo dimentichi mai

  • Postato il 12 settembre 2025
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Il primo amore, la prima cotta non me la ricordo, ma il mio primo giorno di scuola non l’ho mai scordato. Non l’ho mai dimenticato grazie alla maestra Teresa che lo ha reso unico, speciale, eccezionale. Non è retorica, non è melassa quanto sto scrivendo, ma è ciò che resta di una Scuola che come una vecchia barca ammalorata, spesso, fa acqua da tutte le parti.

Qualche volta ci arrabbiamo perché la rete Internet non funziona, perché mancano le fotocopie, perché non c’è la carta igienica, perché i libri arrivano un mese dopo la prima campanella. Qualche altra volta ci stupiamo perché per Michael che è in carrozzina non funziona l’ascensore e perché per Ibrahim non c’è un mediatore culturale in classe che lo aiuti a capire la lezione.

La scuola non ci piace perché la ricreazione dura solo cinque minuti e non abbiamo neanche un calciobalilla per giocare; perché ci sono ancora troppe interrogazioni e compiti da fare a casa e poi i voti che son sempre “belli” per qualcuno e “brutti” per i soliti. Per fortuna c’è la maestra… o il maestro. Se hai la fortuna (perché solo di questo si tratta) di incontrare quell’insegnante che fa il suo lavoro con passione, con entusiasmo, pensando che ogni giorno, ogni anno è diverso dall’altro, hai vinto la lotteria.

A cinquant’anni il sorriso della maestra Teresa, che quel lunedì 15 settembre del 1980 mi aspettava sui gradini delle elementari “Alessandro Manzoni” di Offanengo, torna nella mia mente come se fosse ieri. Ci accolse davvero a braccia aperte e in pochi istanti già eravamo amici, grazie a lei. Rinaldo, Alberto, Domenico, Silvia, Tiziana, Christian, Mascia, Alex e tutti gli altri hanno ricevuto ciascuno uno sguardo attento, accudente dalla maestra Teresa. Nessuno aveva paura di sbagliare, di essere rimproverato, di prendere una nota. Non ricordo che abbia mai dato un “brutto” voto, non ho in mente la sua voce alta ma solo le sue gambe sulle quali ciascuno di noi si sedeva per confidarsi, per trovare consolazione o per un buffetto.

E se oggi sono un maestro che prova ogni giorno a credere nei bambini prima che alla burocrazia. Se ora sono un giornalista che insiste nel dare voce a chi non ha voce. Se sono un viaggiatore che continua a desiderare di conoscere il mondo. Se credo di essere ateo, leggo Ermanno Olmi e Erlink Kagge, è “solo” grazie a quella maestra che quarant’anni fa mi parlò di Dio, del nipote Gian Luca missionario in Mozambico, di San Francesco, del 4 novembre, di Cipì e della civiltà contadina della mia terra.

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Il Fatto Quotidiano

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