Il modello Milano che umilia i cittadini e ignora i loro voti. Vedi i referendum del 2011

  • Postato il 22 luglio 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La partecipazione dei cittadini alle decisioni strategiche e, in particolare, alla progettazione urbanistica è un fattore vitale per il successo delle trasformazioni urbane di una città. Solo la partecipazione migliora la qualità della vita dei suoi abitanti, genera inclusione sociale, favorisce la trasparenza. Questo principio è stato declinato da generazioni di urbanisti nel secolo scorso, non solo italiani.

Tra tutti, ricordo in modo particolare Giancarlo De Carlo, genovese per caso e laureato nel Politecnico di Milano. Pubblicò L’architettura della partecipazione più di 50 anni fa. Erano gli anni (1973) di una canzone di Giorgio Gaber tuttora viva nel profondo collettivo della mia generazione. Il testo di Sandro Luporini traduceva in poesia un valore inconfutabile, assieme individuale e collettivo: “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche avere un’opinione; la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

Due successive amministrazioni milanesi, da Pisapia in poi, hanno sostenuto a parole questo principio, negandolo nei fatti. Il centro sinistra aveva vinto le elezioni nel 2011 sospinto da cinque referendum consultivi di indirizzo, promossi proprio dai sostenitori di un cambiamento del governo locale. Dopo 14 anni in perfetta continuità, possiamo affermare che quegli indirizzi siano stati seguiti? Ricordiamoli in breve.

Il primo riguardava la riduzione di traffico e smog attraverso il potenziamento dei mezzi pubblici, l’estensione di ‘ecopass’ e la pedonalizzazione del centro. Fu approvato dal 79% dei votanti. Il secondo chiedeva di raddoppiare gli alberi e il verde pubblico e ridurre il consumo di suolo. Fu approvato con il 96% dei voti, percentuale bulgara che doppiava i voti del sindaco appena eletto. Il terzo chiedeva di conservare il futuro parco agro-alimentare dell’area EXPO: approvato con il 96%.

Il quarto raccomandava provvedimenti concreti per il risparmio energetico e la riduzione di gas serra, come la conversione di tutti gli impianti di riscaldamento a gasolio degli edifici comunali e domestici, il teleriscaldamento e la rottamazione energetica, con date precise (2012 e 2015). Ebbe il 95% di consensi. Il quinto chiedeva la riapertura dei Navigli; e il 94% dei milanesi disse «Sì…!».

I milanesi hanno ben presente come questi indirizzi siano stati perseguiti dall’amministrazione che, evidentemente, li ha ritenuti indirizzi sbagliati. I non milanesi possono percorrere la cerchia dei Navigli tuttora sepolti (Fig.1). Turisti e visitatori possono spingersi fino all’area ex-Expo in pieno fermento (Fig.2). E fermarsi a indugiare sui nuovi selciati di Piazza San Babila (Fig.3) e Piazza Castello (Fig.4), passeggiare per il centro in un giorno invernale di alta pressione (Fig.5), attendere un autobus per mezz’ora e più, quando due corse su tre sono state soppresse.

Oggi il Sistema Milano è oggetto di inchieste da parte della Procura, ma i cittadini non hanno interesse più di tanto alla vicenda giudiziaria, che seguirà il suo lunghissimo corso. Ciò che conta è la lezione politica. Ignorando gli indirizzi espressi dai cittadini, il Modello Milano si è evoluto in senso neofeudale.

Se il principe è un principe illuminato, il modello neofeudale non è da biasimare a priori, in quanto capace di contribuire alla rinascita sociale e culturale di una comunità, come dimostrarono Lorenzo dei Medici e Alfonso d’Este o, più tardi, Carlo di Borbone. Saranno i nostri eredi a giudicare. Non noi, ma i posteri decideranno se “riqualificazioni” di aree dismesse come lo scalo di Porta Romana siano all’altezza del Real Albergo dei Poveri, noto anche come Palazzo Fuga (Fig.6).

PalazzoFuga vs PortaRomana

Umiliare la partecipazione è comunque e sempre pericoloso. Se si distrugge qualsiasi ragione, momento ed esito della partecipazione, si distrugge la capacità di condividere il proprio destino, e di convivere, crescere e prosperare tutti assieme. E la risposta al quesito “A Milano serve ancora votare?” è tristemente diventata un secco: “Anche no”.

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Il Fatto Quotidiano

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