Il 25 aprile al tempo delle guerre

  • Postato il 25 aprile 2025
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Il 25 aprile al tempo delle guerre

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Erano i primi giorni di primavera quando i partigiani scesero dalle vallate insanguinate dai loro caduti e entrarono nelle città, liberando l’Italia dalla guerra e dal fascismo. Giornate di gioia e di speranza che aprirono la strada alla Repubblica, alla Costituzione, alla ricostruzione. Tempi nei quali ognuno, voleva lasciarsi alle spalle le sofferenze e le privazioni della guerra per guardare alla propria vita con fiducia e ciascuno sapeva che la sua fatica quotidiana era parte di uno sforzo collettivo per dare al Paese diritti, crescita e prosperità.

E fu così, anche se non bisogna dimenticare che la frattura Occidente-comunismo fece entrare la guerra fredda anche anche nella vita degli italiani, sancendo la fine dei governi CLN e aprendo con le elezioni del 18 aprile una stagione di acuto scontro politico e sindacale.

E se certo va riconosciuto a De Gasperi e alla DC di aver comunque garantito uno sviluppo democratico, furono anche gli anni della rottura sindacale con la nascita di Cisl e UIL, gli anni dei licenziamenti di migliaia di lavoratori iscritti alla Cgil e a partiti di sinistra, gli anni perfino di una voluta omissione del valore della Resistenza che non a caso nel suo decennale, nel ’55, fu celebrato in sordina. E tuttavia anni in cui lo sviluppo economico, sociale e politico cambiò il volto dell’Italia, offrendo a milioni di famiglie consumi e opportunità e culminando nel boom economico e nella apertura di nuove stagioni politiche, con la costituzione dei governi di centrosinistra. Crescita accompagnata dall’avvio del processo di integrazione europea fondato sull’idea che per liberare l’Europa dalle guerre che per secoli l’avevano insanguinata, l’unica strada fosse costruire un destino comune in cui i popoli europei si riconoscessero.


Certo, anche in quegli anni non mancarono tensioni acute tra le potenze nucleari, come l’intervento sovietico in Ungheria, la costruzione del muro di Berlino e i missili sovietici a Cuba, né mancarono in molte regioni del mondo guerre e tragiche oppressioni, come i ricorrenti conflitti in Medio Oriente o la lugubre stagione dei colpi di Stato militari in America Latina.


E tuttavia il mondo non si percepiva ancora come “globale”, tant’è che nel linguaggio geopolitico ogni crisi o guerra veniva classificata come “conflitto locale” non solo per segnalarne la lontananza fisica, ma per rassicurarci che in ogni caso non ne saremmo stati coinvolti.

E il progredire dell’integrazione europea offriva la garanzia che il continente non avrebbe più conosciuto guerre e olocausti. Insomma abbiamo vissuto un lungo periodo di stabilità, che consentiva ogni anno di celebrare il 25 aprile in un clima di solidarietà nazionale e di pressoché unanime riconoscimento dei valori dell’antifascismo quali fertile terreno fondante della democrazia italiana.


È dunque giusto chiedersi quale 25 aprile celebriamo oggi in un mondo globale segnato da sanguinosi conflitti e da una condizione di anarchia internazionale, in un tempo di inquietudini e angosce suscitati dalle criticità susseguitesi negli ultimi anni, la crisi “greca”, il Covid, le guerre alle porte di casa e oggi il ciclone Trump. Tempi che non consentono di rifugiarsi nelle certezze del passato, richiedendosi una capacità di misurarsi con sfide – le guerre, il cambiamento climatico, gli sconvolgimenti demografici, le frontiere delle tecnologie digitali – che tutte sollecitano a radicali innovazioni culturali e di strumenti interpretativi e operativi.


Proprio per questo servono valori a cui riferirsi. E ancorché siano trascorsi 80 anni dai giorni radiosi della Liberazione i valori del 25 aprile sono più attuali che mai. Il valore della pace per fermare le guerre e soprattutto conquistare paci “giuste” sconfiggendo chi della guerra fa lo strumento del sopruso. Il valore della giustizia per restituire equità in una società segnata da crescenti disparità. Il valore della solidarietà affinché nessuno sia lasciato solo o indietro, sconfiggendo quella che Bergoglio chiamò la “società dello spreco”.

Il valore dell’accoglienza in una società che ha il dovere di integrare chi cerca ragioni di vita e di riscatto in nuove patrie. Il valore dell’uguaglianza per garantire che a ogni persona siano sempre assicurate pari opportunità e certezza di diritti. Il valore della parità di genere in una società funestata da troppe discriminazioni e dal dramma dei femminicidi. E soprattutto il valore irrinunciabile della libertà da ogni forma di oppressione e di limitazione della personalità umana.

Quella libertà per la quale 80 anni fa una generazione combatté, pagando un alto prezzo di sangue affinché le generazioni successive potessero vivere senza paura. Essere fedeli a questi valori e praticarli ogni giorno nei nostri comportamenti contro le mille forme di egoismo che insidiano la nostra vita è l’impegno a cui è chiamato ognuno di noi.


Perché sia sempre 25 aprile!

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