Resistenza da Sud. Calabria Ribelle
- Postato il 25 aprile 2025
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Il Quotidiano del Sud
Resistenza da Sud. Calabria Ribelle
Il contributo del Sud Italia e della Calabria alla lotta contro l’occupazione nazifascista e alla resistenza
Molti pensano che il Sud non abbia dato un grande contributo alla lotta contro l’occupazione nazifascista. Ma non è così. Ecco perché è necessario ricordare anche gli innumerevoli episodi di Resistenza degli italiani del Sud. Era da poco iniziata la guerra, che già a Reggio Calabria circolava clandestinamente un manifestino che invocava pane, pace e libertà.
LA RESISTENZA E LE DONNE
Le donne erano le prime a protestare, e Tina Lettieri di Cirò, rischiando il carcere, scriveva al figlio geniere che si doveva pregare per far finire presto la guerra, perché non c’era più nessuna speranza, tutto era finito in un disastro completo di morte e fame. Paolo Arillotta, impiegato reggino delle ferrovie, non perdeva occasione per affermare che il Governo stava riducendo l’Italia nella miseria più nera.
Il sentimento popolare era di avversione alla vecchia classe dirigente feudale e latifondista che aveva trascinato il paese alla guerra a fianco dell’odiata Germania nazista. Su questi pescecani in camicia nera e sulla loro dimensione curiale, anche uno dei maggiori artefici della “marcia su Roma”, il cosentino Luigi Filosa, rimproverava Benito Mussolini di avere lasciato alla porta il meglio del mondo politico italiano, utilizzando il peggio.
RESISTENZA A REGGIO CALABRIA
A Reggio Calabria opera anche il Gruppo “Il semaforo”, formato da giovani di varia estrazione politica e culturale che nel marzo 1943 furono arrestati. Il 15 maggio, madre Elena Aiello scriveva nuovamente a Benito Mussolini per rinfacciargli di non averla ascoltata, e di aver voluto comunque la guerra contro la volontà del Signore.
«Se non porrete subito fine a questa guerra terribilmente crudele – scriveva la religiosa al duce – scenderà su di voi la giustizia divina». Nella notte del 24-25 luglio, Benito Mussolini fu arrestato a Roma, e “Cronaca di Calabria”, un bisettimanale di Cosenza, culla del fascismo calabrese, scriveva nel numero del 27 luglio 1943 che la decisione del sovrano di destituire il duce aveva suscitato un’ondata di giubilo a Cosenza, a Catanzaro, a Reggio. Per Pietro Badoglio e Vittorio Emanuele III, invece, la guerra continuava a fianco de tedeschi. In Sicilia, a Mascalucia, il 2 agosto esplodeva la prima scintilla contro i soldati nazisti. A Reggio Calabria le truppe tedesche derubavano gli italiani e chi reagiva era ucciso sul posto. In agosto si contavano 17 morti e 25 feriti. Cipriano Scarfò, un armiere con bottega in Piazza Concordia a Taurianova, decideva di tagliare i fili del telegrafo per sabotare le attività della 29esima Panzergrenadier division. Scoperto e arrestato dai tedeschi, il 25 agosto 1943 venne prima legato a un ulivo e poi fucilato. Aveva 54 anni, e lasciava sei figli tra gli ulivi della Piana.
IL RISCATTO DELL’ITALIA
Era ormai giunta l’ora del riscatto dell’Italia, quando, il 3 settembre, i britannici sbarcavano a Reggio Calabria, e dopo quasi quattro anni di guerra ritornavano in armi sul continente. I tedeschi erano già in ritirata verso Salerno, e sulla costa calabra dello Stretto di Messina le truppe da sbarco britanniche non videro nemmeno l’ombra dell’esercito italiano.
Tra mille difficoltà, militari e civili intraprendevano, con convinzione, la strada della libertà e della sovranità popolare che nella Costituzione troverà la propria sublimazione. Il 6 settembre a Rizziconi, nei dintorni del deposito di munizioni della Fallschirm panzer division “Hermann Göring”, in Via Santa Maria superiore, alcuni civili supportarono un’azione di sabotaggio britannica. Per ritorsione i tedeschi indirizzarono il fuoco dei loro panzer sull’abitato, anche dopo che alcuni cittadini avevano issato sulla torre del campanile della Chiesa di San Teodoro un lenzuolo bianco in segno di resa. Partiti i tedeschi, restavano a terra tra le macerie del paese 16 morti e 30 feriti, in maggioranza anziani, donne e bambini. È la prima strage nazista in Italia, e non è ricordata da nessuno.
L’8 SETTEMBRE
L’8 settembre, il generale Dwight Eisenhower comunicava che il Governo italiano si era arreso incondizionatamente alle Nazioni Unite. Non era però l’ultimo dramma di una generazione sfortunata. Il giorno dopo, il 9 settembre 1943, i ragazzini di Bari vecchia si armavano di bombe a mano e, insieme a una sparuta formazione della Regia Marina, andavano all’assalto dei mezzi blindati tedeschi per impedire loro di far saltare le installazioni portuali. Vittorio Emanuele III, il governo militare e l’alto comando delle Forze armate, erano, invece, in precipitosa fuga da Roma alla volta di Brindisi. Mentre i partiti antifascisti italiani costituivano il Comitato di Liberazione, il corrispondente del “Times” riferiva che nelle regioni del Sud le «truppe di liberazione alleate» erano fiancheggiate da gruppi di soldati italiani. Intanto, lunghe colonne di blindati tedeschi erano in continuo transito sulle strade calabresi. L’ordinata ritirata di uomini e mezzi transitava davanti al Campo di concentramento di Ferramonti. Da oltre 15 giorni senza interruzione macchine militari di ogni tipo andavano verso nord. La stima di 20 per ora, cioè di 500 per giorno non era esagerata, con i soldati italiani disposti a difesa degli impauriti internati ebrei.
L’11 SETTEMBRE
L’11 settembre il Kampfgruppe del oberleutnant Friedrich Kurtz, attaccava Barletta, ma il caposaldo “Crocifisso”, comandato dal tenente Vasco Ventavoli e dal tiratore scelto sergente Guido Giandiletti, resisteva. Lo stesso 11 settembre i «diavoli verdi» della 1. Fallschirm panzer division “Hermann Göring”, attaccavano Nola, dove fucilarono per rappresaglia 10 ufficiali italiani. I tedeschi agivano con «spirito di vendetta» contro gli italiani, e una volta presa Barletta, fucilavano 11 vigili urbani e 2 netturbini colpevoli di indossare una divisa. Altri combattimenti si verificavano a Ischia, Vieste e Benevento. Manfredonia, Alberona, Carlantino, Celenza, Candela, contavano, come a Barletta, i propri morti.
IL 15 SETTEMBRE
Il 15 settembre, in Basilicata era istituita la Repubblica di Maschito. A Matera, il 21 settembre, negli scontri contro i tedeschi perdono la vita 24 persone. Il 23 settembre, a Palidoro, nell’Agro romano, Salvo D’Acquisto, dimostrava che si può raggiungere la vetta della santità nell’adempimento fedele e generoso del proprio dovere. Il 26 settembre, ad Ascoli Satriano erano 15 i caduti. Mario Capuani, capo dell’insurrezione di Teramo, catturato dai tedeschi, prima di essere trucidato con un colpo alla nuca gridava “Viva l’Italia libera!”. Con un superbo slancio patriottico, i napoletani ritrovavano, in mezzo ai lutti e alle rovine, la forza per cacciare dalla città le soldatesche germaniche sfidandone la feroce disumana rappresaglia. Impegnata una impari lotta con il secolare nemico, i napoletani offrivano alla Patria nelle quattro giornate, dal 27 al 30 settembre, 562 eletti figli. Il suo glorioso esempio era subito seguito dalle insurrezioni di Scafati, Acerra, Santa Maria Capua Vetere, Serracapriola, Lanciano, Sulmona.