Ho tradotto il piano della ministra israeliana allegato al video con l’Ai: ecco la pulizia etnica di Gaza

  • Postato il 23 luglio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Ecco come sarà Gaza nel futuro. O noi o loro!” scrive sui social la ministra dell’intelligence israeliana Ghila Gamliel, postando un video realizzato con l’intelligenza artificiale. Nel filmato, che ricorda quello di Trump postato a febbraio, si vede la ministra in tailleur che illustra sorridente un piano agli altri membri del governo israeliano e Donald Trump che annuisce soddisfatto. Poi, le immagini di Gaza rasa al suolo – l’ultima stima dell’Onu parla del 92% degli edifici residenziali distrutti o colpiti dai bombardamenti israeliani – e, come per magia, dalle macerie sorgono grattacieli, hotel, ristoranti in riva al mare dove ragazzi israeliani brindano e ballano, una Trump Tower e lo stesso Trump che passeggia sottobraccio a Melania sul lungomare illuminato dalle luci dei locali, e incrocia Netanyahu a spasso con la moglie. Sul finale: fuochi d’artificio.

Si parla del video ma la notizia non è nel video: è il piano che la ministra ha davvero presentato al governo e che ha allegato al post. Un documento di 9 pagine presentato una settimana dopo il 7 ottobre e che anticipa meticolosamente l’operazione di pulizia etnica dei mesi successivi. L’ho tradotto.

Il documento passa in rassegna tre alternative per poi scartare le prime due: “Alternativa A: La popolazione rimane a Gaza e viene introdotto un nuovo governo. Alternativa B: La popolazione rimane a Gaza e si instaura un governo arabo locale. La sola ipotesi alla quale lavorare per mettere in sicurezza Israele è, secondo il ministero dell’Intelligence, quella di rimuovere l’intera popolazione palestinese da Gaza, l’Alternativa C, che definisce “Evacuazione umanitaria volontaria della popolazione civile dalla Striscia” e “assorbimento in vari paesi del mondo arabo e in altri paesi che esprimono la volontà di assorbire i rifugiati”. Come fare? Prima, indica il documento, con lo sfollamento forzato dalle zone definite di guerra (che, nei mesi successivi, sarebbero diventate oltre l’85 per cento della Striscia) poi “Con l’evacuazione umanitaria volontaria”, da attuarsi, testuale: “instillando nella popolazione un senso di fallimento”.

Lo ripetono in continuazione i ministri israeliani: bisogna distruggere tutte le case, le scuole, i quartieri, così che i palestinesi non abbiano niente a cui fare ritorno. Per attuare il piano bisogna seguire questi passaggi, indicava a ottobre 2023 il documento, anticipando quello che abbiamo visto nei mesi successivi: “Le Forze di Difesa Israeliane stanno lavorando per evacuare la popolazione non combattente dalla zona di combattimento. Nella prima fase, operazioni aeree mirate alla Striscia di Gaza settentrionale. Nella seconda fase, una manovra terrestre per conquistare gradualmente l’area da nord e lungo il confine fino alla conquista dell’intera Striscia e alla liberazione dei bunker sotterranei dai combattenti di Hamas-Daesh. Saranno istituite tendopoli nella regione del Sinai; in seguito, verrà creato un corridoio umanitario per assistere la popolazione civile che è stata liberata e può stabilirsi in altri Paesi. È importante mantenere utilizzabili le vie di comunicazione in direzione sud per consentire l’evacuazione umanitaria volontaria della popolazione civile verso Rafah”.

Il documento si preoccupa della legittimità internazionale e giuridica, ma liquida la questione in maniera assertiva: “A prima vista, sembra che questa alternativa, che prevede un’evacuazione umanitaria volontaria di una popolazione, potrebbe essere complessa in termini di legittimità in futuro. A nostro avviso, i combattimenti successivi a un’evacuazione umanitaria volontaria di una popolazione porteranno a un numero inferiore di vittime civili rispetto al numero di vittime previsto se la popolazione rimanesse in zona, come succederebbe nelle alternative A e B. La migrazione di massa dalle zone di guerra (Siria, Afghanistan, Ucraina) e lo spostamento della popolazione sono una conseguenza naturale e necessaria alla luce dei pericoli connessi alla permanenza nella zona di guerra. Anche prima della guerra c’era una forte richiesta di migrazione da Gaza tra la popolazione locale, la guerra non farà che aumentare questo fenomeno”.

Un altro passaggio esamina gli argomenti a sostegno della piena legittimità dell’operazione di pulizia etnica: “Si tratta di una guerra difensiva contro un’organizzazione terroristica che ha condotto un’invasione militare di Israele; il requisito dell’evacuazione umanitaria volontaria di una popolazione non combattente dall’area è un metodo accettato che salva vite umane, ed è così che hanno agito gli americani in Iraq nel 2003; a lungo termine, questa alternativa acquisirà una maggiore legittimità poiché coinvolge una popolazione che sarà integrata in un quadro statale con cittadinanza”. Tradotto: a Gaza i cittadini palestinesi non potranno mai essere cittadini palestinesi, perché quasi nessuno dei leader mondiali che si dice favorevole ai due stati ha davvero intenzione di riconoscere, oltre al primo – riconosciuto 77 anni fa – il secondo. Ma potranno diventare rifugiati in altri paesi e un giorno ottenere la cittadinanza di quei paesi. Il documento soppesa le “implicazioni strategiche”: “Questa risposta trasmetterà un messaggio forte a Hezbollah: non oserà fare una mossa simile nel Libano meridionale”.

In appendice, la lista di “Paesi ed entità che possono contribuire alla risoluzione della crisi umanitaria a Gaza”, con quello che avrebbero da guadagnarci: “Stati Uniti. Possibile contributo: Assistenza nella promozione dell’iniziativa con numerosi paesi, inclusa l’attività diplomatica con Egitto, Turchia, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, per contribuire all’iniziativa con risorse o con l’assorbimento degli sfollati. Incentivi: Interesse per una netta vittoria israeliana e per il ripristino della deterrenza dell’intero Occidente, danneggiata dall’attacco a Israele. Ripristino del suo status di leader mondiale e di paese chiave per la risoluzione delle crisi. Interesse a creare un cambiamento significativo a livello regionale e a infliggere un colpo all’asse radicale. Egitto. Possibile contributo: Apertura di valichi di frontiera e possibilità di realizzare un corridoio di uscita verso altri paesi di accoglienza, assorbendo i rifugiati sul proprio territorio in conformità con la decisione dello stato. Possibili incentivi: Assistenza finanziaria per l’attuale crisi economica in Egitto. Arabia Saudita. Possibile contributo: fondi per l’assorbimento e un budget per organizzare gli sforzi per il trasferimento della popolazione in diversi paesi; Campagne non finanziate con fondi pubblici che evidenziano i danni causati da Hamas-Daesh e ne danneggiano l’immagine. Incentivi: pressioni da parte degli Stati Uniti, oltre all’impegno a utilizzare l’ombrello protettivo dei gruppi combattenti dirottati nella regione contro l’Iran come polizza assicurativa; interesse a posizionare l’Arabia Saudita come soggetto di supporto per i musulmani in crisi; interesse saudita per una chiara vittoria israeliana su Hamas-Daesh. Paesi arabi e altri paesi assorbenti. Contributo: accoglienza dei rifugiati. Incentivi: invio di beni e utilità per favorire l’assorbimento dei rifugiati e sostegno finanziario al processo da parte dei paesi arabi”.

(Nel caso in cui qualcuno credesse ancora che il governo israeliano abbia come scopo il rilascio degli ostaggi).

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Il Fatto Quotidiano

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