Gasparri vuole un Ministero ad hoc per il Cinema e l’audiovisivo, il Pd un’Agenzia: ma non cambierebbe niente
- Postato il 18 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La situazione del settore cinematografico e audiovisivo italiano permane critica (pochi i set all’opera e Cinecittà semi-vuota, gran parte dei lavoratori disoccupati…), ma l’attenzione dei media “mainstream” appare modesta: basti osservare che nella giornata del 16 aprile 2025 il Capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri ha presentato un laconico disegno di legge per costituire un “Ministero per il Cinema, l’Audiovisivo e il Digitale” (l’acronimo sarebbe “Micad”) e l’indomani la Segretaria Elly Schlein ha presentato una proposta di legge per la istituzione di una “Agenzia per il Cinema e l’Audiovisivo” (l’acronimo qui è “Aca”)… Soltanto il quotidiano La Stampa ha dedicato l’indomani attenzione all’iniziativa, con poco più di un trafiletto: e ciò basti.
La reattività della “politica” rispetto ai malesseri del settore è evidentemente limitata e si nutrono dubbi anche sulla capacità delle attuali forme partitiche di rappresentare al meglio la società civile, e, nel caso in ispecie, gli operatori del settore cine-audiovisivo, dai produttori ai creativi agli attori… Ma anche la sensibilità dei media sembra essere tendenzialmente inesistente, sempre attratta soltanto da red carpet e lustrini, incluso la grancassa della serata imminente del 7 maggio del David di Donatello.
Va dato atto al Movimento 5 Stelle di essere l’unico partito che, attualmente, dedica attenzione, intensa e continuativa, rispetto alle dinamiche della politica culturale nazionale: in particolare il deputato partenopeo Gaetano Amato martella in modo incessante, ma veramente appare “vox clamantis in deserto”, rispetto ad una sorta di diffusa acquiescenza e prevalente rassegnazione nei confronti della triade ministeriale (asse Fratelli d’Italia – Lega Salvini), il ministro Alessandro Giuli (sempre “dandy” nelle sue sortite), la Sottosegretaria Lucia Borgonzoni (delegata a cinema e audiovisivo e industrie culturali e creative, sempre ostinatamente ottimista) ed il suo collega Gianmarco Mazzi (che si diletta di spettacolo dal vivo)…
Si ricordi che nessun esponente di Forza Italia siede al Collegio Romano, e quindi la sortita di Gasparri è stata percepita da alcuni come una sostanziale delegittimazione dell’operato della Sottosegretaria leghista. Al punto tale che non stupisce che, a poche ore dalla notizia della presentazione della sua proposta di legge lo stesso Maurizio Gasparri (nella serata di mercoledì 16) si sia affrettato a dichiarare: “Grande apprezzamento per le attività svolte da Giuli e dalla Borgonzoni nel campo della cultura, del cinema e dell’audiovisivo. La proposta di legge che ho presentato per l’istituzione del Mistero del Cinema vuole semplicemente dare cittadinanza a una giusta tesi rappresentata da un grande autore del cinema italiano come Pupi Avati, che ne aveva parlato alcune settimane fa. Voglio che nel confronto, nel dibattito politico e parlamentare, questa tesi possa trovare spazio. I rappresentanti devono dare voce alle tesi dei rappresentati, che nel dibattito avanzano proposte che hanno un loro fondamento”.
E qui la precisazione che è apparsa a mo’ di excusatio non petita: “Quindi nessun giudizio su chi oggi ricopre degli incarichi, ma la speranza che loro stessi o altri nel futuro possano, con competenze e poteri maggiori, seguire alcuni settori decisivi come quello del cinema e dell’audiovisivo”. Nonostante la diplomatica puntualizzazione, è impossibile non interpretare la tesi di Forza Italia come una richiesta di correzione di rotta. Basti osservare che, quando Tajani aveva annunciato di voler far propria la tesi di Avati, la Sottosegretaria aveva commentato: “Duplicare un ministero sarebbe un’operazione inutile e dannosa”.
Tagliente la reazione di Gaetano Amato (M5s): “Mentre si moltiplicano le marchette culturali e si piazzano amici ovunque, il tax credit è in tilt: produzioni ferme, incertezze diffuse, operatori lasciati nell’angoscia. In questo caos, il governo non sa che pesci prendere. Si è accorto perfino dell’incapacità della sottosegretaria Borgonzoni e del ministro Giuli, al punto da chiedere l’istituzione di un nuovo ministero. Ci auguriamo non abbia intenzione di candidarsi per la reggenza”.
In verità, analizzate tecnicamente, le due proposte non appaiono rivoluzionarie, nonostante l’entusiasmo manifestato dall’“agente provocatore”, il maestro Pupi Avati (che – si ricordi – è anche consigliere per la cultura del Ministro degli Esteri e Cooperazione Internazionale, nonché Vice Presidente del Consiglio, Antonio Tajani): il regista bolognese ha accolto queste due iniziative addirittura come “un miracolo”. La provocazione di Avati ha senza dubbio colto nel segno, a fronte di una sconfortante stagnazione, ma le reazioni di Forza Italia e Partito Democratico non appaiono granché rivoluzionarie.
Di fatto, la proposta di Maurizio Gasparri (Atto Senato S.1464, formalmente presentato il 16 aprile) appare proprio un’operazione squisitamente “nominalistica”, perché si limita soltanto ad “estrarre” dall’attuale giurisdizione del Ministero della Cultura le competenze in materia “cinema e audiovisivo” (e “digitale”, ma questa area è confusamente indicata).
La proposta di Elly Schein, Matteo Orfini, Irene Manzi, Giovanna Iacono, Mauro Berruto (Atto Camera 2360, formalmente presentata il 15 aprile) è senza dubbio più articolata, ma si limita ad “elevare” l’attuale Direzione Generale del Cinema e Audiovisivo (Dgca) a soggetto giuridicamente autonomo dal Ministero, che diverrebbe un ente di diritto pubblico dotato di autonomia organizzativa, patrimoniale, finanziaria, gestionale.
L’Agenzia per il Cinema e l’Audiovisivo (ispirata al modello dello storico francese “Centre National du Cinéma et de l’Image Animée”) verrebbe gestita da un consiglio di amministrazione formato da 5 membri, 3 designati dal Ministro della Cultura (tra cui il Presidente), 1 dal titolare del Mimit (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) ed 1 dalla Conferenza Stato-Regioni. Basti osservare che nulla la proposta indica rispetto ai criteri di nomina del Cda (requisiti e procedure), e già questo evidenzia il carattere vacuo dell’iniziativa.
In sostanza, sulla carta, la proposta del Pd vorrebbe liberare i processi decisionali del Ministero dall’influenza dell’esecutivo, ma paradossalmente si corre il rischio di creare un ennesimo “carrozzone” partitocratico, dato che le nomine verrebbero ovviamente decise dal governo, esattamente come avviene per Cinecittà spa o altri “bracci operativi” del Mic, come Ales spa ed altri ancora.
In sostanza, temiamo che sia con l’una sia con l’altra “innovazione” (…), nulla o quasi cambierebbe. Nessuna delle due iniziative propone infatti un incremento dei fondi pubblici a favore del settore, né propone meccanismi tecnocratici e trasparenti nella gestione delle risorse, né auspica processi decisionali improntati al pluralismo ed al coinvolgimento attivo dei rappresentanti del settore (autori, produttori, artisti, tecnici, lavoratori)…
L’attuale gravissimo deficit di strumentazione cognitiva resterebbe immutato, consentendo di fatto la riproduzione degli errori del passato: spreco di risorse pubbliche ed ingerenze della politica, deficit di pluralismo espressivo e di democrazia culturale.
Basti segnalare (denunciare?!) che ad oggi non è ancora stata pubblicata sui siti web di Camera e Senato la “valutazione di impatto” della Legge Cinema e Audiovisivo per l’anno 2023 (duemilaventitré!), prevista dalla ancora vigente “Legge Franceschini” del 2016: il settore continua ad essere (mal) governato, con approssimazione e nasometria, e quindi con abusi di discrezionalità.
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