Formare un governo è il problema minore per la Germania: il punto è adattarsi a un nuovo sistema

  • Postato il 7 marzo 2025
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di Giacomo Gabellini

La Germania vacilla. È quanto emerge dalle elezioni federali tenutesi domenica 23 febbraio, attestanti una polarizzazione particolarmente marcata e preoccupante della società tedesca. Il voto conferisce al Bundestag una conformazione caratterizzata dall’esclusione del Bsw e del Fdp di Christian Lindner, fermatisi entrambi al di sotto della soglia di sbarramento. La Cdu ottiene 208 deputati, a fronte dei 152 di Afd, 120 della Spd, 85 dai Verdi, 64 da Linke e 1 dal partito della minoranza danese Ssw. L’altissima affluenza alle urne (82,5%, risultato più alto dalla riunificazione del 1990) riflette l’entità della posta in gioco: il futuro della Germania, che nel corso di pochi anni ha assistito allo sbriciolamento delle fondamenta su cui aveva costruito la crescita economica e la stabilità socio-politica.

Le implicazioni del conflitto russo-ucraino, riassumibili nella recisione dell’arteria energetica tra Russia e Germania e nella perdita del mercato russo per le aziende tedesche, hanno rappresentato un colpo letale per la Germania. Combinandosi con la scriteriata decisione di rinunciare all’energia nucleare e le politiche anti-industriali portate avanti dall’Unione Europea, la sostituzione delle forniture russe con quelle di gran lunga più onerose provenienti soprattutto dagli Stati Uniti ha minato le competitività delle merci tedesche sui mercati mondiali.

D’altro canto, la linea protezionista adottata dagli Stati Uniti a partire dall’era Obama ha comportato un graduale sovvertimento delle logiche della globalizzazione su cui la macchina esportatrice tedesca aveva prosperato. I provvedimenti statunitensi ricondotti sotto l’espressione di friendshoring hanno portato alla disarticolazione delle catene di approvvigionamento esistenti e a una segmentazione dello scenario internazionale in blocchi geoeconomici molto meno comunicanti rispetto al recentissimo passato, inflazionando i prezzi delle materie prime e complicando le relazioni politiche ed economiche tra la Germania e la Cina. Il cui mercato, tradizionale fonte di assorbimento di primissima rilevanza per l’industria tedesca, è contestualmente divenuto sempre meno accessibile per la Germania, anche in virtù della concorrenza ormai irresistibile esercitata dai produttori cinesi di automobili e macchinari.

In questo scenario critico, caratterizzato da alti costi degli input energetici e delle materie prime, gli Stati Uniti hanno introdotto l’Inflation Reduction Act, una legge che prevede la concessione di sconti fiscali e sussidi pubblici a beneficio delle aziende straniere disposte a rilocalizzare i propri stabilimenti produttivi negli Stati Uniti. Il modello di crescita fondato sulle esportazioni, coerente con la visione mercantilista e ordoliberale di Berlino, è in altri termini crollato sotto il peso dell’interruzione delle forniture di energia a basso costo dalla Russia, della distruzione deliberata del regime liberoscambista ad opera degli Stati Uniti e dei tentativi di quest’ultimi di reindustrializzarsi a spese dei satelliti.

Ne è scaturito un incremento dei fallimenti aziendali, associato alla caduta della produzione industriale e all’aumento del tasso di disoccupazione. Fattore, quest’ultimo, che ha concorso a riattivare la conflittualità sociale in misura paragonabile alla politica migratoria delle “porte aperte” portata avanti in un’ottica di compressione salariale dalle autorità di Berlino.

Il crescente malcontento popolare e l’incertezza riguardo alle prospettive che si stagliano dinnanzi al Paese è all’origine del successo di Afd, capace, grazie anche al supporto dell’amministrazione Trump per tramite di Elon Musk, di intercettare la fetta decisiva dei consensi tra i lavoratori (38%) e i disoccupati (34%), oltre che tra i giovani (24% tra i 25-34 anni) e i giovanissimi (21% tra i 18-24). Le fasce più mature delle popolazione, di contro, si riconoscono nelle posizioni “conservative” della Spd e, soprattutto, di Cdu-Csu. Partito, quest’ultimo, dalle cui file emergerà il prossimo cancelliere, nella figura – con ogni probabilità – di Friedrich Merz. Vale a dire un personaggio formatosi professionalmente nel settore finanziario, con incarichi verticistici presso BlackRock, protagonista di un processo di espansione in Europa che ha registrato una significativa accelerata in seguito all’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump.

Qualora Merz dovesse tener fede agli impegni assunti in campagna elettorale, la Cdu-Csu ripudierà qualsiasi prospettiva di intesa con Afd e relegherà ai margini la Linke, in favore di una Große Koalition con Spd – e, forse, Grünen – di cui si fatica tuttavia a intravedere la sostenibilità.

La formazione di un governo rappresenta tuttavia un problema di second’ordine rispetto a quello strategicamente esistenziale che le classi dirigenti di Berlino si ritrovano ad affrontare, consistente nell’adattamento a un ecosistema completamente nuovo. O meglio, a un contesto geopolitico segnato dallo stravolgimento degli assetti grazie ai quali la Germania si era affermata come argine preposto al contenimento dell’Unione Sovietica fino al 1991, e come aggregatore politico ed economico dei Paesi dell’est orfani dell’Unione Sovietica all’indomani della caduta del Muro di Berlino.

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Il Fatto Quotidiano

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