Fady Joudah, la poesia del popolo palestinese (Traduzione di Stefanie Golisch)

  • Postato il 27 giugno 2025
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Fady Joudah (Austin, 1971) è un poeta, traduttore e medico palestinese che vive a Houston, Texas. Per la sua capacità di colmare i divari culturali attraverso i suoi contributi letterari e le sue traduzioni di poeti palestinesi, per esempio Mahmoud Darwish, è stato riconosciuto dalla critica letteraria come un costruttore di ponti. L’esperienza del popolo palestinese è iscritta nella sua poesia. È il suo tema, non per scelta, ma per l’urgenza di dare voce a chi voce non ha e che in questo momento, davanti a un mondo inerte, è destinato a morire. Infatti, negli ultimi mesi, Joudah stesso ha perso 120 membri della sua famiglia.

La sua poesia è dedicata “a coloro che sono stati uccisi nel loro cammino verso le tende. A coloro che sono stati uccisi nelle loro tende insieme ai gatti che ospitavano”. Nella luce del genocidio del popolo palestinese a Gaza, i primi versi della sua poesia “Alberi dormienti”, scritta ormai alcuni anni fa, acquistano un valore profetico: tra quello che dovrebbe e non dovrebbe essere, in ogni momento tutto può esplodere. Infatti, è esploso.

S. G.

Sleeping trees
Between what should and what should not be
Everything is liable to explode. Many times
I was told who has no land has no sea. My father
Learned to fly in a dream. This is the story
Of a sycamore tree he used to climb
When he was young to watch the rain.

Sometimes it rained so hard it hurt. Like being
Beaten with sticks. Then the mud would run red.

My brother believed bad dreams could kill
A man in his sleep, he insisted
We wake my father from his muffled screams
On the night of the day he took us to see his village.
No longer his village he found his tree amputated.
Between one falling and the next

There’s a weightless state. There was a woman
Who loved me. Asked me how to say tree
In Arabic. I didn’t tell her. She was sad. I didn’t understand.
When she left. I saw a man in my sleep three times. A man
I knew could turn anyone into one-half reptile.
I was immune. I thought I was. I was terrified of being

The only one left. When we woke my father
He was running away from soldiers. Now
He doesn’t remember that night. He laughs
About another sleep, he raised his arms to strike a king
And tried not to stop. He flew
But mother woke him and held him for an hour,

Or half an hour, or as long as it takes a migration inward.
Maybe if I had just said it.
Shejerah, she would’ve remembered me longer. Maybe
I don’t know much about dreams
But my mother taught me the law of omen. The dead
Know about the dying and sometimes
Catch them in sleep like the sycamore tree
My father used to climb

When he was young to watch the rain stream,
And he would gently swing.
*
Alberi dormienti

Tra quello che dovrebbe e non dovrebbe essere
in ogni momento tutto può esplodere. Molte volte
ho sentito dire che chi non ha un paese non ha un mare. Mio padre
ha imparato a volare in un sogno. Questa è la storia
di un platano sul quale, da ragazzo, saliva
per guardare la pioggia.

A volte pioveva così forte che faceva male. Come essere
picchiato con un bastone. Allora, il fango diventava rosso.

Mio fratello credeva che i brutti sogni potessero
uccidere nel sonno, credeva
che noi avessimo svegliato mio padre dalle sue grida soffocate
quando ci aveva portato a conoscere il suo villaggio.
Non più il suo villaggio, aveva trovato il suo albero amputato.
Tra una caduta e l’altra

c’è sempre un attimo di sospensione. C’era una donna
che mi amava. Mi aveva chiesto come si diceva albero
in arabo, ma non le avevo risposto. Era rimasta male e io non avevo capito.
Quando se n’era andata, per tre volte, mi era apparso un uomo nel sonno.
Lo conoscevo, era capace di trasformare chiunque in un ibrido.
Non provavo nulla. Pensavo. Ero terrorizzato dall’essere

l’ultimo rimasto. Quando abbiamo svegliato mio padre
stava scappando dai soldati. Ora
non si ricorda più di quella notte. Ride, invece, di quando,
sempre nel sonno, aveva alzato le mani per picchiare un re
instancabile. Alla fine era scappato
e mia madre l’aveva svegliato, tenendolo in braccio per un ora

o una mezz’ora o per quanto tempo ci voglia perché un uomo torni in sé.
Se solo l’avessi detto.
Shejerab, e lei non mi avrebbe più dimenticato. Forse
non mi intendo di sogni.
Ma mia madre mi ha insegnato la legge dei presagi. I morti
sanno di quelli che stanno morendo e a volte vengono nel sonno
come il platano sul quale saliva mio padre da ragazzo
per guardare la pioggia, dondolandosi gentilmente.

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Il Fatto Quotidiano

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