Ex Ilva, spunta un’alternativa senza forno elettrico. Bucci: “Pronte altre industrie, ma prima l’acciaio”
- Postato il 4 settembre 2025
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- Di Genova24
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Genova. Il via libera istituzionale al forno elettrico a Cornigliano è “un’opportunità per gli investitori”. Così aveva detto il ministro Urso dopo l’incontro in prefettura martedì a Genova: un’opportunità, non una condizione vincolante. E infatti, alla vigilia della manifestazione di protesta indetta da comitati e associazioni della delegazione, emerge un’indiscrezione riportata da Il Secolo XIX e La Repubblica secondo la quale nei piani di Jindal, uno dei gruppi in corsa per acquisire gli impianti, non ci sarebbe nessuna nuova produzione a caldo a Genova.
La soluzione – che tranquillizzerebbe i comitati e alcune forze politiche del centrosinistra genovese, ma non i sindacati – sarebbe stata prospettata ieri durante un incontro riservato a Palazzo Tursi con la sindaca Silvia Salis. Il gigante indiano della siderurgia, se diventasse proprietario dell’ex Ilva, farebbe arrivare l’acciaio dal sito di Piombino, dove ha annunciato investimenti per 143 milioni. A Cornigliano rimarrebbero le linee di zincatura e stagnatura a freddo, eventualmente da potenziare in termini di capacità produttiva. Da Comune per ora non arriva alcun commento, anche se viene confermato che l’incontro è effettivamente avvenuto, su richiesta dell’azienda.
Per l’acquisizione dell’ex Ilva sono sei le offerte arrivate sul tavolo del ministero delle Imprese e del Made in Italy: Baku Steel, Jindal, Bedrock Industries per l’intero perimetro aziendale; Marcegaglia, Eusider e Sideralba solo per alcuni specifici asset. Anche Marcegaglia, ad esempio, potrebbe trovare conveniente lavorare a Genova l’acciaio prodotto a Fos-sur-Mer in Francia, senza costruire un forno elettrico a Genova. Le manifestazioni di interesse termineranno il 15 settembre, poi si aprirà la fase delle trattative che – secondo quanto dichiarato da Urso a Genova – potrebbe concludersi con l’assegnazione degli impianti nella prima metà del 2026.
Bucci: “Priorità acciaio, ma abbiamo una lista di aziende che fanno industria che vorrebbero entrare”
“Io so che noi abbiamo fatto al ministro due ipotesi: l’ipotesi in cui si faccia il forno elettrico che libererà 300mila metri quadrati e l’ipotesi in cui non si faccia il forno elettrico che libererà 600mila metri quadrati. Abbiamo già tutta una lista di aziende che vorrebbero entrare in quelle aree, quindi vedremo. Ma direi che ora la cosa principale è capire cosa si fa con l’acciaio”, sottolinea il presidente della Liguria Marco Bucci.
Nell’opzione senza forno elettrico, dunque, si riaprirebbe la partita delle aree di Cornigliano, oltre un milione di metri quadrati vincolati all’acciaio dall’accordo di programma. È noto che un gruppo di imprenditori della logistica aveva già manifestato interesse per acquisirne una parte, ma Bucci precisa: “Sono aziende che fanno industria”. Ulteriori dettagli non li fornisce, ma il concetto è chiaro: quell’area potrebbe mantenere la vocazione industriale anche con l’ex Ilva ridimensionata rispetto alle ambizioni attuali.
La priorità, però, rimane la siderurgia: “Quando abbiamo capito cosa si fa con l’acciaio, si può pensare cosa si fa col resto, ma se non si capisce cosa si fa con l’acciaio la situazione rimane ancora congelata come è rimasta per otto anni, e non va bene – prosegue il governatore -. Noi vogliamo che quell’area generi posti di lavoro per Genova con ricadute economiche e occupazionali e l’acciaio è un modo per avere posti di lavoro. Ovviamente ce ne sono altri, però non sono in alternativa, sono in complemento. Questa è la cosa importante che bisogna chiarire”.
Niente forno elettrico a Genova? Lo scetticismo dei sindacati
L’ipotesi del forno elettrico a Cornigliano, contenuta nel piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva predisposto dal Governo, è considerata necessaria per raggiungere la produzione di 8 milioni di tonnellate d’acciaio all’anno, visto che nello stabilimento di Taranto non si potrebbero superare i 6 milioni di tonnellate in virtù dei limiti posti dall’autorizzazione integrata ambientale. In questo modo, poi, Genova e tutto il Nord Italia sarebbero indipendenti dall’approvvigionamento che oggi viene garantito solo da Taranto.
Ed è per questo che i sindacati spingono per il ritorno della siderurgia a caldo, come rimarcato anche dopo l’incontro con Urso. Oggi Armando Palombo, storico esponente della Fiom e della Rsu ex Ilva, scrive sui social: “La situazione degli impianti di Taranto è che viaggiano a ritmi ridotti e ci auguriamo che non si fermino. L’impegno che abbiamo messo per trovare soluzioni realistiche è noto a tutti. Faremo di tutto per difendere il nostro reddito e il nostro lavoro per noi e le nostre famiglie”. Il timore è che un eventuale stop della produzione in Puglia possa portare alla chiusura dello stabilimento genovese con ripercussioni drammatiche su 1.200 dipendenti (tra lavoratori in servizio e cassintegrati).
Anche Antonio Apa, segretario della Uilm Liguria, non vede di buon occhio lo scenario senza forno elettrico a Genova: “Tutte favole quelle di Jindal. Un’azienda che intende fare un’acquisizione va in processione dal ministero delle Imprese e del Made in Italy e non dalla sindaca Salis che, ben si sa, ha espresso il parere favorevole del Comune di Genova sul tema del forno elettrico. Questo è il metodo: si va dal ministero. Genova mica vuole rimanere con il cerino in mano. Tra l’altro, non ci pare che le credenziali di Jindal siano così qualificate, gli impegni assunti a Piombino parlano chiaro: questa azienda non ha fatto granché per rispettarli. Chi si candida per riqualificare Genova deve almeno avere i titoli giusti. Sul tavolo al momento esiste solo il processo di decarbonizzazione tracciato dai commissari insieme alla salvaguardia ambientale e occupazionale. Ambiente, lavoro e occupazione devono poter convivere. Per salvare la siderurgia italiana e le nostre acciaierie occorrono forni, navi, dri, processi. Non elementi sparsi. Le carte si scopriranno il 15 settembre: tutto il resto è fantasia, favole, sport”.