Educazione sessuale, il governo preferisce proibire invece di normare: così restiamo (ancora) fanalino di coda in Ue
- Postato il 28 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Ancora una volta un tema così delicato come l’educazione sessuale affettiva si è ridotto ad un dibattito da talk show che vede da una parte la Lega e gli ossessionati dalla fantomatica teoria gender portata avanti da presunti insegnanti comunisti presenti nelle scuole (non so dove li vedano), mentre dall’altra quelli che ritengono che la scuola abbia gli strumenti per educare tutti a tutto con insegnanti formati, preparati, professionisti della sessuologia, dell’intercultura, dell’inclusione, della letteratura, dell’Ai, dell’autismo, della dislessia, della privacy, della sicurezza e chi più ne ha più ne metta. Non solo. Spesso quest’ultimi sono anche quelli persuasi del fatto che i genitori debbano starsene fuori dalle aule.
Risultato? Un Disegno di Legge propagandistico, di parte, che tiene conto di tutti ma non dei bambini. Anziché pensare a come educare i bambini alla sessualità e all’affettività mettendo in campo risorse per formare i docenti o scegliendo con quali enti collaborare per far entrare in aula degli esperti che siano capaci di parlare di questi temi con i più piccoli senza condizionarli in nessun modo, il governo ha scelto – come sempre – la strada più corta e meno complessa: il divieto.
Eppure in Francia l’educazione sessuale fa parte dei programmi scolastici fin dal 1973: le scuole sono tenute a impartire 30-40 ore e distribuire profilattici agli studenti di terza media e prima superiore. In Germania, fa parte dei programmi scolastici fin dal 1970. Di solito include tutti gli argomenti riguardanti il processo di maturazione dal punto di vista biologico, psicologico e sociale: i cambiamenti nel corpo, la riproduzione, le emozioni, l’atto sessuale, la vita di coppia, l’omosessualità, le gravidanze non volute, le complicazioni dell’aborto, i danni della violenza sessuale, compresa quella sui minori e le malattie.
In Svezia, l’educazione sessuale fa parte integrante dei programmi scolastici fin dal 1956. Si cominciano a trattare gli argomenti dalle prime classi elementari e si continua per tutti gli anni, all’interno di argomenti disparati quali la biologia e la storia. In Finlandia, la Population and Family Welfare Federation distribuisce a tutti i quindicenni un kit introduttivo di educazione sessuale che include un opuscolo, un profilattico e il video di una storia d’amore in cartoni animati. In Giappone l’educazione sessuale è obbligatoria a partire dai dieci o undici anni, e tocca principalmente gli aspetti biologici, come la mestruazione e l’eiaculazione.
L’Italia è una delle pochissime nazioni in Europa, insieme a Cipro, Bulgaria, Polonia, Romania e Lituania, prive di programmi curricolari nel merito. E sono sedici le iniziative parlamentari nel tempo inutilmente avviate per normare l’introduzione dell’educazione sessuale nelle scuole, dal 1977 al 2019. Perché da noi non si fa?
E’ chiaro che lo spirito del Vaticano abbia influenzato da sempre il modello educativo di questo Paese, ma nel 2025 dovrebbe essere altrettanto evidente che lo Stato non può essere ancora a servizio della Chiesa giustificando le sue scelte affidando alla famiglia il compito di educare i figli alla sessualità. Una teoria, quest’ultima, fragile dal momento che non sempre mamme e papà sono all’altezza di questa “mission”. Sarebbe stata necessaria piuttosto una norma che disciplinasse e facesse ordine su chi oggi mette piede in classe a fare educazione sessuale: spesso, infatti, le scuole si sono affidate a consultori cattolici che si sono presentati in classe evitando di parlare di aborto o di anticoncezionali.
Nulla di tutto ciò. Resta Rocco. Il ministero preferisce che i nostri ragazzi scoprano il sesso su Youporn piuttosto che a scuola.
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