Discutere se Anas al-Sharif meritasse di essere ucciso o no è una deriva offensiva, pericolosa e razzista
- Postato il 13 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Anas al-Sharif, ragazzo palestinese e giornalista, aveva 28 anni. Era sposato e aveva due figli: Sham e Salah. Era uno dei principali corrispondenti di Al Jazeera, portando avanti il giornalismo come atto di verità e resistenza.
L’11 agosto 2025, al-Sharif e altri quattro colleghi – Mohammed Qreiqeh, Ibrahim Zaher, Mohammed al-Khaldi, Moamen Aliwa – più il loro autista Mohammed Noufal – sono stati assassinati insieme in un attacco deliberato da Israele contro una tenda che ospitava giornalisti nei pressi dell’ospedale Al-Shifa. L’ennesimo tentativo israeliano, statunitense ed europeo di eliminare le voci palestinesi.
Il lavoro di Anas al-Sharif e la sua dedizione hanno riempito le giornate di tutti i palestinesi, e la sua morte è un colpo che violenta le nostre anime come se fosse un membro della famiglia di ognuno di noi. “Aspettavamo di sentire con la sua voce la notizia del cessate il fuoco, ma la colonia genocida ha spento la sua voce prima di spegnere il fuoco”, mi ha detto la mia amica Yasmina, mentre cercavamo di elaborare questo ennesimo evento traumatico che ha travolto le nostre vite.
Mai nella storia sono stati assassinati così tanti giornalisti con attacchi mirati, e mai con così tanta impunità. Circa 270 giornalisti palestinesi sono stati uccisi dall’inizio del genocidio.
Oggi il dibattito mediatico e politico sarebbe dovuto partire da questo dato tragico e trovare soluzioni per tutelare i giornalisti palestinesi. Ma questa è solo la teoria. Nella pratica, il dibattito si è concentrato sul fatto se Anas al-Sharif, ucciso mentre era disarmato e affamato, meritasse o meno di essere ucciso, in base al fatto che simpatizzasse per Hamas oppure no.
Questa discussione è offensiva, pericolosa e razzista: significa tentare, lentamente, di far digerire alle persone l’assassinio di al-Sharif e di placare l’indignazione pubblica. Perché, nella realtà, questo è un dettaglio irrilevante di fronte al fatto oggettivo: Israele ha bombardato una tenda vicina a un ospedale dove si rifugiavano dei giornalisti, uccidendo persone disarmate che svolgevano il proprio lavoro.
In altre parole, secondo questo dibattito, i palestinesi devono essere umanizzati solo se si adeguano alla narrazione e alle visioni politiche occidentali, ovvero di chi li ha sempre ignorati, deumanizzati e demonizzati. Il fatto che si discuta dell’assassinio di al-Sharif (e che lo si chiami solo per nome proprio è un atto razzista, perché lo infantilizza, dato che per i giornalisti occidentali si usa il cognome) concentrandosi sul suo presunto sostegno a Hamas è puro razzismo. Significa che la vita e la dignità dei palestinesi sono subordinate alle opinioni politiche che altri ritengono accettabili. L’umanità dei palestinesi va riconosciuta e difesa indipendentemente da chi siano o da cosa pensino.
Al-Sharif era libero di avere le proprie opinioni politiche, e a prescindere da queste non avrebbe mai dovuto essere assassinato. al-Sharif avrebbe dovuto essere vivo per continuare a documentare il genocidio palestinese commesso da Israele, dagli Usa e dall’Ue nell’impunità più totale. Questa è la verità. L’altra verità è che chi ha partecipato a dibattiti che fomentano razzismo e propaganda genocidaria dovrebbe essere chiamato a risponderne legalmente, e non continuare a scrivere certi articoli come se fossero normali e innocui.
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