Dieci anni de L’Ascensore. Nuova sede per lo spazio palermitano, in un quartiere ad alto tasso artistico
- Postato il 7 dicembre 2025
- Arte Contemporanea
- Di Artribune
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Nasceva per caso, sull’onda dell’entusiasmo. Idee poco chiare, alleanze sotterranee e il fiuto allenato per certe occasioni di creatività e di condivisione. Un micro spazio espositivo concepito per gioco, non mettendo in conto, lì per lì, ipotesi di futuro, programmi, strategie di sostenibilità. Giusto il desiderio di dare forme ulteriori all’amore per l’arte: quella praticata, quella collezionata, quella fruita fra le poche gallerie di Palermo, le esigue (quanto cruciali) realtà indipendenti e un sistema museale ferito, irrisolto, nonostante diverse esperienze di valore. Accadeva 10 anni fa. E oggi, per farsi un adeguato regalo, L’Ascensore ha scelto di cambiare pelle, spostandosi nella sua terza casa. La città intanto è cambiata con lui, nella progressione sofferta di traguardi e inefficienze, di exploit e di débâcle, di giri di poltrone, azzeramenti, ricominciamenti, fino all’odierna fase di fiacca e di vuoto progettuale.

L’Ascensore, gli inizi a Palermo
Era la Palermo del 2015, che nel tentativo di dotarsi di una visione gettava le basi per la bella stagione di Manifesta e per il titolo di Capitale della Cultura, celebrato tre anni dopo. Ed era il contesto in cui, per azzardo e per diletto, spuntava questa piccola gemma, in un vicolo ultrapopolare del centro storico, a 200 metri in linea d’aria dal Teatro Massimo. Talmente piccola da assomigliare alla cabina di un comodo ascensore. Un laboratorio per artisti, un “window project” di 8 metri quadri con finestra su strada, illuminato 24 ore su 24: una specie di navicella spaziale o di minima unità abitativa, fuori contesto e fuori registro, precipitata lì da un altro cielo o da un sussulto dell’immaginazione.

A rispolverare l’origine di questa storia è Alberto Laganà, medico e collezionista, allora appena quarantenne, sedotto da opere improntate a una freschezza e a una qualità che lo portavano soprattutto verso i giovani del territorio: fiutarne il talento, acquistare qualcosa, permettere loro di produrre ancora. “Gianluca Concialdi, rientrando da Milano, mi chiese di aiutarlo a realizzare una serie di opere: girovagando, in cerca di posto dove far asciugare i pezzi, ci imbattemmo in una piccola vetrina, lo spazio di un amico”. Pochi metri, un cubo bianco in miniatura, che invitava già a restare: “L’amico ci consentì gentilmente di allestire lì la nostra prima mostra. Fu Giancluca a battezzarlo L’Ascensore, per via delle ridotte dimensioni. La mia idea era di selezionare due suoi lavori, installarli, accendere la luce e aprire i profili social. E così accadde. Al primo vernissage eravamo presenti il sottoscritto, Gianluca e un altro artista, Pino Borgia. Completamente ignari di quello che sarebbe accaduto dopo”.
Concialdi prese in carico la direzione artistica, secondo la formula diffusa dell’”artist run space”, mentre Laganà manteneva i suoi panni di mecenate, nonché di presidente dell’omonima associazione, nata subito dopo: “Ritengo che un collezionista possa guardare alla storia dell’arte in due modi: avendola raccontata dagli addetti ai lavori oppure sostenendola, per ciò che gli compete, dunque con la possibilità di viverla e forse, a sua volta, di poterla raccontare domani”.
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Il team de L’Ascensore e le prime sedi
Seguirono mostre di artisti emergenti assai interessanti, pescando tra nomi locali e internazionali, da Namsal Siedlecki a Mirak Jamal, da Giovanni Sortino a Federica Di Carlo, da Vincenzo Ferlita a Pakui Hardware. Nel frattempo la squadra si arricchisce di nuovi sostenitori, per quella che si configura soprattutto – ci tiene a ricordarlo Laganà – come “una storia di amicizie”. Negli anni entreranno in squadra “Danilo Signorino, Vito Bongiorno, Riccardo Matranga e Cosimo Callari. Tutti amici che hanno investito su un progetto che non avrebbe dato né utili né dividendi, ma piuttosto la possibilità di vivere la genesi di una mostra, con tutte le gioie e i dolori”.
Nel 2018 L’Ascensore affronta il primo trasloco: il progetto è ormai consolidato e ha una linea chiara, tra scouting e ricerca, vivacità e rigore. Quella prima fortunata sede in miniatura lascia il posto a uno spazio più ampio, dove dar sfogo a progettualità articolate. Ci si sposta in Vicolo Niscemi, viuzza strategica tra palazzi monumentali, giardini, il mare in lontananza e nei paraggi riferimenti importanti come l’Abatellis o il Museo delle Marionette.
Si parte con le raffinate strutture effimere di Gianfranco Maranto, si prosegue con la figurazione onirica di Francesco Maria Romano, con l’astrazione radicale di Gabriele Massaro o con i solidi minimalisti di Sylvain Croci-Torti. Nel 2022 il racconto dei primi sette anni è affidato a una pubblicazione autoprodotta: progetto grafico del duo artistico Genuardi/Ruta, mentre la copertina dell’artista Francesco Tagliavia dà spazio al pittogramma dell’efficace logo – una mano che pigia un bottone – ricalcando lo stile delle classiche illustrazioni editoriali dell’800.

Dalla nuova direzione artistica alla terza sede de L’ascensore
Qualcosa intanto era cambiato nel team. Già nel 2017, dopo l’uscita di scena di Concialdi, preso da nuovi impegni personali, Antonella Genuardi (Sciacca, 1986) e Leonardo Ruta (Ragusa, 1990) avevano accolto la proposta di subentrare alla direzione artistica, ruolo mantenuto tutt’oggi. “L’identità che abbiamo voluto dare”, ci raccontano, “è quella dell’azzardo: invitiamo artiste e artisti, così come curatori e curatrici, che sentiamo vicini per via di ricerche radicali, senza lasciarsi influenzare dalle mode”. E così, con il debutto in Via Principe di San Giuseppe e poi con i sette anni in Vicolo Niscemi, si è delineato “non soltanto uno spazio espositivo, ma un ambiente dove l’opera prende vita senza costrizioni”.
Non cambia l’approccio con la terza fase de L’Ascensore, nella sede inaugurata a novembre 2025 in Via Pacini, di nuovo in centro storico, ma lievemente più a ovest, con tre vani comunicanti, per un totale di 80 mq. “Il nuovo spazio – precisano Genuardi Ruta – è occasione per ampliare il campo delle possibilità: non solo mostre, ma anche momenti di lavoro condiviso, programmi di approfondimento, pratiche che mettano in relazione artisti, pubblico e città”.

Fu un artista a suggerire alla famiglia de L’Ascensore la presenza di un locale sfitto a pianterreno, con ingresso su strada, proprio a pochi metri da casa sua. Ideale per posizione e dimensione, lo spazio al civico 19 di Via Pacini divenne laboratorio per l’immediato futuro. Alcuni mesi di impegno per portare a termine i lavori di adeguamento e poi l’affollato opening, lo scorso 15 novembre, con una collettiva di tanti fra gli artisti coinvolti in questo primo decennio. Sfornata anche una nuova pubblicazione, con progetto grafico di Giorgia Di Stefano, che ripercorre i progetti messi in campo fin qua. E intanto si lavora alla programmazione dei prossimi mesi, di cui Genuardi/Ruta ci anticipano qualcosa: “Per gennaio 2026 abbiamo in agenda la prima personale di Lorenzo Testa. Più avanti sono previste la mostra di Sonia Kacem e la prima personale in Italia di Mina Enowaki. Pubblicheremo anche un libro che racconta il dietro le quinte della mostra realizzata da David Brooks nello spazio di Vicolo Niscemi, durante l’estate 2024, con il supporto dell’Università Gallatin di New York”.
L’Ascensore nel quartiere Zisa
È così che si aggiunge un nuovo tassello al lento processo di trasformazione che interessa da tempo questo angolo di città: il quartiere Zisa/Olivuzza, con le aree limitrofe, nell’arco di un decennio si è spontaneamente trasformato in un distretto ad altissima densità artistica e culturale, dove senza una ragione precisa si è radunata una comunità varia ed in crescita. Diversi gli artisti che hanno preso qui casa e studio – la francese Josephine Flasseur vi ha anche aperto uno spazio espositivo nel 2024, In via Cluverio, Officina -, ma si contano decine di critici, curatori, docenti dell’Accademia, e poi antropologi, galleristi, architetti, attori. A fare la differenza sono la centralità e il fascino di una dimensione autenticamente popolare (che significa anche residui di conflitto e di marginalità sociale): siamo nel cuore di Palermo, ma fuori dall’asse più antico, la cui sacrosanta pedonalizzazione ha sortito l’effetto di una trasfigurazione omologata e omologante, a misura di movida e di turismo di massa.
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Tra antichi palazzetti dei primi del ‘900, lacerti di strutture d’epoca in attesa di ripristino e qualche edificio degli Anni ’60-’70, la zona si estende a partire dal cosiddetto salotto borghese di via Dante, su cui si affacciano il Villino Favaloro, gioiello Liberty oggi sede del Museo regionale della Fotografia, e l’ex Stazione Lolli, a lungo abbandonata e finalmente destinata al futuro campus dell’Università Lumsa. Nei dintorni anche lo splendido Villino Florio progettato dai Basile, mentre la trama di strade interne mescola vocazione residenziale e anima commerciale. Grande hub mancato è il fortino comunale dei Cantieri Culturali alla Zisa, cittadella della cultura dalle alterne fortune, sede distaccata dell’Accademia di Belle Arti, dove resistono centri culturali importanti come il Goethe Institute, l’Institut français e il Gramsci: sono temporaneamente chiusi o mortificati da programmazioni inadeguate l’ex ZAC, hangar destinato alle arti contemporanee, e il Centro Internazionale di Fotografia intitolato a Letizia Battaglia.
Un nucleo urbano caldo, che una politica lungimirante avrebbe tutto l’interesse a rafforzare, favorendo gli spazi esistenti e incoraggiando la nascita di nuove progettualità. E invece, disinteresse o distrazione. Quanto potrebbe incidere, rispetto alla crescita e al prestigio della città e della zona, la creazione di studi d’artista con costi calmierati? O di uno spazio per residenze che promuova il transito di artisti internazionali? O ancora la produzione di buona arte pubblica nelle nascenti stazioni metropolitane? Più difficile trovare la volontà, che non le risorse. Intanto sono certe realtà indipendenti a rispondere con spirito di concretezza all’amorfismo diffuso. Accade sempre meno, ma accade. L’Ascensore è tra queste: “L’unica certezza che abbiamo – conclude Laganà – è che vogliamo conservare la freschezza di quel nostro primo stravagante vernissage in solitaria. L’incertezza originaria si è rivelata la nostra forza: L’Ascensore è rimasto un luogo di ricerca libero. Quel sentimento iniziale continua a essere una stella polare”.
Helga Marsala
L’articolo "Dieci anni de L’Ascensore. Nuova sede per lo spazio palermitano, in un quartiere ad alto tasso artistico" è apparso per la prima volta su Artribune®.