Da Cantastampa al politically correct: così i giornalisti parolieri hanno perso il senso dell’umorismo

  • Postato il 15 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Oggi i giornalisti – salvo rare eccezioni – sono poco propensi alla celia e non particolarmente dotati di senso dell’umorismo. Un tempo, invece, nei ‘favolosi’ anni 60, non era così. A quel periodo, infatti, risale il Cantastampa, una manifestazione giornalistico-canora in cinque edizioni (’63 a Rimini,’64 a Taormina,’66 a San Benedetto del Tronto,’68 a Trento, ’72 al Cantagiro), laddove gli uomini di penna dotati di sense of humor scrivevano i testi per i brani dei più noti cantanti italiani di allora.

In totale sono 109 le canzoni con giornalisti in veste di parolieri. Lo racconta Michele Bovi, già caporedattore Rai e musicologo esperto, che tempo fa su Il Fatto Quotidiano aveva già tracciato un ricordo della dimenticata manifestazione. Ora la storia del Cantastampa, però, è diventata un libro, appena uscito per Coniglio Editore, ricco, oltre che di aneddoti, anche di suggestive immagini d’epoca.

Scriveva Indro Montanelli, sul Corriere della Sera del 10 settembre ’63, a proposito di Giuseppe Marotta, divenuto, dopo una lunga trafila, giornalista di spettacoli al Corsera e infine critico cinematografico per L’Europeo: “Quale credete che fosse la sua suprema ambizione? Era quella di comporre versi di una canzone che vincesse il festival di Sanremo”. E come lui tanti altri.

Un vezzo che nasce da lontano: a cimentarsi nel mestiere di paroliere erano già stati Giuseppe Turco del giornale satirico romano Capitan Fracassa, che, nel 1880, compose il testo della nota Funiculì Funiculà e Giovanni Capurro del quotidiano Il Roma, co-autore de O’ sole mio (1898). Solo per citare alcuni fra i pionieri.

L’inventore della manifestazione canora Cantastampa fu, nel ’63, il giornalista di cronaca nera de Il Resto del Carlino Sandro delli Ponti, ma già nel’60 l’attrice Laura Betti aveva messo in scena uno spettacolo ricco di canzoni con parole elaborate da giornalisti. E che giornalisti: Ennio Flaiano, Goffredo Parise, Alberto Arbasino, Camilla Cederna, Ercole Patti, Mario Soldati. Certo non erano giornalisti tout court, erano soprattutto scrittori. Ma, quasi contemporaneamente, ecco l’avanzata dei cronisti a tutti gli effetti, iscritti all’Ordine. Le parole de Ma che storia è questa?, sigla del programma La storia d’Italia a fumetti (’80), cantata da Mimmo Cavallo, sono di Enzo Biagi.

Un antenato del Cantastampa era andato in onda, sul Secondo Canale (oggi RaiDue), nel ’62, in seconda serata, presentato da Lelio Luttazzi con una allora quasi misconosciuta Raffaella Carrà (ascolti ridicoli perché sull’Uno c’era Canzonissima…). Lo show si chiamava Il paroliere questo sconosciuto, bissato nel ’63. Peccato che le Teche Rai abbiano perso (mah?) tutti quei filmati (come pure tanti altri…). I vari Mogol, Calabrese, Migliacci ecc. vennero sostituiti in Cantastampa dai cosiddetti ‘giornautori’ come Franco Moccagatta, Antonio Lubrano, Franco Bonassissi, Gianni Minà, persino futuri grandi inchiestisti di mafia come Joe Marrazzo che allora non era ancora in Rai, ma a Marie Claire, si esibì nelle parole della canzone Stanotte ti parlerò, cantata da Nando Pucci Negro.

Oltre al già citato Costanzo (che scrisse le parole – e questo è un fatto noto – di Se telefonando per Mina), nel Cantastampa ’66 il cronista della dolce vita romana Ivano Davoli che lavorava a Paese Sera si presentò come fu autore di Fallo felice tu eseguita dai futuri Vianella. E Gianni Morandi cantò, al Cantastampa ’66, Un amore sbagliato, il cui testo è dei giornalisti del Carlino Gianni Castellano e Giorgio Martinelli, il quale aveva anche scritto per Mia Martini Are My Boy. Al Cantastampa ’68 Riccardo Cocciante cantò So di una donna, scritta da Enzo Rava di Paese Sera, e Bruna Modigliani cantò Un piede, composta da Paolo Conte con testo di Vincenzo Buonassisi del Corsera.

Tavolo per due di Giorgio Gaber offriva un testo di Velia Veniero di Bolero Film (edizione ’64) e per Che Mondo Strano dei Rokes si cimentarono Elisabetta Ponti e Bruno Modugno del settimanale Big. Anche in Sicilia i cronisti si facevano parolieri: Kris Mancuso de L’Ora di Palermo fu autore del testo, geograficamente centrato, Lupara Twist, di Pino Donaggio. Potrei continuare a lungo, anzi solo fino al ’72 quando la Direzione Generale Rai con un telegramma comunicava a Cantastampa: “Confermiamo con rincrescimento non poter effettuare altre riprese oltre le già complessivamente concordate […]. Apprezzando peraltro manifestazione Cantastampa dedicheremo alla stessa servizi giornalisti tv e radio. Stop. Cordiali saluti”. Non se seppe più nulla di Cantastampa. Oltre alle testate già citate, L’Ansa, Il Giorno, La Notte, Il Tempo, La Nazione, Il Roma, l’Avanti, Gente, Il Messaggero, Tuttosport, La Sicilia, addirittura periodico psuedo-scientifici come Selezione Medica o il cattolicissimo Vita, tutte convivevano liberamente in nome di Cantastampa, dal settimanale parafascista Lo Specchio con (l’allora) seriosissima Unità e Il Popolo, organo della Dc.

Via via, con il passare degli anni, i giornalisti divennero meno spiritosi e più cupi. E, infine, la orrenda cappa mefitica del politicamente corretto fornì il colpo di grazia.

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Il Fatto Quotidiano

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