Crisi climatica, le donne pagano il prezzo più alto. Le storie (portate alla Cop30) da Brasile, Kenya e Tanzania

  • Postato il 22 novembre 2025
  • Diritti
  • Di Il Fatto Quotidiano
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La crisi climatica non è neutra. Il genere conta. Perché quando i raccolti bruciano a causa della siccità prolungata e bisogna camminare chilometri per trovare acqua che si può bere, oppure quando gli uomini migrano cercando un posto di lavoro, a portare il peso più grande della crisi climatica sono donne e ragazze. Lavorano di più e riposano di meno. Anche se sono in gravidanza. Esposte alle violenze, a gravidanze precoci e matrimoni forzati, con accesso limitato a cure mediche, cibo, autonomia economica e diritti sul proprio corpo. Strade e ponti danneggiati, infatti, rendono difficile raggiungere ospedali e centri sanitari. Nei giorni della Cop 30 di Belém, dove la voce degli indigeni ha avuto un ruolo e una potenza inediti, arrivano proprio dal Brasile, ma anche dal Kenya e dalla Tanzania le storie di queste donne. Le ha raccontate nel rapporto “On our lands, on our bodies” – realizzato in collaborazione con il centro di ricerca Arco – l’organizzazione umanitaria WeWorld, membro italiano di ChildFund Alliance, rete globale impegnata nella tutela dei diritti dell’infanzia.

Alla Cop30, la voce delle donne che pagano il prezzo della crisi

E alla Cop le ha portate Lydia Wanja Kingeru, attivista e ricercatrice keniana, insieme all’attivista indigena brasiliana Glaubiana Alves, una delle voci della ricerca. “La ricerca analizza come il cambiamento climatico influenzi la salute sessuale e riproduttiva delle donne, in particolare nelle comunità indigene e rurali. Si concentra su esperienze provenienti da Brasile, Kenya e Tanzania, dove le trasformazioni ambientali stanno modificando profondamente la vita quotidiana” spiega Martina Albini, coordinatrice del Centro studi di WeWorld. Alla Cop, tra l’altro, c’è chi conosce bene il prezzo pagato dalle donne per il cambiamento climatico. Certamente lo conosce la ministra dell’Ambiente del Brasile, Marina Silva, nata in un villaggio dell’entroterra amazzonico. Figlia di raccoglitori di gomma, è stata analfabeta fino ai 17 anni quando, trasferita in città, ha iniziato a combattere per i diritti dei raccoglitori. Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, ha lanciato di recente un appello: “Quando il fiume sale, le cliniche devono restare aperte”. Proprio ciò che non accade in molti dei Paesi più a rischio. In questo modo le donne non hanno un posto sicuro dove cercare aiuto e diventano irraggiungibili il presidio sanitario che può fornire la contraccezione, le cure prenatali, quelle dopo uno stupro. Ma l’azione climatica dimentica la salute e i diritti sessuali e riproduttivi delle donne.

Storie dal Brasile: “Camminavamo per ore con i vestiti in testa da lavare”

In Brasile, lo studio condotto nelle comunità indigene del Ceará, evidenzia come il cambiamento climatico stia ridefinendo le dinamiche di potere all’interno delle famiglie. Il degrado ambientale minaccia i mezzi di sussistenza tradizionali e i sistemi alimentari, mentre gli eventi climatici estremi e le infrastrutture danneggiate limitano l’accesso ai servizi sanitari. “La mia infanzia e adolescenza non sono esistite, le ho trascorse prendendomi cura dei miei fratelli più piccoli. Ero la maggiore di dieci fratelli – racconta una delle donne indigene del Ceará – e la mia comunità era piena di sofferenza e senza opportunità. La situazione idrica era terribile: dovevamo camminare per ore con i vestiti in testa da lavare, e tornavamo con il collo dolorante”. Ma non c’era acqua corrente, solo pozzi salmastri: “Ci rendevano la pelle grigia. Usavamo l’olio da cucina per idratarci”. Le donne indigene stanno assumendo ruoli di leadership all’interno delle famiglie e delle comunità “ma il peso delle norme patriarcali e la fragilità delle reti di supporto femminile – denuncia WeWorld – rendono necessario un intervento mirato e sensibile al contesto locale”.

Storie dal Kenya: “Le donne svolgono più lavori pesanti”

In Kenya, la ricerca condotta in tre contee, Narok, Isiolo e Kwalesu, sottolinea come i fattori legati al cambiamento climatico influiscono sulla salute riproduttiva e delle madri. Siccità, inondazioni e ondate di calore estremo, compromettono l’accesso all’acqua: il 91 per cento delle donne intervistate segnala una riduzione dell’accesso ai servizi sanitari, l’89 per cento riferisce di impatti negativi durante la gravidanza e l’83 per cento riscontra peggioramenti nella gestione della salute durante il ciclo mestruale. In queste contee, le donne lavorano di più e riposano di meno. La scarsità d’acqua e di cibo aumenta anche il carico di lavoro domestico e agricolo, con conseguenze sulla salute fisica e mentale. “La situazione è aggravata dalla struttura patriarcale della proprietà terriera – è il racconto di un’altra donna – sono gli uomini a decidere come utilizzare la terra, anche per piccoli orti. Tante donne sono costrette a lavorare nei campi altrui solo per guadagnare qualcosa”.

Storie della Tanzania: “Vulnerabili davanti a violenze e matrimoni precoci”

In Tanzania, l’indagine è stata condotta sull’isola di Pemba, nelle aree di Konde, Micheweni e Majenzi. Qui l’accesso all’acqua rappresenta una sfida critica: il 58% delle donne segnala difficoltà e l’81% è costretto a percorrere lunghe distanze per procurarsela, con rischi per la salute e per la sicurezza. L’insicurezza alimentare causata dal cambiamento climatico influisce negativamente sulla nutrizione materna e sull’allattamento: oltre la metà delle donne (56%) ha difficoltà ad accedere a cibi nutrienti. Lo stress ambientale influenza le decisioni sulla pianificazione familiare. Le difficoltà economiche e lo stress causati dai rischi climatici rendono donne e ragazze più vulnerabili alla violenza di genere, inclusi matrimoni forzati, violenza sessuale e domestica.

Le politiche da attuare (che l’Unione europea smantella)

L’indagine di WeWorld si conclude con una sezione di raccomandazioni per orientare politiche e pratiche che promuovano l’equità di genere, la salute e la giustizia sessuale e riproduttiva. Le raccomandazioni sono indirizzate ai diversi attori coinvolti: donatori e finanziatori internazionali, decisori politici, organizzazioni della società civile. “On Our Lands, On Our Bodies” approfondisce gli effetti della crisi climatica sulle comunità rurali e indigene, ma WeWorld ha condotto anche ricerche sulla filiera agroalimentare, per comprendere come il clima influenzi l’agricoltura locale e i mezzi di sussistenza, con particolare attenzione alle donne. L’organizzazione sostiene iniziative di Disaster Risk Reduction, promuovendo sistemi locali di allerta e piani di emergenza e, a livello istituzionale, porta avanti iniziative di advocacy per influenzare le politiche climatiche e sociali, come il lavoro sulla direttiva Due diligence presso l’Unione Europea, per promuovere responsabilità sociale e tutela dei diritti nelle filiere produttive. Proprio in questi giorni, tra l’altro, è partito il negoziato interno all’Unione europea, dopo che il Parlamento Ue ha votato la sua posizione negoziale, indebolendo il pacchetto di misure che obbligano le aziende a rispondere delle violazioni dei diritti umani e ambientali nelle loro catene di approvvigionamento.

Fotocredits: WeWorld

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