Crescente presenza della ‘ndrangheta in Ecuador, «Istituzioni da depurare»

  • Postato il 7 dicembre 2025
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Crescente presenza della ‘ndrangheta in Ecuador, «Istituzioni da depurare»

«Catena di comando da depurare»: l’ambasciatrice Salazar Méndez in Commissione antimafia sulla crescente presenza dei broker della ‘ndrangheta in Ecuador


CATANZARO – Necessario «depurare» la catena di comando in Ecuador, dove l’Europol segnala una crescente presenza di broker della ‘ndrangheta e dei cartelli albanesi. Questa la ricetta di Diana Salazar Méndez, ambasciatrice dell’Ecuador in Argentina. L’ex procuratrice generale del piccolo Paese andino ne ha parlato alla Commissione parlamentare antimafia che prosegue così una serie di audizioni sulle nuove rotte del narcotraffico internazionale. “Ecuador: un’oasi di pace che è diventata un centro operativo per la mafia globale” il tema della relazione dell’ambasciatrice, che ha illustrato i fattori che hanno maggiormente inciso sull’espansione senza controllo del mercato della droga. In particolare, quando la presidente Chiara Colosimo ha chiesto se fossero state fatte indagini sul ruolo dei broker europei incaricati di coordinare i traffici, Diana Salazar Méndez ha affermato che sarebbe «un’opportunità storica» poter contare sull’appoggio e sulla consulenza degli altri Paesi nella lotta al narcotraffico.

IL CASO METASTASIS

Ma, soprattutto, dopo aver parlato dei tre principali punti di transito – i porti di Manabi, Guayaquil, Esmeraldas – attraverso la contaminazione di container che trasportano banane, ha spiegato che molto dipende dalle omissioni nei controlli. «La droga non esce da sola». E ha aggiunto che il fenomeno dell’infedeltà delle forze dell’ordine è arrivato a «un livello molto alto». Quindi, «dobbiamo andare verso una vera e propria depurazione di tutta la catena di comando, che non ha a che vedere solo con il sistema di giustizia, ma anche con il sistema di controllo e soprattutto ha un legame con la preoccupazione precedentemente segnalata sul sistema penitenziario». Non è un caso che l’ambasciatrice ecuadoregna faccia riferimento all’operazione “Metastasis”, così denominata per indicare come la rete del narcotraffico avesse avvolto tutto un sistema: agenti penitenziari, agenti di polizia, giudici, procuratori.

RETE DI CORRUZIONE

«Tutti erano coinvolti in un una trama che aveva come obiettivo la liberazione di Leandro Norero, uno dei principali narcotrafficanti del Paese, assassinato», spiega Diana Salazar Méndez, che oggi vive sotto scorta dopo le minacce ricevute. Fu proprio lei, verso la fine del 2022, ad avviare l’indagine su un’articolata rete di corruzione in cui furono coinvolti anche il presidente del Consiglio della magistratura e il direttore dell’istituzione incaricata di gestire i centri penitenziari del Paese.

Il procuratore Nicola Gratteri e lo storico Antonio Nicaso ne parlano molto bene nel loro ultimo libro, “Cartelli di sangue”, un reportage che ricostruisce le nuove rotte del narcotraffico e spiega, tra l’altro, come l’Ecuador sia diventato uno dei principali hub del transito delle droghe. Gratteri e Nicaso nel loro lavoro ricordano anche come l’ex magistrata abbia indagato sui legami tra autorità politiche e strutture criminali transnazionali.

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RIFUGIO NEGLI USA

«Il coinvolgimento – spiega ancora l’ambasciatrice ai commissari – riguarda anche imprenditori che vivono con egli Usa e che hanno relazioni. Noi abbiamo sempre chiesto perché si dà loro rifugio. La risposta è: perché sono grandi imprenditori, perché stanno investendo nel Paese. Investono denaro sporco, però: non so in che modo la società può essere sostenuta grazie a investimenti di questo tipo». I proventi del narcotraffico contaminano l’economia globale e i soldi sporchi evidentemente non fanno schifo agli Usa, primo mercato mondiale della cocaina seguita subito dopo dall’Europa. Ecco perché, secondo l’ex magistrata, è fondamentale la cooperazione giudiziaria internazionale, quale «strumento chiave da accompagnare ad altri meccanismi di cooperazione investigativa, a partire dall’esperienza della Procura ecuadoriana negli ultimi sei anni con la mia Amministrazione».

LA NORMALIZZAZIONE

L’Ecuador da luogo di transito è diventato, negli ultimi anni, luogo di produzione, lavorazione, raccolta ed esportazione della cocaina. Questa trasformazione è andata di pari passo con «l’allarmante frammentazione dei grandi gruppi criminali, che, a sua volta, ha lasciato spazio a molte bande locali che si sono alleate come organizzazioni transnazionali. Queste bande hanno fatto scoppiare conflitti violenti per il controllo territoriale». A tutto ciò «è necessario aggiungere l’accettazione culturale del fenomeno, alimentata dalla grande esposizione della cultura al narcotraffico». Con la conseguenza che si è normalizzato il comportamento criminale nella società. Le parole di  Diana Salazar Méndez fanno luce anche su alcuni punti della giurisdizione ecuadoregna che, in forza del diritto costituzionale di quel Paese, non consente ai criminali di rimanere completamente isolati nelle carceri.

NIENTE ISOLAMENTO

  Cosa succede, dunque, in Ecuador, dove non esiste il “41 bis”?. «Quando lo Stato li lascia isolati intentano azioni costituzionali. Ma qui subentra la corruzione del sistema giudiziario: i giudici consentono loro protezione affinché non risultino completamente isolati. Per esempio, non è possibile evitare loro le visite frequenti, una volta a settimana, di tutti i familiari che loro desiderano o la comunicazione con i loro difensori attività orientate a liberare uno dei principali narcotrafficanti del Paese, che è stato assassinato nella struttura penitenziaria.

Questo cittadino aveva ottenuto una decisione da parte di uno dei giudici di un tribunale della Corte nazionale di giustizia, che gli riconosceva la possibilità di avere un computer fino a otto ore al giorno, con accesso a internet, affinché potesse esercitare il proprio diritto alla difesa. Ma di quale diritto alla difesa stiamo parlando? Il nostro sistema ad oggi è un sistema garantista all’estremo, a favore della delinquenza».

COOPERAZIONE DA RAFFORZARE

Intanto, mentre le rotte del narcotraffico si stanno ridefinendo e il 90 per cento delle droghe che arrivano nei porti italiani proviene dal Sud America, occorre consolidare gli strumenti di contrasto. Lo scambio di informazioni, i gruppi di lavoro, le operazioni congiunte. Ma, soprattutto, sempre secondo l’ambasciatrice, «dobbiamo stabilire reti di fiducia, per lo scambio di informazioni che siano in comunicazione. Per esempio, quando c’è un’indagine in corso, è possibile, attraverso i canali diplomatici scambiare informazioni. Tuttavia, la trasmissione delle informazioni attraverso i canali diplomatici richiede molto tempo, quindi dobbiamo fare progressi a livello di trasmissione di informazioni affinché questa trasmissione sia diretta e reale». E ancora: «Sono necessari gruppi di polizia e di indagine tra coloro che conoscono le attività di un’organizzazione i cui membri hanno attività nell’altro Paese. Queste autorità devono avere la possibilità di scambiare informazioni».

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