“Così soccorriamo migranti in mare e documentiamo gli orrori”: storia di Vanessa Guidi, medica di Mediterranea

  • Postato il 9 settembre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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È entrata inizialmente come attivista nel 2019, nel gruppo locale di Cesena. Ma con una laurea in Medicina in tasca le è venuto naturale avvicinarsi al team sanitario, dove aveva mandato la candidatura per partire come medica. “E così a maggio”, spiega Vanessa Guidi, 32 anni, specializzanda in medicina d’urgenza, “mi hanno chiamato per la prima missione, eravamo in pieno covid. L’ho vissuto come un onore, di Mediterranea mi piace il suo approccio verso le persone in movimento, un approccio anche politico. Oggi sono parte del direttivo e coordinatrice del team sanitario, anche se continuo a fare attivismo negli equipaggi di terra: mi occupo sia dell’organizzazione del lavoro per il coordinamento in mare, sia di recruiting per il personale medico che farà le missioni e le formazioni. Le faccio a bordo anche se non parto, un po’ di training con l’equipaggio insieme al team medico”.

L’associazione Mediterranea, la cui nave è oggi in stato di fermo e multata per aver disobbedito all’ordine di andare nel lontano porto di Genova per sbarcare naufraghi soccorsi in acqua nella notte tra il 20 e il 21 agosto, ha diversi progetti, come quello in Ucraina. Dove per due anni, dal 2022 al 2024, ha portato avanti un ambulatorio mobile nei campi profughi di Leopoli dove spesso si sono difficoltà di accesso alle cure e a farmaci che costano molto, “ecco perché spesso portiamo noi almeno le medicina salvavita”, spiega Vanessa. C’è anche un progetto in Cisgiordania, dove Mediterranea supporta il movimento di resistenza non violenta palestinese, documentando i soprusi dei coloni nei confronti della popolazione civile palestinese. E poi c’è, soprattutto, il mare.

Come intercettiamo i barchini in difficoltà – “La mia prima missione in mare come medica a bordo della nave Mare Ionio è stata a fine maggio del 2020”, racconta. “Siamo usciti due volte, per fare due soccorsi, poi ci hanno dato la quarantena a bordo. Ho fatto varie missioni dal 2020 al 2024”. Di recente, Mediterranea ha acquistato una nuova nave, più grande, con l’ospedale a bordo molto più attrezzato e una capacità di soccorso più ampia.

Ma come entra in contatto con i barchini in emergenza? Esiste un canale radio di emergenza aperto, dove tutte le navi sentono la richiesta d’aiuto; a volte invece le imbarcazioni si trovano facendo monitoraggio, attraverso il binocolo; spesso le segnalazioni avvengono grazie ad Alarm Phone, una linea telefonica su cui chiamano o le persone che sono sulla barca e che a volte riescono a dare anche una posizione; oppure anche i parenti, che spiegano da quale città sono partiti i parenti. “Si cerca di capire in base alle correnti e alle condizioni meteo marine, in base al fatto se sappiamo se il motore va o no va, in base al tempo trascorso dove potrebbero essere le persone e si inizia la fase di ricerca, poi quando c’è l’avvistamento inizia l’operazione di soccorso, che è il momento più delicato”, spiega sempre Vanessa Guidi. Che racconta anche cosa significa fare soccorso in mare: “Soccorriamo persone che sono veramente in mezzo all’acqua e che non hanno possibilità di scappare, le loro alternative sono o la cosiddetta guardia libica pagata dall’Italia che le riporta indietro, oppure rimanere mezzo al mare. Quando arriviamo e vediamo dall’alto i barchini nell’acqua ci rendiamo conto di quanto tutto questo sia folle, quanto assurde queste politiche migratorie che lasciano persone, bambine e bambini, uomini e donne, in acqua”.

L’importanza di documentare i fatti – Una volta prese a bordo, c’è tutta una fase di visite mediche in cui chi assiste vede anche tutti i segni delle torture in Libia. “Purtroppo per le politiche migratorie è importante per loro poterle documentare, perché a volte diventa fondamentale dimostrare cosa si è subito per poter avere una possibilità di non essere riportato indietro. Ovviamente se le persone se la sentono e senza insistere, rispettando la loro volontà”, nota la dottoressa. Che aggiunge: “Documentiamo tutto anche con visite mediche e certificati perché ci possa essere una adeguata presa in carico per la loro salute fisica e mentale a terra, ed è per questo anche che le persone vanno sbarcate subito”.

Sulla nave e in particolare in ambulatorio, comunque, in generale i migranti si sentono in un luogo sicuro e riescono a raccontare le torture e violenze subite. “Noi siamo attraversati da queste storie, dobbiamo farcene carico per capire come rispettare il dolore della persona, ma anche poterlo raccogliere”.

Vanessa Guidi racconta un aspetto che sempre la colpisce dopo un salvataggio: vedere che a bordo c’è subito una riacquisizione di dignità, visibile ad esempio dal fatto che le persone soccorse vogliono ceci invece che fagioli, così come scarpe del proprio esatto numero. “Può apparire paradossale, ma sono piccoli segnali che queste persone si stanno riappropriando del loro essere persone, quando in Libia erano trattate come bestie da macello senza dignità né privacy: a bordo con noi si sentono al sicuro e si torna a parlare di cose banali”, racconta.

Se si trovano persone senza vita si recuperano e si contattano le autorità: ci sono delle associazioni a terra che si occupano di aiutare nell’identificazione della salma e nel ricongiungimento del corpo con le famiglie.

Dalla parte giusta della storia – Le condizioni per il salvataggio, purtroppo, si stanno inasprendo, come dimostra il recente fermo della nave. “Sono state fatte delle leggi che rendono impossibile avere la bandiera italiana ed essere una nave di soccorso, il governo si inventa ogni volta qualcosa di nuovo per criminalizzare il soccorso in mare, come è successo con questo ultimo fermo e multa”, denuncia Vanessa. “Noi cerchiamo di essere creativi per poter fare una cosa che è tanto umana quanto banale come il soccorso in mare”. “Mi trovavo a bordo durante la missione di aprile 2024”, racconta, “quando i libici, la cosiddetta guardia costiera libica, ha aperto il fuoco contro un’operazione di soccorso che stavamo portando avanti, c’erano già i nostri soccorritori in acqua col gommone e hanno cominciato a sparare. Sono travestiti da autorità della guardia costiere ma sono dei criminali, quando siamo tornati in porto dopo aver soccorso delle persone ci è stata data una multa e il fermo della nave. E questo perché hanno dichiarato che loro stavano soccorrendo e noi abbiamo messo in pericolo le persone, quando abbiamo foto e video che dimostrano il contrario”.

Vanessa spiega che ha una famiglia unita che la supporta, che condivide le sue scelte e la sua visione etica e politica, “il fatto di essere dalla parte giusta della storia nonostante il governo cerchi di farci credere continuamente il contrario”. Anche i soccorritori, però, hanno bisogno di un aiuto e infatti c’è un gruppo di psicologi, sempre di Mediterranea, che supportano medici e altro personale.
Resta un dubbio: come mai i barchini si rovesciano così facilmente? “Quando li vedi ti rendi conto che sono fatti in maniera ridicola, adesso vanno di moda queste iron boot che sono praticamente due lamiere di ferro saldate alla bella e meglio e che stanno a galla per miracolo, per non parlare del fatto che sono sovraffollate. D’altronde ai trafficanti non interessa metterli in sicurezza per farli arrivare, e sa perché? Perché se tornano ai centri di detenzione devono ripagare, semplice. Una logica dell’orrore”.

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Il Fatto Quotidiano

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