Come è pericoloso il mondo adulto che non vuole parlare di sessualità a scuola

  • Postato il 18 ottobre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Nel 2007 il Financial Times criticò l’utilizzo dell’immagine femminile in tv in voga in Italia da oltre 20 anni, durante l’impero mediatico delle emittenti berlusconiane (e non solo). Il giornalista Adrian Michaels scrisse, nella sua inchiesta, che in Italia era comune “l’uso di vallette seminude in ogni genere di programma televisivo, gli spot pubblicitari dominati da allusioni sessuali, il prevalere della donna come oggetto”. Raccontava così la nostra serata tv-tipo, citando l’ammiraglia Rai Uno: “Se sei a casa prima del telegiornale delle 20.00 su Rai Uno, il principale canale televisivo italiano, scoprirai che il telegiornale è preceduto da un quiz chiamato L’eredità. Nel programma, di tanto in tanto, quattro ragazze ben messe interrompono la gara per ballare. ‘I miei gioielli’, esclama il conduttore. Il balletto non ha relazione con il resto dello spettacolo: Rai Uno spiega, sul suo sito web, che le ragazze, con la loro presenza e con la loro bellezza, tirano su il morale, soprattutto quello degli uomini”.

Due anni dopo Lorella Zanardo mise online il documentario Il corpo delle donne, catalogo spietato dell’armamentario sessista della tv italiana. A distanza di 16 anni sono stati creati enti e meccanismi di controllo sulla qualità dell’immagine e della presenza femminile nei media, nella pubblicità e in tv, ma chi si occupa di educazione, comunicazione e formazione dovrebbe sapere che misoginia e stereotipi sessisti sono la dominanza nell’ambito dell’hate speech nei social, luogo privilegiato di relazione e formazione culturale dei giovani, che da oltre due generazioni attingono informazioni, sapere, e quindi anche materiale emotivo, dal web.

E dovrebbe sapere anche che quando si vuole ferire, insultare, dileggiare, umiliare una donna le parole che si usano sono, sempre, quelle che investono la sua sessualità. È un dato di fatto: sex e porn sono le parole più digitate dai computer del pianeta, nelle stringhe di qualunque motore di ricerca. Dal punto di vista di chi fa educazione basterebbe questo per prendere atto che di sessualità è urgente, fondamentale, decisivo parlare con le giovani generazioni.

Come in modo eloquente spiegano Miguel Picker e Chyng Sun nel loro documentario del 2008 The price of pleasure, inquietante viaggio nel mondo della produzione del porno, due generazioni di bambine e bambini, con l’avvento dell’era digitale, hanno formato il loro immaginario e attinto informazioni sulla sessualità prioritariamente attraverso la pornografia on line.

L’età media del primo contatto con il porno online è 7 anni, attraverso il cellulare.
Un immaginario per lo più violento e disumanizzante, che mostra il corpo femminile come territorio da predare, umiliare, e che veicola sessualità umana priva di empatia, di curiosità e di contesto relazionale. Balbettiamo, e siamo in imbarazzo, quando ci rendiamo conto che, proprio attraverso il telefono che abbiamo dato loro, i bambini e le bambine possono accedere a immagini e video che non vorremmo vedere nemmeno noi, che siamo persone adulte. Immagini senza gioia e violente, prive di un contesto che dia loro spessore relazionale, che non possono né vogliono dire nulla della complessità emotiva che il sesso può avere tra persone libere e responsabili.

Come è possibile che chi sta oggi al governo non si renda conto che è criminale non affrontare il tema della sessualità a scuola, in particolare nella fase dell’adolescenza, visto che senza la presenza adulta i ragazzini e le ragazzine hanno come unica fonte i siti porno?

Ragionare insieme, sin dalla più tenera età, di corpi, relazione, rispetto: una questione di buon senso, verrebbe da pensare, perché affrontare il discorso della sessualità nelle varie età della vita, sin dall’asilo, serve a prevenire non solo gravidanze precoci e indesiderate (oltre che malattie sessualmente trasmesse, altro grande problema), ma soprattutto educa alla convivenza pacifica tra le persone e nelle collettività, avendo l’educazione una potente funzione preventiva nei confronti della piaga della violenza maschile sulle donne, che è alla base di tutte le ulteriori violenze nel contesto umano.

In un paese civile e responsabile mettere al centro il corpo, le emozioni, le relazioni, il piacere, la scelta di ogni essere umano di costruire una vita il più possibile condivisa, serena e ricca emotivamente dovrebbe essere uno degli obiettivi di maggiore interesse per una collettività che voglia vivere in pace e armonia. Ma, in Italia, a provare a parlare di sessualità a scuola precipiti in un vespaio senza fine.

Un appello alle donne e agli uomini responsabili di questo governo, seriamente: a parte alcune frange hooligans del fondamentalismo di ogni religione dovrebbe essere interesse primario di ogni persona adulta che abbia a cuore la salute fisica e psicologica delle nuove generazioni che a scuola si parli di sessualità. Oppure vi sta bene che l’altra scuola, quella del porno online, sia il riferimento primario dei ragazzini? Come quelli del branco che hanno preso parte allo stupro di gruppo di adolescenti di Palermo dell’agosto del 2023, solo per citare uno degli episodi che, per un po’, hanno fatto scalpore?

Vorrei ricordare a chi si oppone all’educazione sessuale, affettiva ed emotiva nelle scuole che gli uomini, anche molto giovani, che popolano i gruppi di maschi che scambiano e commentano amenamente le foto delle compagne e mogli saranno, o sono già, padri di quei bambini che cresceranno con questi uomini come riferimento della maschilità, senza avere alternative. Davvero non volete che la scuola sia un luogo di informazione e dibattito che prevenga quell’infame, tremendo, pericoloso spettacolo di misoginia?

Se la scuola, che dopo la famiglia è la più importante agenzia educativa del paese, non si assume la responsabilità di aprirsi al tema della sessualità facendo entrare le emozioni, il rispetto, il piacere, il desiderio (non sono quel desiderio, quella gioia che hanno anche contribuito a metterli al mondo, quei figli e figlie?), allora nega alle generazioni future la possibilità di difendersi dai pericoli della pornografia violenta alla quale sono esposti fin dai primi anni, e dagli effetti micidiali che genera nelle relazioni umane tra donne e uomini.

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Il Fatto Quotidiano

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