Coi dazi Trump ha creato un terzo deficit negli Usa: quello della credibilità, difficile da recuperare

  • Postato il 17 aprile 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

Fino all’elezione di Trump era noto che l’economia Usa fosse appesantita dai due debiti gemelli. Da un lato si segnalava il debito commerciale con l’estero, pari a mille miliardi e in continua crescita. Dall’altro abbiamo il debito pubblico pari a 36mila miliardi, ora ampiamente superiore al 100% del Pil, e anch’esso in continua crescita anche grazie ai tagli fiscali del primo Trump.

Ora è emerso anche un terzo deficit, forse quello più preoccupante, un deficit acuto di credibilità e coerenza. Ai due deficit tradizionali si è aggiunto un terzo squilibrio di carattere politico. La vicenda dei dazi è esemplare del comportamento erratico di Trump. Ogni settimana il Presidente americano sfoglia i petali della margherita dei dazi. Le tasse sulle merci importate vengono introdotte, poi ridotte di aliquota, e ancora sospese, poi minacciate di nuovo. La sequenza è veramente imprevedibile, con formule matematiche fantasiose, e gli importatori fanno addirittura fatica a capire quali saranno i dazi effettivi.

Tutto questo crea una situazione di confusione e incertezza nel commercio internazionale che francamente non si era mai vista e che certo non era da aspettarsi da chi manovra la principale economia del mondo. Gli Usa da fattore (forse) di stabilità internazionale sono diventati fonte di estrema precarietà. Si profila un terzo deficit insomma, quello della credibilità.

Il fatto curioso è che il caos economico prodotto dai dazi stop and go di Trump va esattamente contro gli scopi che si dichiara di voler raggiungere, ridurre i disavanzi economici, contribuendo anche a peggiorare la situazione. Intanto per l’economia reale.

I dazi riporteranno negli Usa le varie industrie che negli ultimi decenni hanno traslocato in Asia, come quella tessile oppure quella dei giocattoli? Difficile che Trump ci riesca per due motivi. Il primo è soggettivo. Veramente gli americani lasceranno i loro comodi uffici e torneranno nelle fabbriche per produrre jeans o peluche che oggi la Cina o l’Asia realizzano in condizioni salariali e fisiche a volte tremende? Questa nostalgia autoritaria è fuori dal tempo come i patetici episodi della serie Happy Days che ogni tanto qualche tv minore ripropone.

Ma anche le imprese americane non fanno la fila per ritornare a casa, perché per realizzare i nuovi impianti negli Usa serve un periodo di almeno 2-3 anni nel quale tutto può cambiare. Dazi selvaggi alla Trump allontanano i produttori invece che convincerli a reindustrializzare l’economia americana. Le imprese vogliono certezze, la condizione indispensabile per la profittabilità. Quindi è probabile che il deficit commerciale non si ridurrà in ragione dei dazi, ma forse a causa della recessione che ne consegue.

Notizie ancor più problematiche arrivano sul fronte finanziario, dalla borsa e dall’enorme mercato del debito pubblico. Sugli scossoni di borsa Trump non si è mostrato molto preoccupato visto che negli Usa il 70% della ricchezza è nelle mani di appena il 10% delle famiglie più ricche. Quindi la scure è caduta sulle fasce più elevate di reddito che non subiranno grossi disagi e che comunque potranno recuperare i soldi persi.

Osservazione pertinente, se non fosse che i mercati azionari sono cruciali anche per gli investimenti dei fondi pensione. Un crollo definitivo della borsa significherebbe anche la rovina per molti pensionati o pensionandi come nel 2008, che in effetti cominciano a essere molto preoccupati.

Ma è soprattutto sul versante del debito pubblico che sono arrivate le bordate contro la nuova Trumpeconomics. Molti commentatori hanno osservato come le scelte del Presidente abbiano causato dei movimenti piuttosto importanti nel mercato dei titoli di Stato americano. Gli investitori hanno cominciato a svendere i titoli Usa provocando un aumento del tasso di interesse, che è salito dal 4% al 4,5% in poco tempo. Un piccolo movimento, certo, ma un segnale della sfiducia dei mercati internazionali nell’Amministrazione Trump e un rincaro notevole per le casse pubbliche.

Se i mercati cominciano a non credere alla sostenibilità del debito pubblico e cominciano a vendere, i baldanzosi piani fiscali di riduzione delle tasse verranno subito azzoppati. Non è Trump che può condizionare la finanza internazionale, ma vale casomai il contrario. Nel nostro piccolo è quello che è successo nel 2011 in Italia, quando la azzerata credibilità internazionale del governo Berlusconi ha fatto schizzare gli interessi sui titoli italiani al 7%. Poi sappiamo come è andata a finire con le dimissioni e l’arrivo di Mario Monti con la sua stagione di austerità finanziaria. Trump può fare il bullo con gli immigrati ma con la finanza internazionale si sta scottando. In effetti, ha subito sospeso i dazi sui prodotti tecnologici. Pausa o débâcle? Vedremo.

Il caos economico di Trump richiama un caso simile, ancora offerto dai conservatori, cioè quello della prima ministra inglese Liz Truss che è rimasta al governo appena un mese, travolta dai mercati finanziari che non hanno gradito né i suoi tagli fiscali e nemmeno i suoi tagli allo Stato sociale. Per ora Trump può stare tranquillo nel suo caos perché dispone di almeno 20 mesi di tempo, quelli che lo separano dalle elezioni di midterm del 2027 che in genere non sono favorevoli al partito del Presidente. Dunque è probabile che Trump continui nella sua roulette dei dazi, ma non è per nulla sicuro che la pallina si fermi nelle sue caselle, anche se truccate. È noto che quando si perde la credibilità risulta poi difficilissimo riacquistarla, soprattutto sulla scena internazionale.

L'articolo Coi dazi Trump ha creato un terzo deficit negli Usa: quello della credibilità, difficile da recuperare proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti