“Caldo record? Nelle città non si piantano alberi e si usano materiali che fanno l’effetto-termosifone. Ignorando le leggi”. L’intervista al docente

  • Postato il 5 luglio 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’adattamento climatico è ancora una chimera. Nonostante gli allarmi, le strategie messe sulla carta, gli eventi estremi e i conseguenti disastri. Lo dimostrano l’asfalto appena rifatto che cede a causa del caldo sull’autostrada A4 Venezia-Milano, i lavoratori esposti a temperature record, gli incendi che minacciano anche le città italiane, malori e decessi. Per non parlare degli interventi di riqualificazione eseguiti nelle città italiane, che sembrano non tenere in minima considerazione i criteri per mitigare le ondate di calore di cui si parla da anni. Chi amministra e chi costruisce ormai conosce quali materiali utilizzare per mitigare le isole di calore, che un angolo di verde è meglio di una colata di cemento, che il consumo di suolo è deleterio per i centri urbani. E allora che cos’è che non abbiamo ancora capito? Da dove bisogna partire per mitigare gli effetti devastanti delle ondate di calore sempre più frequenti e intense? ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto a Michele Munafò, professore di Tecnica e pianificazione urbanistica presso l’Università Sapienza di Roma e responsabile dell’Area monitoraggio e analisi integrata uso suolo, trasformazioni territoriali e processi desertificazione presso Ispra.

Quanto accade in questi giorni dimostra che il cambiamento climatico non è un tema che può uscire dall’agenda politica, ma è cronaca.
Isole di calore, incendi, malori sono alcuni dei fronti aperti dall’emergenza caldo. Ormai conosciamo gli effetti su salute e benessere della popolazione, sul nostro sistema produttivo, sull’agricoltura, sul nostro modo di vivere. Anche le soluzioni sono note. Dobbiamo ripensare città, territori e stili di vita in funzione del cambiamento climatico. E per migliorare l’ambiente dove vive gran parte della popolazione, cioè i centri urbani, dobbiamo rivedere profondamente il modello insediativo, dopo l’espansione urbana ed edilizia degli ultimi decenni. La priorità assoluta è togliere invece che mettere. Noi siamo abituati ad aggiungere, cemento, asfalto, edifici e tutti quegli elementi che poi, nella situazione in cui siamo, non fanno che peggiorare l’impatto dei cambiamenti climatici. Sarebbe necessario avere finalmente una legge nazionale sul consumo di suolo di cui si parla da anni ma che, a differenza di altri Paesi europei, l’Italia non ha ancora”.

Cosa rischiamo con la “politica del mettere”?
“Abbiamo condotto uno studio sulle nostre città, analizzando le temperature medie registrate su alcuni materiali artificiali, nel periodo estivo degli ultimi dieci anni. Ebbene, nelle aree dove la presenza di questi materiali è al di sotto del 10 per cento (mentre c’è una prevalenza di superfici naturali), la temperatura media al suolo degli ultimi dieci anni è di 36,4 gradi nel periodo estivo, mentre nelle aree dove le superfici artificiali superano il 50% della copertura si arriva a 41 gradi. Se i materiali artificiali superano il 90%, invece, la temperatura media di questi materiali sfiora i 46 gradi. Stiamo ricoprendo le nostre città di materiali che agiscono come se fossero grandissimi termosifoni: accumulano calore sotto i raggi del sole e scaldano l’aria. Per contrastare le isole di calore, bisogna eliminare questi elementi: depavimentare, riportare suoli naturali dove oggi ci sono cemento e asfalto, piantare vegetazione che ha un effetto di raffrescamento. Dove non è possibile, dobbiamo agire sui materiali, scegliendo quelli permeabili e studiare l’orientamento delle nostre costruzioni e infrastrutture per assicurare una ventilazione adeguata. Non possiamo pensare di risolvere i cambiamenti climatici chiudendoci in casa o in ufficio con un condizionatore”.

In Italia diverse città si sono dotate di piani per il clima e l’adattamento climatico, nei quali si elencano tutti gli strumenti che sarebbe il caso di adottare per mitigare le isole di calore. Eppure è molto facile imbattersi in piazze appena riqualificate senza un albero o in strade che appaiono come una distesa di cemento. Nel primo caso la ragione è spesso attribuita alla presenza dei sottoservizi, gallerie, metropolitane.
“La scusa dei sottoservizi non regge. Riusciamo a mettere alberi sui tetti degli edifici, quindi si può fare, ovviamente con le specie giuste. Ma ci sono tanti modi per creare verde. Non ci sono solo alberi di alto fusto, ma anche superfici erbacee o con arbusti, in grado comunque di assicurare una mitigazione delle temperature rispetto a una lastra di asfalto. Ci sono mille soluzioni diverse, anche se la vegetazione è quella più efficiente per ridurre le temperature. Sia attraverso gli effetti di ombreggiatura, sia attraverso l’evapotraspirazione e la riduzione delle superfici artificiali che hanno un potere riscaldante. Dunque la priorità è depavimentare e lo si può fare ovunque, in alcuni casi in modo radicale, come nei progetti di forestazione urbana, in altri casi con la presenza di infrastrutture verde e blu da declinare in vari modi”.

Qualche anno fa le parole dell’ex ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach in visita in Italia (“queste destinazioni non avranno futuro a lungo termine”) suscitarono molti malumori. Ma lei non crede che un’altra priorità dovrebbe essere la tutela di turisti, oltre a quella dei cittadini?
“Certo, ma bisogna fare interventi di vario tipo e non è una cosa che si risolve dall’oggi al domani. Tutti quelli di cui stiamo parlando, dalla depavimentazione alla piantumazione, offrono già un servizio ecosistemico di raffrescamento. E possono agire sia sul singolo progetto per ridurre l’impatto delle isole di calore in un luogo, sia attraverso una rete di infrastrutture verdi e blu (dunque con l’utilizzo di acqua), sia con i cosiddetti percorsi freschi che, proprio dal punto di vista turistico, possono accompagnare una strategia di visita della città attraverso il collegamento di luoghi turistici. Il senso è quello di offrire percorsi ombreggiati e parchi urbani, in alternativa a strade e piazze più assolate. Se poi noi aumentiamo in maniera diffusa la presenza di vegetazione, avremo comunque l’effetto di ridurre la temperatura media su scala urbana”.

In che misura?
“Un altro studio condotto in collaborazione con il Cnr ci ha svelato che, se aumentiamo del 5% – quindi non di tanto – la copertura arborea di tutta la città, la temperatura media urbana scende di mezzo grado. Può sembrare poco, ma posso assicurare che in questo momento storico anche mezzo grado di temperatura media, a livello urbano, sarebbe un risultato significativo”.

Si parla spesso dell’utilizzo di materiali più chiari, a basso albedo. In Italia a che punto siamo concretamente? Quando poi parte il cantiere, quanto si stanno davvero utilizzando questi materiali?
“La verità è che noi ci siamo dimenticati della nostra esperienza. Nei secoli passati, le nostre città erano realizzati con materiali chiari, le pietre cosiddette fresche, in grado di adeguarsi meglio a climi caldi. Ancora oggi, nei centri storici si vedono sovente muri spessi, strade orientate secondo i venti prevalenti, materiali chiari. Tutto questo, nel corso dei secoli, lo abbiamo dimenticato. E oggi, dopo decenni di crescita urbana e cementificazione dei nostri suoli, abbiamo una situazione sul territorio completamente da rivedere e stravolgere”.

Qualche esempio?
“Non dobbiamo pensare al nuovo progetto, a costruire sul non costruito per costruire ancora, ma dobbiamo agire sul costruito e sulle aree dismesse, degradate che abbiamo nelle città. Grandi parchi urbani devono prendere il posto di colate di cemento non utilizzate o grandi parcheggi utilizzati poco durante l’anno. Più di un terzo delle superfici costruite sono legate a esigenze di trasporto pubblico e privato. Anche a livello europeo si parla di ripristino della natura, non di tutela della natura”.

Torniamo allo spazio utilizzato per esigenze di trasporto….
“Oggi sembra impossibile eliminare un posto dove sosta un’auto per piantare un albero, ma tutte queste auto che occupano spazio in strada, e magari vengono lasciate per tantissime ore senza essere utilizzate, creano calore. Va ripensato tutto: non solo il sistema dei trasporti pubblici, ma anche la riorganizzazione dei servizi e dello spazio urbano per ridurre le esigenze di mobilità a lungo e medio raggio. Per questo, oggi si parla sempre più della città di 15 minuti, dove i principali servizi sono disponibili e raggiungibili a piedi nel giro di 15 minuti partendo dal luogo in cui si vive”.

I regolamenti edilizi di molti comuni (e in alcuni casi anche i piani verdi) prevedono che vi sia un minimo di verde in caso di pedonalizzazione di strade. Non sempre questo criterio viene rispettato.
“Purtroppo è così. Certo, non si può generalizzare, ci sono situazioni in cui l’attenzione a questi criteri è ben presente e altre in cui, per vari motivi, non vengono rispettati. Anche la legge 10 sul verde pubblico (la prima legge nazionale sul verde nelle città risalente al 2013, ndr) è stata poco applicata dalle nostre amministrazioni comunali. Avremmo certamente potuto fare di più”.

Ed ora si pone una nuova sfida, ossia il regolamento europeo sul ripristino della natura, che è già vigente.
“Tra il 2024 e il 2030, in città grandi e medie non si possono ridurre gli spazi verdi (non solo pubblici, ma anche privati) e la copertura arborea. E dal 2031 il regolamento ci impone un aumento progressivo di queste superfici. Quindi c’è un bilancio complessivo da fare all’interno dell’area urbana: entro il 2030 saremo tenuti a ricontare i metri quadrati di superfici verdi e ad alberi e a confrontarli con quelle del 2024. E se dovessero essere inferiori a come erano, bisognerà provvedere al ripristino, non per forza nello stesso luogo. Lo stabilisce l’articolo 8 sugli ecosistemi urbani. Il rischio è quello di non riuscire a rispettare questo obiettivo se non agiamo urgentemente. Con il supporto di Ispra, il ministro dell’Ambiente sta elaborando il Piano nazionale di ripristino, che dovrà definire anche le azioni più efficaci per raggiungere sulle aree urbane questo e tutta una serie di altri obiettivi di ripristino della natura. Il piano dovrà essere presentato alla Commissione Europea entro il 1 settembre 2026”.

L'articolo “Caldo record? Nelle città non si piantano alberi e si usano materiali che fanno l’effetto-termosifone. Ignorando le leggi”. L’intervista al docente proviene da Il Fatto Quotidiano.

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Il Fatto Quotidiano

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