Bracconaggio in crescita, l’allarme arriva dalla Lombardia: “Incentivato dalla politica, la legge del centrodestra aggrava il fenomeno”
- Postato il 23 novembre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Specie protette uccise a fucilate, pulli rubati dal nido sugli alberi perché vengano venduti come richiami vivi, e poi il business criminale del traffico illecito di fauna selvatica. Benvenuti in uno dei peggiori hotspot del bracconaggio a livello europeo, benvenuti nell’area delle Prealpi che attraversano la Lombardia e vanno a finire in Veneto. Dove succede tutto questo e molto di più. Per esempio soltanto pochi giorni due rarissimi ibis eremita (vi abbiamo raccontato la loro storia straordinaria qui) hanno scavalcato le Alpi, dall’Austria, per svernare nel nostro Paese. Il tempo di pochi chilometri e sono stati ammazzati a fucilate a Dubino, in provincia di Sondrio. Erano muniti di Gps e sappiamo tutto della loro tragica fine. Ma che il bracconaggio sia in crescita ce lo raccontano i dati. Mentre, allargando lo sguardo, la politica – nazionale e regionale – nella migliore delle ipotesi si nasconde. E, coi fatti, lo incentiva.
DOPING AI VOLATILI E FUCILATE IN AUMENTO – Valpredina, Oasi del Wwf. Ci troviamo a Cenate Sopra, in provincia di Bergamo. Qui c’è uno dei principali Cras (Centro recupero animali selvatici) del Nord Italia. La ragione? Riceve gli animali feriti e/o sequestrati ai bracconieri, li cura e, se riesce, li libera di nuovo in natura. Matteo Mauri, il responsabile, ha raccontato al Pirellone che cosa sta accadendo quest’anno. Un fenomeno mai visto, almeno con queste proporzioni. Con la stagione venatoria ancora in corso, gli animali protetti uccisi rispetto al 2024 segnano un +52%, e stupisce fino a un certo punto che il 91% delle morti certificate si verifichi proprio durante i mesi in cui è possibile cacciare. Eppure, negli ultimi dieci anni la legge regionale è stata modificata ben 28 volte con l’obiettivo di liberalizzare il più possibile l’attività venatoria e, in alcuni casi, per rendere più difficili i controlli. Alcuni esempi? L’obbligo per le guardie venatorie di indossare “capi ad alta visibilità” o la grande sanatoria sui richiami vivi.
A questi numeri si aggiungono le migliaia di uccelli sequestrati dalle forze di polizia perché detenute illegalmente, spesso per essere usate come richiami vivi. Ogni anno è l’Operazione Pettirosso dei carabinieri forestali (Sezione operativa antibracconaggio, SOARDA) a confermarlo: in poche settimana nelle province di Brescia, Bergamo, Mantova, Padova, Venezia, Verona e Vicenza sono state denunciate 135 persone, sono stati sequestrati 2.467 uccelli (tra vivi e morti) appartenenti a specie cacciabili, protette e particolarmente protette, 1.110 dispositivi illegali di caccia, 135 armi da fuoco, 13.330 munizioni e 73 confezioni di farmaci dopanti, utilizzati per “migliorare” la prestazione canora dei richiami vivi. Sono dati impressionanti, sì, ma che mettono in luce soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno difficilmente misurabile.
I DANNI ALL’AMBIENTE E LA POLITICA CHE RESTA A GUARDARE – “Dietro il bracconaggio non ci sono più solo singoli individui, ma vere e proprie organizzazioni criminali che hanno capito che investire in questo settore significa fare affari d’oro rischiando pochissimo”, ha dichiarato in conferenza stampa, al Pirellone, Domenico Aiello, responsabile Tutela giuridica della natura del Wwf Italia e componente della cabina di regia MASE per il contrasto dei crimini contro gli uccelli selvatici. “La sottovalutazione della gravità del fenomeno – che danneggia la biodiversità, la salute umana e l’economia legale – rende inefficaci gli strumenti di prevenzione e repressione: controlli sul territorio, indagini, processi e sanzioni. In questo senso il ruolo della politica è fondamentale: deve tradurre la sensibilità dell’opinione pubblica e le evidenze di un crimine in crescita, non cedere alle pressioni di chi chiede di ridurre i controlli e favorire concessioni alle lobby venatorie, ma dimostrare senso di responsabilità nella tutela degli interessi comuni e dei principi sanciti dall’articolo 9 della Costituzione. Al contrario molte regioni hanno via via demolito la tutela della fauna selvatica”.
A livello nazionale è il disegno di legge Malan, vale a dire la riforma voluta da Lollobrigida per stravolgere la legge sulla protezione della fauna selvatica e il prelievo venatorio (157/92), a preoccupare. E lo fa innanzitutto perché non prevede nulla per il contrasto al bracconaggio. Molti emendamenti del centrodestra, poi, non fanno altro che peggiorare la situazione: dalla caccia a specie protette o in cattivo stato di conservazione, all’obbligo per le guardie venatorie di monitorare campagne e boschi solo in presenza di agenti delle forze dell’ordine (cosa, ovviamente, infattibile), alla potenziale apertura della caccia dodici mesi all’anno. “Il ddl Malan toglie protezione alla fauna selvatica e si profila come un intervento pericoloso e gravissimo” ha detto la deputata del Pd, Eleonora Evi, molto vicina al mondo ambientalista e animalista. “E per la lotta al bracconaggio non prevede nulla, generando un forte allarme da parte della società”. Evi ha sottolineato come spesso la politica lombarda anticipi ciò che accade a livello nazionale. Un esempio? Il caso dei valichi montani, deflagrato proprio in Lombardia – grazie alla Lac – e “risolto” con la legge sulla montagna di Roberto Calderoli.
“I dati confermano l’aumento del bracconaggio” ha detto la consigliera del M5s, Paola Pollini. “Siamo di fronte a un fenomeno radicato e organizzato, che devasta ecosistemi e mina l’immagine del nostro Paese. Eppure, invece che contrastarlo, le politiche regionali – avallate dal governo – indeboliscono i presidi di tutela ambientale e allargano le maglie normative. Il costo del bracconaggio, in termini ambientali, non può più essere sostenuto dalla collettività a favore dell’interesse di pochi. Serve un cambio di rotta immediato: leggi, investimenti e tutela di chi opera per i controlli sul territorio. Ci vuole la volontà politica di non barattare la tutela ambientale. Il bracconaggio non cala perché non lo si contrasta adeguatamente“. Per Michela Palestra di Patto Civico “si sposta sempre un po’ più in là l’asticella dell’impunità, il non rispetto delle leggi diventa così centrale. Ormai lo possiamo dire: c’è una precisa intenzione nel voler attaccare l’ambiente e la biodiversità e, nel caso specifico, ciò che la legge definisce patrimonio indisponibile dello Stato”.
Video: vigilanza venatoria Wwf Italia in Lombardia
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