Bene le rinnovabili, ma serve pianificare: perché l’eolico sul Monte Giogo di Villore per noi va contrastato

  • Postato il 5 luglio 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Sul Monte Giogo di Villore (con l’accento sulla “i”, per chi non conosce i luoghi), nel Mugello, è stato autorizzato dalla Regione Toscana un impianto eolico costituito da 7 pale alte oltre 150 metri, tanto quanto la cattedrale di Notre Dame a Parigi. L’assessorato regionale all’Ambiente ha fortemente sostenuto questo progetto, nonostante le opposizioni di diversi enti ed istituzioni: “Se vogliamo davvero salvare il pianeta, dobbiamo anche avere il coraggio di cambiare un po’ il paesaggio per proteggerlo. Diversamente, tra qualche anno, non ci sarà nessun paesaggio da preservare”.

Il numero di progetti eolici presentati in Appennino è impressionante. In tutto il territorio nazionale, secondo le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 maggio 2025, risultano complessivamente 2.031 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per un totale di 108,83 GW. Siamo d’accordo sulla decarbonizzazione, sulla produzione di energia da fonti rinnovabili e sulla transizione energetica, ma questo non può e non deve autorizzare interventi a carattere speculativo con danneggiamento del patrimonio pubblico a favore di guadagni privati. Occorre una pianificazione.

In questo senso il Monte Giogo di Villore è un esempio illuminante: quando la politica e l’economia trovano un accordo non ci sono ostacoli che tengano, né i “cattivi” ambientalisti, né le istituzioni depotenziate, né le ragioni di territori fragili – e dei suoi abitanti – che in tutta evidenza non sono adatti a pesanti trasformazioni di tipo industriale. I lavori per questo impianto sono iniziati nel 2023, e ben presto i nodi sono venuti al pettine; perché dell’eolico si vedono le pale, ma normalmente non si vede il resto. Il perdurare del passaggio di mezzi pesanti diretti al cantiere ha favorito già a fine anno una frana sulla strada di Corella, area caratterizzata da pericolosità molto elevata dal punto di vista geomorfologico per la presenza a monte di un corpo di frana attiva di scorrimento.

I residenti lamentano non solo il passaggio di camion che superano le dimensioni consentite, ma anche l’uso di mezzi cingolati, vietati sulle strade pubbliche. La Società Autostrade ha recentemente rilevato la difficoltà della rete autostradale ad ospitare il transito di veicoli lunghi fino a 70 metri e pesanti centinaia di tonnellate, a causa dell’eccessiva altezza e lunghezza dei carichi; figuriamoci sulle strade di montagna, dove occorre operare sbancamenti per eliminare curve troppo strette o risagomare scarpate per costruire le piste di cantiere. Lo scorso aprile una di queste piste è franata, poco sopra di essa corre la tubazione del gasdotto Snam, si teme la pericolosità di ulteriori discese di terreno a valle favorita da eventi alluvionali come quello di marzo che ha colpito Vicchio – uno dei due comuni coinvolti nel progetto, insieme a Dicomano – con l’esondazione del fiume Sieve e oltre trenta smottamenti con gravi disagi per la popolazione.

Ci sono numerose motivazioni di salvaguardia ambientale per contrastare questo progetto, ma puntiamo soprattutto su quelle a livello tecnico. L’intensità del vento, opportunamente secretata dai proponenti come “segreto industriale”, in Appennino non consente alte produttività: lo sapevano già i nostri antenati, quando l’Europa era disseminata di mulini a vento qui non venivano utilizzati. La produzione media delle pale eoliche in Italia si aggira intorno alle 2300 ore/anno: qui ne valutano 2700, quasi il doppio delle ore-equivalenti/anno a cui “gira”, mediamente, ciascuno degli impianti vicini già realizzati dalla stessa ditta a Casoni di Romagna e al Carpinaccio. Se non ci fossero gli incentivi, pagati in bolletta dai contribuenti, non ci sarebbe convenienza. Nei giorni scorsi sui giornali locali è apparsa la notizia di un accordo intercorso tra gli amministratori locali e l’azienda eolica sul quale sono stati sollevati “seri dubbi legali e di trasparenza”.

Il rapporto Ispra 2023 ha ben illustrato come in Italia “sfruttando gli edifici disponibili, ci sarebbe posto per una potenza fotovoltaica compresa fra 70 e 92 GW, un quantitativo sufficiente a coprire l’aumento di energia rinnovabile complessiva previsto dal Pniec al 2030. In generale, data la vasta disponibilità di superfici a minore impatto ambientale, si potrebbe formulare un mix di localizzazioni che non solo risponde alle esigenze energetiche, ma minimizza anche il consumo di suolo”.

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Il Fatto Quotidiano

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