Assassinio di Miguel Uribe: la Colombia si avvia alle elezioni con un profondo logoramento sociale
- Postato il 13 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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È morto a soli 39 anni Miguel Uribe Turbay, senatore colombiano e precandidato presidenziale, immolato sull’altare di una democrazia possibile: una democrazia che, in Colombia, sembra però soccombere costantemente alla violenza. Colpito in un attentato il 7 giugno scorso, mentre partecipava a un comizio a Bogotá, è rimasto in coma per oltre due mesi, fino a spegnersi l’11 agosto 2025 all’ospedale Fundación Santa Fe della capitale, a causa delle gravi ferite riportate: due dei colpi di arma da fuoco esplosi lo raggiunsero alla testa.
La sua figura, già carica di simbolismo, racconta molto della storia recente del Paese. Figlio della giornalista Diana Turbay, assassinata nel 1991 durante un’operazione di salvataggio dopo il suo sequestro da parte del cartello di Pablo Escobar, e nipote dell’ex presidente Julio César Turbay Ayala, Miguel era considerato una delle voci emergenti della destra tradizionale colombiana. Laureato in legge, con studi alla Harvard University, era stato consigliere comunale di Bogotá (2012–2015), segretario di Governo nella giunta di Enrique Peñalosa e, dal 2022, senatore con il maggior numero di voti della sua coalizione.
La politologa colombiana Karol Solis Menco ha sintetizzato così la tragedia: “Miguel rimase orfano da bambino, lascia un orfano ed è stato ucciso da un adolescente. Tre minorenni che non hanno saputo e non sapranno cosa significhi un’infanzia libera dalla violenza e dalla tragedia”. Una riflessione lapidaria che descrive un Paese incapace di confrontarsi con l’antagonismo delle idee senza scivolare in sanguinari regolamenti di conti. L’attentato contro Uribe Turbay, per il quale sono state arrestate sei persone, tra cui l’autore materiale, un ragazzo di 15 anni, è lo specchio di un Paese dove la violenza non è più notizia, ma tradizione, e dove il martirio politico sembra perpetuarsi come eredità amara, consegnando alla memoria collettiva una lunga scia di nomi, idee e speranze stroncate.
La morte del giovane senatore di destra arriva in uno dei momenti più convulsi e polarizzati della Colombia negli ultimi anni. Il Paese è attraversato da una crisi politica e istituzionale senza precedenti, a soli pochi giorni dalla storica condanna dell’ex presidente Álvaro Uribe Vélez: la prima volta nella storia nazionale che un ex capo di Stato viene riconosciuto colpevole in un processo penale. Un verdetto che ha spaccato l’opinione pubblica e accentuato lo scontro tra uribismo e antiuribismo, due poli che continuano a definire il dibattito politico colombiano da almeno 20 anni.
A questo si aggiungono le polemiche per le recenti dichiarazioni del presidente di sinistra Gustavo Petro, che ha espresso pieno sostegno a Nicolás Maduro. Parole arrivate poche ore dopo l’annuncio di Washington di aumentare a 50 milioni di dollari la taglia su Maduro, accusato dalla Casa Bianca di essere il leader del cartello di narcotrafficanti Los Soles. Petro ha affermato che qualsiasi azione militare contro il Venezuela verrebbe considerata come un attacco diretto alla Colombia, un posizionamento che ha provocato reazioni durissime sia all’interno sia all’esterno del Paese.
Se il fronte internazionale è già incandescente, quello interno non è da meno. Il progetto di “Paz Total”, la principale bandiera politica di Petro, appare in seria difficoltà. Secondo i dati dell’Instituto de Estudios para el Desarrollo y la Paz (Indepaz), nei primi sette mesi del 2025 sono stati assassinati 95 leader sociali e politici — incluso Uribe Turbay — e si sono registrati oltre 60 massacri. Gli accordi con gruppi armati e bande criminali, promossi come parte del processo di pacificazione, non hanno portato a una riduzione significativa della violenza. Al contrario, in alcune regioni come Cauca, Chocó e Arauca, il potere dei gruppi armati non statali si è rafforzato, aggravando la crisi umanitaria e il numero di sfollati interni.
Sul piano politico, Petro vive un momento di forte erosione del consenso, anche all’interno dei settori progressisti che lo hanno sostenuto. I contrasti con la sua vicepresidente Francia Márquez sono ormai pubblici (Francia accusa apertamente e pubblicamente Petro di razzismo), così come le fratture con importanti organizzazioni femministe e movimenti sociali, che lo accusano di aver abbandonato parte delle sue promesse in materia di diritti umani, parità di genere e riforme strutturali.
Manca meno di un anno alle prossime elezioni presidenziali in Colombia del 2026 e il Paese si avvia a questo appuntamento democratico con un profondo logoramento sociale. Lo scontro politico si è acuito fino al punto di percepire l’avversario come un nemico, alimentando un clima di polarizzazione che erode la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e lascia campo aperto alla sensazione di corruzione e impunità diffusa. A ciò si aggiunge un panorama elettorale segnato dalla frammentazione delle pre-candidature, tra cui figurano nomi come Claudia López (indipendente), Vicky Dávila (affine all’uribismo), Daniel Quintero (ex sindaco di Medellin), Carolina Corcho, Susana Muhamad, Camilo Romero, Gloria Flórez e Gustavo Bolívar (tre le figure di spicco della piattaforma che ha supportato Petro) a testimonianza dell’assenza di ampi consensi e preludio di una contesa incerta, altamente competitiva e difficile da prevedere.
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