Arriva l’uragano Melissa in Giamaica ma qui nessuno ne parla: eppure il riscaldamento globale riguarda tutti

  • Postato il 27 ottobre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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L’uragano Melissa sta arrivando a tutta forza sulla Giamaica. Al momento in cui scrivo, lunedì 27 ottobre, Melissa ha raggiunto categoria 5 con venti a oltre 250 km/h. Sta per piombare sulla Giamaica, dove ci si aspettano fino a 100 cm di pioggia e 4 metri di mareggiate. Sull’isola, sono stati emessi ordini di evacuazione obbligatoria per le zone costiere vulnerabili in vista di quella che sarà probabilmente la tempesta più forte mai registrata nella zona.

In Italia, però, fino ad ora l’uragano Melissa non è stato nemmeno vagamente menzionato sulle pagine dei giornali principali – anche se è comparso sul Sole24ore e su SkyTg24. A breve, tuttavia, vedremo sui giornali foto spettacolari di case sventrate e alberi divelti. Poi, come sempre succede in questi casi, ce ne dimenticheremo.

È normale non essere molto interessati ad eventi che avvengono in regioni lontane. Ma non dimentichiamoci di John Donne che si domandava “Per chi suona la campana?” in un suo poema dei primi del ‘600, quello che poi ha dato il titolo a un famoso romanzo di Hemingway. La campana a morto, diceva Donne, suona per tutti noi. E quindi, anche l’uragano Melissa colpisce tutti noi, non solo i giamaicani. Melissa non farà danni qui in Italia, ma dobbiamo cercare di capire cosa sta succedendo e cosa potrebbe succedere.

In termini economici, gli uragani non fanno danni giganteschi. Secondo l’European Environment Agency i danni economici degli eventi estremi sono intorno ai 300 miliardi di dollari all’anno a livello globale e circa 10 miliardi di dollari per l’Italia. Stiamo parlando di meno dello 0,1% del Pil mondiale, e forse dello 0,2% per l’Italia. Non fatemi dire che sono danni trascurabili, soprattutto per chi si trova a essere sulla traiettoria dell’uragano/tempesta/tromba d’aria di turno. E non dimentichiamoci che le vittime non sono rimpiazzabili. Il problema è un altro: gli eventi estremi stanno gradualmente aumentando in tutto il mondo. Questo è un sintomo del progresso del riscaldamento globale che sta scombussolando l’intero ecosistema.

Non vi sto a fare l’elenco completo di quegli eventi estremi correlati al riscaldamento globale che si chiamano “tipping points” ovvero punti di non ritorno. Includono una serie di cose spaventose tipo il collasso dell’Amoc (il sistema di correnti atlantiche che include la Corrente del Golfo), la fusione rapida dei ghiacciai della Groenlandia, il rilascio di metano dal permafrost, il collasso della foresta amazzonica, e robette del genere. Certamente, non ci si aspetta che questi eventi siano così rapidi come un uragano, che esaurisce il suo effetto in un giorno o due. E neppure che arrivino in tempi brevi. Ma se ce ne arriva uno addosso, non è nemmeno questione di quantificare i danni economici. È più una questione di “si salvi chi può” a livello planetario.

Oggi, il dibattito sul cambiamento climatico sembra essere focalizzato in gran parte sugli uragani e le alluvioni. Quando si allaga un certo territorio, da una parte si dà la colpa alla cattiva gestione del territorio, spesso con annessi insulti agli ambientalisti colpevoli di non aver voluto che si tagliassero gli alberi nel letto dei fiumi. Dall’altra si dà la colpa al riscaldamento globale e ai cattivi petrolieri che insistono a volerci vendere combustibili fossili. Ma è un dibattito marginale. Il vero problema è fermare il riscaldamento, e fermarlo prima che sia troppo tardi. Ci riusciremo? La campana di John Donne potrebbe davvero suonare per tutta l’umanità.

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Il Fatto Quotidiano

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