Appoggiando Giani in Toscana, il M5s accelera verso lo stagno del centrosinistra
- Postato il 9 agosto 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Con i 1.538 iscritti che dicono “sì” al sostegno al candidato del Pd alla presidenza della Regione Toscana, Giani, e che battono i 1.030 “no”, accelera la traiettoria di “normalizzazione” del M5S, ormai definitivamente intrapresa, e che fa di questo soggetto politico un cespuglio in più nel centrosinistra, come evidente da un po’.
Il centrosinistra in questo Paese è quello che involontariamente l’ex presidente della Commissione Paesaggio di Milano, Marinoni, aveva descritto all’ex assessore all’Urbanistica del Comune finito al centro dell’inchiesta “Grattacieli Puliti”: neoliberismo con una “spolverata di sociale”.
Il M5S ha deciso di governare la Toscana insieme a quello stesso Giani e a quelle stesse forze politiche – Pd, Azione, Italia Viva di Renzi – di cui è stato all’opposizione fino a oggi. Lo stesso Giani che aveva accettato senza colpo ferire la costruzione di una base militare nel Parco di San Rossore e a Pontedera. Spesa prevista 520 milioni. Giani che addirittura aveva proposto e ottenuto la collocazione di parte della base a Pontedera. Giani che nell’aprile 2022 a una domanda sulla costruzione della base militare, rispondeva: “C’è una guerra e non possiamo ragionare come prima”. Ha scelto tra l’altro di farlo da socio di minoranza. E in politica i rapporti di forza sono quelli che contano in ultima istanza. Parafrasando Luca Carboni che cantava “Bologna è la regola”, potremmo dire che per il M5S è la Toscana a essere una regola.
Nelle Marche, che andranno al voto il 28 e 29 settembre, il M5S sosterrà la candidatura di Matteo Ricci, anch’egli esponente del Pd. L’ex sindaco di Pesaro è indagato per corruzione nell’ambito dell’inchiesta “Affidopoli”, presunti affidamenti irregolari di incarichi pubblici. Ma soprattutto – visto che mai abbiamo pensato che la politica debba essere prona alle aule dei tribunali – è partecipe di un modello di gestione del potere territoriale tutt’altro che trasformativo.
In Puglia, Conte ha ribadito l’assoluta disponibilità del Movimento ad appoggiare la candidatura dell’ex sindaco di Bari, oggi europarlamentare, Antonio Decaro. Anche lui scuola Pd. Lo stesso Decaro che mercoledì 12 marzo, meno di cinque mesi fa, ha votato “sì” al ReArm Europe, il piano che deve mobilitare 800 miliardi di euro per il riarmo continentale. Ma i temi della guerra e del riarmo non dovrebbero essere discriminanti invalicabili? Se alla fine Decaro dovesse recedere dai propositi di candidatura lo farà per non avere tra i piedi figure ingombranti come Emiliano e Vendola, non per dubbi e critiche – mai pervenuti – del M5S.
Infine la Campania. Il M5S propone da tempo la candidatura dell’ex presidente della Camera Roberto Fico. Per farla finita con dieci anni di governo di Vincenzo De Luca? A dire il vero anche no, visto che, a oggi, De Luca farebbe parte della coalizione di centrosinistra, forse addirittura con due liste, la promessa di assessorati pesanti – tra cui si vocifera di quello alla Sanità, settore che pesa per il 60-70% del bilancio regionale – e di una certa continuità amministrativa. L’eventuale candidatura di Fico in sostanza non scalfirebbe più di tanto il sistema di potere deluchiano, pur indebolito dall’impossibilità di una continuità diretta. Parliamo del sistema di potere che può vantare frontman del calibro del re delle “fritture” Alfieri, oggi agli arresti. In fondo lo stesso Conte ha affermato che il M5S non sarà preda di “furia iconoclasta”…
Se il M5S era nato per sconquassare gli assetti di potere in Italia, oggi corre sempre più rapidamente verso lo stagno del centrosinistra. Quello in cui puoi al massimo giocare a spruzzare, di tanto in tanto, un po’ di sociale. A maggior ragione serve un campo popolare che non si limiti a mettere in questione un singolo nome, a operazioni di maquillage o a imbellettare il “terrore” neoliberista che continua ad affossare la maggioranza della popolazione. Serve un campo popolare autonomo e indipendente dall’ultradestra al governo nazionale e dal centrosinistra, comprensivo di cespugli, al governo territoriale, dal punto di vista politico, culturale e ideologico, prima ancora che da quello elettorale.
È il campo che stiamo provando a costruire come Potere al Popolo!, insieme al sindacalismo che dà battaglia e ha il coraggio di farlo anche su questioni tutt’altro che corporative – vedi i portuali di Genova e la loro battaglia contro l’Italia che diviene “piattaforma logistica” della guerra; ai giovani protagonisti dell’intifada studentesca contro le complicità istituzionali con il genocidio israeliano; ai movimenti di lotta per la casa che, ad esempio, a Milano sono stati tra i primi a mettere in discussione il modello speculativo trasversale di “mani sulla città”; ai singoli e alle associazioni che si oppongono al riarmo e al regime di guerra, oggi promosso trasversalmente dal complesso militare-industriale di cui i governi europei di ogni colore (ultradestra alla Meloni, destra tradizionale alla Merz, estremo centro liberista alla Macron, socialdemocrazia alla Sanchez), seppur con accenti diversi, sono portavoce.
Se non vogliamo morire di “malminorismo” (o “menopeggismo”) è questa l’unica strada possibile.
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