All’Ars si celebra il presidente indagato. Segno che il problema è politico, non giudiziario

  • Postato il 2 luglio 2025
  • Blog
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 2 Visualizzazioni

Due ore di teatro dell’assurdo. Tanto è durato il dibattito parlamentare in Ars dopo le rivelazioni riguardanti indagini per corruzione nei confronti del presidente meloniano dell’Assemblea regionale siciliana, di alcuni suoi collaboratori, dell’assessora – anche lei meloniana – al turismo Amata e di alcuni imprenditori e varia umanità. Il pomposamente “parlamento più antico d’Europa” è stato trasformato in un palcoscenico per un dibattito grottesco. In scena la santificazione parlamentare del presidente Galvagno e la difesa di un sistema di distribuzione delle risorse arbitrario.

Non una parola sul merito politico della questione. Ovvero se, come appare lampante dalle intercettazioni pubblicate sulla stampa, in Sicilia sia stato costruito scientificamente un sistema opaco di gestione delle risorse pubbliche a uso e consumo degli interessi politici e della costruzione di un consenso drogato. Ma il parametro penale, su cui si sono sprecate dotte citazioni nella monumentale sala parlamentare, è il meno interessante politicamente e il meno rilevante moralmente.

La difesa del politico Galvagno, e degli altri protagonisti di questa brutta storia, è legittima ma non può essere la bussola della politica. Anche perché, e qui arriva l’assurdo, ad ascoltare gli interventi piuttosto goffo ecco emergere i veri colpevoli. Che secondo il copione recitato sarebbero i giornalisti ficcanaso che fanno il proprio lavoro, i giornali che pubblicano le notizie invece di limitarsi a incassare la pubblicità istituzionale, i cittadini che si indignano e coloro che osano porre domande.

Per due ore, praticamente e con poche eccezioni, non una parola sul sistema che emerge giorno dopo giorno. Un sistema costruito anche in modo indecente: usando la beneficenza, il dolore, i temi più delicati – come i femminicidi – come copertura per distribuire incarichi, premiare fedelissimi, costruire reti di potere. Silenzio assoluto sul sistema di gestione dei contributi, sulle pressioni per occupare la poltrona della prestigiosa Fondazione Federico II, da trasformata in un nodo strategico per la distribuzione di risorse e poltroncine.

Per questo non è (solo) il presidente Galvagno il problema. È il sistema costruito con metodo negli anni da Fratelli d’Italia in Sicilia (e non solo) che pare voler occupare ogni strapuntino da cui indirizzare iniziative e spesa per cultura e spettacolo. Dalle fondazioni agli assessorati, dai cda delle istituzioni culturali fino alle più piccole consulenze. Un disegno che pare, così si legge ricostruendo gli articoli di stampa, avere un obiettivo chiaro: trasformare ogni leva pubblica in uno strumento di potere e di fedeltà. Per premiare fedelissimi e acquisire potere e consenso.

E così che mentre i centri antiviolenza in Sicilia arrancano tra i tagli, si scopre che migliaia di euro possono essere spesi per “convegni” organizzati senza trasparenza e spesso con scopi che nulla hanno a che vedere con l’utilità pubblica e molto con le relazioni personali e politiche. Il dramma? Che tutto ciò avvenga sotto il segno della beneficenza, usata come alibi nobile per mascherare un’operazione di marketing politico.

Il nodo politico, non giudiziario

Il punto non è, quindi, stabilire se ci siano reati. Questo compito spetta alla magistratura, che farà il suo corso. Il punto evaso, invece, è tutto politico. Perché una democrazia sana dovrebbe interrogarsi non solo su ciò che è legale, ma su ciò che è giusto, etico, istituzionalmente corretto. Usare risorse pubbliche per rafforzare il proprio cerchio magico, piazzare amici o strutturare consorterie è una questione che riguarda la tenuta del patto tra istituzioni e cittadini. Anche in assenza di reati. Anche se le contropartite possono apparire minimali.

Limitarsi a dire “aspettiamo fiduciosi l’esito delle indagini” è un modo per sottrarsi a ogni assunzione di responsabilità. Un’intera classe dirigente sembra aver dimenticato che l’assenza di un reato non equivale alla presenza di onestà politica.

Il rischio più grave, in tutto questo, è che ci si abitui. Che diventi normale vedere l’uso della beneficenza e della spesa pubblica come strumenti per emettere fatture, creare eventi inutili, costruire carriere. Che nessuno alzi più la voce di fronte a una gestione delle risorse pubbliche senza criteri, senza controlli, senza decenza. Magari perché in un modo o nell’altro sono “tutti ricattabili” come viene detto in alcune telefonate tra i protagonisti della faccenda. Un sistema in cui la cultura è ridotta a una linea di finanziamento da spartire tra amici, e la solidarietà diventa solo un pretesto.

E allora no, non può bastare la serenità ostentata di chi dice di aver chiarito tutto con i magistrati. Perché la vera domanda è: chi chiarirà tutto con i cittadini?

L'articolo All’Ars si celebra il presidente indagato. Segno che il problema è politico, non giudiziario proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti