Alla Cop30 nessuna roadmap sull’addio ai combustibili fossili (neppure citati). Giù le maschere: Paesi a diverse velocità
- Postato il 22 novembre 2025
- Ambiente
- Di Il Fatto Quotidiano
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Quella che si è appena conclusa a Belém, in Brasile, doveva essere la Conferenza delle Parti sul Clima della concretizzazione. Non è stato così, certamente per quanto riguarda la “transizione dalle fonti fossili”: è stato impossibile mettere insieme 194 Paesi che, insieme, non hanno mai camminato e non lo faranno nei prossimi decenni. Alla Cop30 molte maschere sono cadute, fuori e dentro l’Europa. C’è una riorganizzazione di alleanze trasversali. Arabia Saudita, Russia e gli altri petro-Stati, ormai non più padroni di casa delle Cop, si sono opposti in modo palese a concreti passi in avanti. Altri 86 Paesi chiedevano una roadmap, ossia una tabella di marcia chiara per l’uscita dai combustibili fossili (neppure citati nel documento finale), iniziativa partita dal Brasile e poi sostenuta anche dall’Unione europea, ma con una serie di nazioni restie a prendere posizioni (come l’Italia), altre che prima si sono esposte e poi hanno fatto dietrofront. Dopo un clima diventato sempre più teso, tra piogge tropicali, manifestazioni con migliaia di persone in piazza, la protesta degli indigeni che è arrivata fino alle sale dove si svolgono i negoziati, un incendio tra i padiglioni e le aspettative – altissime – che mano a mano si abbassavano, si è arrivati allo scontro. Duro e inevitabile. E altri Stati hanno puntato i piedi. Sono quelli che hanno scritto alla presidenza della Cop30 ponendo un veto sul riferimento esplicito alla roadmap, proposta che mette insieme Paesi ricchi e in via di sviluppo, le principali nazioni europee ma, anche qui, non l’Italia. E 24 nazioni hanno firmato l’iniziativa di Colombia e Paesi Bassi di organizzare una prima conferenza internazionale ad hoc sulla transizione dai combustibili fossili a Santa Marta, in Colombia, ad aprile 2025. Multilateralismo è stata una parola chiave della Cop ma, se avrà un contenuto, è tutto da stabilire.
Tensione fino all’ultimo minuto
La tensione è andata avanti fino all’ultimo minuto. I lavori della plenaria sono stati sospesi dopo una rivolta da parte di delegati di alcuni Paesi che si sono lamentati dell’approvazione di documenti senza un accordo. A vertice chiuso, il presidente della Cop, André Correa do Lago, l’ha riaperta, dicendo di essere stanco e scusandosi per non aver colto le obiezioni sollevate dalla Colombia e da altri Paesi, tra cui Uruguay e Cile, riguardo il mancato inserimento di un obiettivo definito per l’abbandono dei combustibili fossili nel testo delle conclusioni. Do Lago ha spiegato di aver consultato gli avvocati, i quali affermano che l’accordo che è stato approvato non può essere riaperto per inserire un linguaggio più forte sui combustibili fossili. Ma la Colombia è determinata e ha fatto sapere che consulterà i propri avvocati.
Passi in avanti sull’adattamento
La Cop30 è stato il primo vertice sul clima dopo che il mondo ha registrato un intero anno con temperature superiori a 1,5 °C. E forse anche questo ha pesato su uno dei pochi risultati concreti. Riguardo alla finanza climatica, infatti, i paesi ricchi si sono impegnati a triplicare i finanziamenti per l’adattamento nell’ambito del Nuovo obiettivo di finanza climatica (NCQG) deciso alla Cop 29, da 300 miliardi di dollari entro il 2035. I Paesi in via di sviluppo avrebbero preferito entro il 2030, resta il fatto che si tratta di circa 120 miliardi di dollari dell’obiettivo di 300 miliardi destinati a misure di adattamento nei paesi più vulnerabili. Alla Cop 30, poi, sono stati promessi 135 milioni di dollari al Fondo per l’adattamento. Mentre la Roadmap Baku-Belem ha definito un piano per aumentare i finanziamenti globali per il clima al almeno 1,3 trilioni di dollari all’anno entro il 2035 (obiettivo già concordato a Baku). Sono stati poi promessi 300 milioni di dollari per il Piano d’Azione Sanitario di Belém per sostenere l’adattamento del settore sanitario ai cambiamenti climatici.
Non c’è accordo sull’uscita dalle fossili, ma passi in avanti su adattamento
È difficile dire che cosa voglia davvero dire il presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, affermando che alla Cop30 “la scienza ha prevalso, il multilateralismo ha vinto”. Certo è che, a dieci anni dall’Accordo di Parigi e a due anni dal testo finale della Cop23 di Dubai, con cui tutti i Paesi si impegnavano per una graduale “transizione dai combustibili fossili”, alla Cop30 organizzata in un paese amazzonico non si riescono neppure a citare i combustibili fossili nel documento finale, la Mutirão Decision. Non è stato accolto l’appello del presidente Lula e di oltre 80 Paesi per una roadmap su fossili e deforestazione ma – con una scelta controversa e contraddittoria – si conferma la traiettoria tracciata nel documento finale (e storico) del 2023, nel quale per la prima volta si citavano eccome i combustibili fossili. Sembra un secolo fa. A mettersi di traverso, a quanto pare, gli altri Paesi Brics (in primis Russia e India) e dei Paesi del Golfo. Venerdì, la prima doccia fredda. Perché dopo l’accelerata che la presidenza sembrava voler dare a questa Conferenza delle Parti sul clima, nel giorno che avrebbe dovuto chiudere la Cop sono invece arrivate le versioni aggiornate dei testi negoziali, compresa la bozza della Mutirão Decision. Un testo che ha scontentato tutti i Paesi più ambiziosi perché, già quello, non citava la tabella di marcia. La situazione non è cambiata più di tanto. Alla fine, dunque, nessuna roadmap per i 194, ma alla Cop si concorda per l’avvio di nuovi processi per accelerare la transizione energetica, come il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1.5. La prima però, è un’iniziativa volontaria sotto la guida delle presidenze delle prossime due Cop (quindi un processo biennale) per discutere di come aumentare l’implementazione di Ndc, i Contributi determinati a livello nazionale sulla mitigazione e Nap, ossia i piani per l’adattamento. La Belém Mission to 1.5, sotto la guida della Cop30 e delle successive due, servirà a capire come accelerare l’implementazione, la cooperazione internazionale e gli investimenti nei piani nazionali.
La posizione di Pichetto e di Meloni (al G20 ininfluente)
“La tabella di marcia sulla transizione dai combustibili fossili non è parte del documento della Cop30 perché metà dei paesi sinceramente non condividevano questa posizione. Noi, nel merito, valutando poi i contenuti, abbiamo dichiarato la nostra adesione a sederci e vedere il percorso” ha dichiarato il ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, parlando con i giornalisti, ribadendo che, anche all’interno dell’Unione europea ci sono Paesi “per cui il percorso di transizione dai combustibili fossili è più facile” rispetto all’Italia, perché possono contare su altre fonti in misura maggiore “dalle rinnovabili come la Spagna, al nucleare come la Francia”. Nel frattempo, era partito anche il G20 a Johannesburg, in Sud Africa. Lo scorso anno, il G20 in Brasile non aveva aiutato la Cop di Baku, in Azerbaigian, ma la speranza era che l’incontro tra Lula, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il presidente francese Macron e quello sudafricano, Cyril Ramaphosa, potesse aiutare ad aprire un dialogo con i leader di Paesi come Arabia Saudita e India. Non è andata per nulla così. Le parole della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, non hanno certo giocato la partita dei Paesi più ambiziosi: “Non stiamo combattendo i combustibili fossili, quanto le emissioni che derivano dai combustibili fossili” ha dichiarato, nel chiaro intento di non scontentare nessuno. E Giorgia Meloni ha dato l’affondo: “Dobbiamo abbandonare una volta per tutte un dogmatismo ideologico che sta provocando più danni che benefici. In Europa, ad esempio, sono state fatte in passato scelte che hanno messo in ginocchio interi settori produttivi, e senza che questo producesse un beneficio reale sulle emissioni globali”.
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