Aviaria, aumentano i focolai al Nord. Aziende agricole sequestrate e smaltimento di uova nel Varesotto, abbattimenti nell’Alto Mantovano

  • Postato il 18 novembre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Nel Nord Italia i focolai di influenza aviaria, del tipo H5N1, continuano ad aumentare. Dopo i casi nelle province di Forlì, Alessandria, Udine e Verona e quelli in Lombardia dove, a fine ottobre, in pochi giorni sono stati individuati tre focolai, nel Cremonese, nel Lodigiano (a Zelo Buon Persico) e nel Bresciano e dove si erano dovuti abbattere tacchini e fagiani, c’è molta apprensione in queste ore nelle province di Varese e Mantova. Sono risultati positivi al virus i tamponi, analizzati dall’Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia, provenienti da un allevamento di galline ovaiole, non distante da Busto Arsizio dove, come prevede la legge, è stato avviato lo smaltimento di uova, mangimi e animali morti. A Olgiate Olona, sempre nel Varesotto, un’azienda agricola è stata sequestrata su ordine del dipartimento veterinario di Ats Insubria e messa in quarantena. Nel frattempo, nel Bergamasco, il virus è stato trovato in uccelli selvatici abbattuti a Fontanella, tanto che l’Ats di Bergamo ha chiesto a tutti gli allevamenti all’aperto di tenere pollame e volatili al chiuso, per evitare contatti con l’avifauna selvatica. E dato che a Bologna, all’inizio dell’anno, sono stati individuati due casi di influenza aviaria nei gatti, proprio di recente, il servizio di Anatomia patologica del Dipartimento di Scienze mediche veterinarie dell’Università di Bologna ha avviato un un progetto di monitoraggio.

Busto Arsizio, controlli costanti in 44 allevamenti

Dopo il riscontro di una positività definita “ad alta patogenicità” nell’allevamento di pollame nei pressi di Busto Arsizio, sono scattate misure stringenti per le aziende avicole nel raggio di tre chilometri ed è stata disposta una zona di sorveglianza che si allarga per dieci chilometri e arriva fino al Comasco, ma coinvolge quasi 40 Comuni. L’Ats ha individuato 44 allevamenti di varie dimensioni da sottoporre a controlli costanti e, nell’ordinanza firmata dalla direzione del settore Sanità animale, prevede 30 giorni di sorveglianza durante i quali, anche nei pollai privati, sarà necessario segnalare ogni possibile anomalia o sintomo riconducibile all’aviaria. L’origine del focolaio, al momento l’unico nell’area, non sarebbe legata ad animali selvatici, ma al contatto con un’altra struttura nella quale è stata riscontrata l’infezione, fuori dal Varesotto. Quindi legata a un altro focolaio.

A Olgiate Olona (Varese), sanificazione e disinfestazione

Sempre nei giorni scorsi, il dipartimento veterinario di ATS Insubria ha dovuto mettere in quarantena, per un periodo di 21 giorni – anche un allevamento di Olgiate Olona, dove sono state condotte misure di sanificazione e disinfestazione previste dai protocolli. Il contagio è stato confermato dall’Istituto zooprofilattico sperimentale di Brescia e non sarebbe stato causato direttamente da animali selvatici. Anche in questo caso, sono scattate le restrizioni previste dai protocolli: zona di osservazione per le attività nel raggio di tre chilometri dall’allevamento in cui è stato rilevato il virus e zona di sorveglianza nel raggio di dieci chilometri dall’allevamento in questione.

Focolaio dell’Alto Mantovano: abbattuti 20mila tacchini in due ditte

Si stanno invece concludendo le operazioni di abbattimento di 9mila tacchini, dopo quelle che hanno riguardato altri 11mila capi in seguito all’individuazione di un focolaio di influenza aviaria in un allevamento di pollame di Guidizzolo, nel Mantovano di pollame, anche in questo caso ad alta patogenicità, del sottotipo H5n1. In questo caso, infatti, non si è proceduto solo all’abbattimento degli animali nell’allevamento interessato, ma anche al de-popolamento di quello vicino.

Gli altri casi in Lombardia e nel Nord Italia

Ma è da ottobre che i casi continuano ad aumentare. Il primo segnale era arrivato da Casale Cremasco-Vidolasco il 27 ottobre. Nell’attesa dei risultati delle analisi, poi, il virus è stato individuato nel Bresciano, in un allevamento di tacchini di Seniga, al confine con la provincia di Cremona. Qui è stato inevitabile l’abbattimento di 34mila tacchini. Nel frattempo, è arrivata a sentenza di morte anche per tutti i 60mila capi presenti nel capannone di Casale Cremasco. Il focolaio ha portato all’istituzione di una zona di protezione di 3 chilometri intorno all’allevamento e di una zona di sorveglianza che coinvolge 18 comuni della Bassa Bergamasca. Ma sono più di trenta, tra Bassa Bergamasca, Val Calepio e Hinterland, le zone di protezione e sorveglianza rafforzate. Poi è stata la volta di Lodi, con un altro focolaio individuati in un allevamento di fagiani di Zelo Buon Persico. Negli stessi giorni, in un allevamento della pianura forlivese, al confine con il territorio Ravenna, si procedeva all’abbattimento di 150 polli da carne. Risale a circa un mese fa, invece, la conferma della presenza di un focolaio in uno dei due capannoni di un allevamento di galline di Occimiano, in provincia di Alessandria. Trentacinquemila tra galli e galline per la riproduzione erano presenti nell’allevamento e sono stati tutti abbattuti, anche – preventivamente – i diciassettemila presenti nel capannone dove il virus non è stato riscontrato. Gli altri casi, sempre un mese fa, nell’Udinese (in un allevamento di polli boiler di Povoletto) e nel Veronese, a Oppeano, dove il virus ha colpito un allevamento di tacchini.

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Il Fatto Quotidiano

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