Al Sud solo 100 dei 300 miliardi previsti in ferrovie entro il 2032. L’ennesima presa per i fondelli
- Postato il 5 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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I ladri hanno almeno la decenza di coprirsi la faccia, di agire nell’ombra e rispettare un religioso silenzio. Loro no, loro sbandierano ai quattro venti le nefandezze compiute. ‘Loro’ chi? Chi occupa gli scranni di questo esecutivo. Ed è, purtroppo, un trend che non alberga in uno specifico colore politico: avviene così un po’ da sempre, al netto degli schieramenti, al netto del periodo storico. Salvemini, Nitti, Gramsci, del resto, furono i primi a denunziare l’annosa Questione Meridionale, tutt’altro che risolta.
Non è un caso che la classifica delle Regioni a rischio povertà in Europa vede la Sicilia e la Campania rispettivamente al primo e secondo posto, mentre aggregando le Regioni meridionali, il Mezzogiorno risulta essere l’area più povera dell’Unione Europea. Peggio c’è solo il Mayotte, territorio francese in terra africana, vicino al Madagascar.
I ladri hanno almeno la decenza di coprirsi la faccia, dicevamo. Chi siede al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, invece, addirittura si vanta dei furti con scasso. Ebbene, negli ultimi giorni questo dicastero ha pubblicato un report che prevede lo stanziamento di 300 miliardi destinati agli investimenti sulla rete ferroviaria italiana entro il 2032, sostenendo che il Sud sarà prioritario. Ma siccome credono che i terroni non sappiano leggere, hanno addirittura pubblicato i dati. Ed è venuto fuori che, di quest’importo, il Centro-Nord percepirà 200 miliardi, il Mezzogiorno 100. Il che non stride tanto col fatto che al Sud risiede quasi il 35% della popolazione nazionale, mentre la dotazione assegnata sarebbe del 33,3%. Insomma, non è quel 2% in meno che fa salire la popolazione meridionale sulle barricate. Ciò che fa arrabbiare è la presa per i fondelli.
Ad oggi, un turista che si muove in treno da Trapani a Ragusa, che distano circa 300 km, impiega più di 12 ore. E non può optare per Italo o la Freccia perché al Sud si sviluppa solo il 12% dell’alta velocità nazionale (181 chilometri di linee contro i 1.583 chilometri di rete nazionale). Stesso discorso per l’elettrificazione infrastrutturale: su 16.788 chilometri di rete nazionale, al Sud si sfiora il 50%, quando in altre parti d’Italia si supera l’80%.
Questo per dire cosa? Che per sanare la sperequazione infrastrutturale, e non continuare a trattare i meridionali alla stregua di cittadini di serie B, probabilmente si sarebbe dovuto agire al contrario, destinando 200 miliardi al Sud (dei 300 totali) e non l’opposto. Invece, ‘loro’ hanno persino la faccia tosta di vantarsi, di sbandierare mancette al Mezzogiorno, dimenticandosi che il decreto-legge n. 121 del 2021 già aveva istituito un fondo apposito per l’esclusiva perequazione infrastrutturale del Sud, dotazione azzerata nella legge di bilancio 2024 dal governo Meloni.
La verità è che l’infrastrutturazione stradale del Mezzogiorno è rimasta sostanzialmente invariata dal 1990. Lo confermano i dati forniti da Eurostat, secondo cui per ogni 1.000 chilometri quadrati di superficie, al Sud si registrano appena 18 chilometri di rete autostradale, a fronte dei 30 del Nord e dei 20 del Centro. Analogamente, si incontrerebbe difficoltà a muoversi in aereo, atteso che nel Centro-Sud si conta un aeroporto ogni 300 km, mentre al Nord ve n’è uno ogni 40 km.
Chiedere di concentrare maggiori risorse al Sud, non vuol dire invocare privilegi, bensì reclamare diritti. Guardando alla storia europea contemporanea, possiamo constatare che a partire dal secondo dopoguerra ci sono stati solo due imponenti tentativi di recupero delle aree fragili all’interno della stessa nazione: il Sud d’Italia a partire dagli anni 50, e la Germania dell’Est dal 1990 ad oggi. Entrambi i tentativi hanno coinvolto una considerevole fetta di popolazione, con 16 milioni e mezzo di abitanti nell’Est (un quinto dell’intera popolazione tedesca) e 20 milioni nel Sud (circa un terzo di quella italiana). Tuttavia, in trent’anni i tedeschi hanno investito cinque volte in più rispetto al nostro Paese, per valorizzare le aree fragili.
Per questo motivo, oggi, ci troviamo di fronte a una sfida fondamentale per il futuro dell’Italia: il recupero delle vaste aree sottosviluppate all’interno del nostro paese, che non vanno inquadrate come un problema da risolvere, bensì come la soluzione del problema. Perché solo se cresce questo territorio riparte tutto il Paese. Ma ‘loro’ lo avranno capito secondo voi?
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