Aggrediti operai in sciopero a Prato: la loro è una ribellione contro lo sfruttamento nella filiera della moda
- Postato il 17 settembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Un pugno. L’inseguimento. Un calcio. Un gazebo che viene ribaltato. Appare un altro uomo e giù ancora pugni. È tutto in un video di una quarantina di secondi che arriva dal distretto industriale di Prato, cuore del “made in Italy”.
Le immagini sono inequivocabili. Il sindacato SUDD Cobas denuncia che a praticare la violenza è stata la proprietaria della Alba srl. Aiutata da altre persone. A subire la violenza sono invece i suoi dipendenti. Uno, un operaio bangladese di 25 anni, ha ricevuto cinque giorni di prognosi per i colpi subiti.
Strano che il Governo Meloni, così attento a denunciare il rischio violenza fomentato dalla sinistra, sia muto e cieco di fronte alle botte padronali contro gli operai…
Alla Alba srl i lavoratori erano in sciopero da sei giorni per fermare il piano di svuotamento dello stabilimento: dal sito di stireria e confezione in Via delle Lame hanno pian piano portato via sia macchinari che lavoro. Se da un lato Via delle Lame si svuotava, poco più in là un altro capannone veniva riempito di macchine da cucire e commesse. Indovinate a chi appartiene il “nuovo” sito? Agli stessi proprietari della Alba srl, of course.
Ma perché questo svuotamento e questa “esternalizzazione”? Il SUDD Cobas non ha dubbi: l’operazione sarebbe motivata dalla volontà di “cancellare i posti di lavoro regolari per sostituirli con manodopera a basso prezzo, per aggirare l’accordo sindacale”. A febbraio, infatti, gli operai avevano ottenuto l’applicazione del contratto nazionale corretto (Ccnl Tessile Industria anziché il precedente illecito Ccnl Pulizie) e il rispetto di orari regolari, visto che fino a quel momento erano costretti a lavorare gratuitamente il sabato.
Le condizioni di lavoro contro cui si sono battuti e si battono questi lavoratori col SUDD Cobas – paghe bassissime, orari infiniti, straordinari non pagati, condizioni di sicurezza più che discutibili – sono purtroppo la normalità nella filiera della moda più che l’eccezione. Non solo a Prato. Perché nei distretti della moda di altre regioni le cose non vanno poi così diversamente. Anzi. A Napoli, ad esempio, diversi lavoratori negli ultimi mesi ci hanno raccontato di un ritorno, dopo un periodo di magra, di tante commesse. Il lavoro è tornato, ma ciò che è sparito è il minimo della dignità necessaria. Si lavora letteralmente negli scantinati, in imprese fantasma. Il lavoro nero è nuovamente la norma, se mai c’era stato un trend di parziale regolarizzazione dei dipendenti del settore. Ci sono episodi di lavoro semi-schiavistico, che ci parlano di divieto di usare il bagno durante l’orario di lavoro o di un controllo ferreo dei tempi necessari a espletare i propri bisogni. Il lavoro che è tornato fa sempre meno rima con dignità e sempre più con umiliazione.
L’ultimo avvenimento di Prato si inserisce in questo contesto. E non parliamo dell’unico atto di violenza padronale contro gli operai. Per rimanere al distretto pratese, già un anno fa, nell’ottobre 2024, a Seano alcuni uomini a volto coperto avevano aggredito con mazze ferrate quattro lavoratori della Confezione Lin Weidong, sempre organizzati dal SUDD Cobas.
Perché questi ripetuti episodi di violenza, che guarda caso avvengono soprattutto in settori a forte presenza di forza lavoro immigrata (anche nella logistica le aggressioni sono state ripetute negli anni)?
Il fattore principale è da ricercare sul terreno politico, non su quello strettamente sindacale. È certo che le lotte operaie sviluppate grazie al sindacalismo conflittuale di organizzazioni come il SUDD Cobas stanno permettendo ai lavoratori di fare enormi passi in avanti in termini di salario e diritti; altrettanto certo è che gli imprenditori si vedono ridurre i margini di profitto.
Gli operai avanzano; gli imprenditori arretrano. I primi vincono; i secondi perdono. È il ribaltamento dei tradizionali rapporti di forza. È la messa in discussione non solo dei margini di profitto, ma anche dei rapporti di potere tra imprenditori e dipendenti.
I lavoratori, man mano che lottano e conquistano terreno, acquisiscono maggiore fiducia in se stessi. Osano via via di più. Dacché erano in ginocchio, si alzano. Dipendenti fino a poco prima “mansueti” (e quante volte abbiamo sentito che alcune nazionalità, tra cui bangladesi e pakistani, sarebbero naturalmente e antropologicamente tali!) osano guardare negli occhi l’imprenditore. Parlargli faccia a faccia. E dall’altra parte anche solo questo può essere considerato un atto di sfida, lesa maestà, l’incrinatura di quel principio di auctoritas su cui si basa l’“ordine” sui posti di lavoro. Chi ha lavorato da dipendente in una azienda privata, soprattutto se piccola, sa di cosa sto parlando.
La violenza padronale scatenata contro gli operai ha l’obiettivo di rimettere le cose al proprio posto, a ripristinare l’ordine “naturale”. C’è chi comanda e chi è subordinato. Chi comanda può anche concedere qualcosa, ma si tratta del frutto della propria generosità, della propria carità, che si esercita dall’alto al basso.
Gli operai del distretto di Prato e il SUDD Cobas sono invece protagonisti di una piccola ma significativa ribellione, che è la concretizzazione dello slogan “schiavi MAI” che lavoratori e lavoratrici urlano da anni in alcuni dei settori economici del nostro Paese, dalla logistica alla moda.
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