Addio a Giorgio Armani, il figlio adottivo che ha fatto grande Milano

  • Postato il 5 settembre 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Quando viene a mancare una figura pubblica di indiscussa rilevanza, spesso la commozione e la retorica si intrecciano, liberando il recinto dei superlativi, delle frasi fatte e – nell’era dei social – degli archivi fotografici che ci ritraggono vicino alla star passata a miglior vita. In una paradossale autoreferenzialità mediatica, tendiamo un po’ tutti a parlare di noi stessi, invece che della persona che ci ha lasciato.

Non poteva essere altrimenti per il grande Giorgio Armani, un autentico gigante del settore della moda, che con il suo lavoro ha contribuito a fare di Milano una capitale globale del prêt-à-porter, ma senza mai staccarsi dalle sue radici meneghine e dando un boost all’immagine della città che pochi altri possono anche solo pensare di eguagliare.

È stato uno dei protagonisti della “Milano da bere” negli anni 80, un periodo nel quale – decisamente più che oggi – il mondo della moda veniva accusato di propagandare edonismo e superficialità. Contraddizioni reali, come quelle della nostra città. Probabilmente gli attacchi sarebbero stati anche più forti, se la lotta di classe non fosse stata abbondantemente superata fin dal decennio precedente e se la spinta verso la sostenibilità (non solo ambientale) non fosse iniziata solo negli anni a venire. E’ il segno dei tempi, come diceva Prince in una delle più significative canzoni del decennio.

Il destino dei grandi è proprio quello di venire incastonati nel proprio tempo, sia perché lo si è caratterizzato, sia perché a propria volta se ne è stati nel contempo caratterizzati, quali simboli di vizi e virtù collettivi. Nel caso di Armani, però, c’è di più. C’è una persona che ha saputo essere tale senza venire schiacciata dal proprio personaggio. C’è un figlio adottivo di Milano che ha saputo essere parte della propria comunità in maniera proattiva, molto prima che tutte gli imprenditori e le aziende capissero come ciò rappresenti una necessità inderogabile per il marketing moderno.

Era certamente un passo avanti a tutti gli altri, anche perché di marketing non aveva più granché bisogno. Lo si è capito anche pochi giorni prima della sua scomparsa, quando, 91enne e malato da tempo, aveva acquistato la mitica Capannina” di Forte dei Marmi non tanto per ragioni di business, ma per ragioni affettive: qui, nel 1966, aveva conosciuto Sergio Galeotti, poi diventato suo compagno di vita, fino alla sua scomparsa nel 1985. E’ poi seguita un’altra relazione di lungo termine, anche in questo caso vissuta all’insegna della massima riservatezza: quella con Leo Dell’Orco, anche suo socio e probabile nuova guida della griffe.

Armani ha creato occupazione, ma anche cultura. Il 24 settembre, come da programmi precedenti, la Pinacoteca di Brera inaugurerà la mostra sui 50 anni del marchio che ha segnato la storia della moda. La sua legacy certamente continuerà a vivere attraverso l’Armani/Silos, inaugurato in occasione di Expo 2015 e rapidamente diventato un punto di riferimento per la vita sociale cittadina. Lo ricorderemo certamente anche in occasione delle Olimpiadi invernali del prossimo anno, visto che gli atleti azzurri indosseranno le divise con la sua firma. Un ulteriore capitolo di una storia d’amore con lo sport che, oltre alle nazionali, ha visto la sua griffe siglare partnership con il Piacenza (squadra della sua città natale), il Chelsea, il Napoli e quella recentissima con la Juventus.

Le bandiere a mezz’asta nella sede del Coni sono il giusto omaggio a una figura che, dopo aver vissuto da protagonista anche il mondo del cinema e della musica, è stata fondamentale per lo sport, ma soprattutto per il basket milanese. Vero e proprio mecenate, Armani ha preso l’Olimpia Milano in anni di grande difficoltà e l’ha riportata a livelli degni del suo blasone. Dopo quasi due decenni di binomio tra due dei brand più importanti del nostro Paese, ora il vero tema è capire come il pluridecorato club delle Scarpette Rosse possa sopravvivere al suo mecenate, una questione che peraltro che interroga gli addetti ai lavori da qualche tempo, per ovvie ragioni, ma che la situazione non idilliaca dello sport rende di soluzione tutt’altro che facile.

Oggi trovo però doveroso ricordare soprattutto il Giorgio Armani cittadino che, nei mesi da incubo dell’emergenza Covid, si è prodigato non “solo” con ingenti donazioni alle strutture sanitarie, ma anche convertendo parte della sua produzione di lusso al fine di realizzare camici e dispositivi di protezione per fronteggiare lo tsunami. Una sorta di tattica di guerra che credo sia stata collettivamente rimossa troppo velocemente, insieme a tutto il dramma che ha caratterizzato quell’infernale avvio di decennio.

Anche in quel frangente, “Re Giorgio” ha tenuto fede al suo soprannome operando con la medesima sobrietà che ne ha caratterizzato tanto le sue mitiche t-shirt nere quanto un modo di essere “vip” mai sopra le righe e oltre i confini del buon gusto. In una parola, quanto mai opportuna, elegante. D’altra parte, lo aveva detto anche in tempi non sospetti: “La vera eleganza non è farsi notare, ma farsi ricordare”.

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Il Fatto Quotidiano

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