Umori e timori dell’equipaggio della barca salpata da Roccella verso Gaza

  • Postato il 29 settembre 2025
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Il Quotidiano del Sud
Umori e timori dell’equipaggio della barca salpata da Roccella verso Gaza

«Con una barchetta andiamo incontro a un esercito». Parla l’equipaggio della Al – Awda (già Brucaliffo) della Freedom Flotilla Italia, parte della Global Sumud Flotilla, barca partita da Roccella Jonica


ANDARE per mare, col vento in faccia. Quale immagine rappresenta meglio la sensazione di libertà, se non questa? Ebbene, il mare tra le terre, il Mediterraneo, sul quale si affacciano lingue, culture, etnie così diverse, è teatro di questo viaggio che si oppone alla libertà negata al popolo palestinese. Una missione il cui scopo è assediare gli assedianti con l’umanità e la solidarietà. Ne parliamo con il capitano e con l’equipaggio della Al – Awda (già Brucaliffo) della Freedom Flotilla Italia, parte della Global Sumud Flotilla. In queste ore la situazione si sta evolvendo. Sono in corso delle trattative e la Chiesa è intervenuta esprimendo appoggio totale per la missione.

L’EQUIPAGGIO DELLA AL-AWADA PARTITA DA ROCCELLA


Il capitano Dario Accurso Liotta ci presenta il resto dell’equipaggio: «Io e Nando Primerano siamo partiti da Roccella. Ad Otranto abbiamo imbarcato Francesca Amoroso da Bari, impiegata e sindacalista, e Fabio Saccomani da Livorno, giornalista. Siamo arrivati a sud di Cefalonia, ora abbiamo riparato nel porto di Sami perché il tempo è veramente brutto».

Roberto Cenci, capitano della barca d’appoggio, aveva ipotizzato 10 gg. di navigazione.


Dario Accurso Liotta: «Sta arrivando una forte perturbazione che interesserà tutto il Mediterraneo per almeno due giorni. Domani proveremo, sempre seguendo l’evoluzione del meteo, ad andare verso il sud del Peloponneso, ma non credo che potremo fare molto di più».

Il morale di queste “truppe della pace e della fratellanza” com’è?


Francesca Amoroso: «Ottimo. Siamo fiduciosi nonostante le difficoltà: dal meteo ai momenti di sconforto, alla stanchezza anche per dover stare in uno spazio così piccolo sempre insieme. Miriamo all’obiettivo. Questo, insieme alle notizie molto incoraggianti dall’Italia, ci aiuta tanto. Anche l’appoggio della Chiesa ci rende forti».

Vi posso dire che gran parte del paese è con voi, è il vento che gonfia le vostre vele. State dando la prova che se non lo fanno i governi si possono muovere le persone buone che ci sono dappertutto.


F. A.: «Noi ci vediamo come una piccola matita che sta creando una curva per modificare quella linea retta che si voleva dare a questo percorso storico».

Francesca, lei fa la sindacalista. In questi giorni le manifestazioni sono state promosse dall’Usb, ma ora anche la Cgil sembra si stia accodando perché ha capito di aver commesso un grande errore a prendere sotto gamba le manifestazioni di un piccolo sindacato.


F. A.: «Il mio sindacato è la Cisl, quindi non ha nulla a che vedere con questi due, e questo fa un’enorme differenza».

Questo mi riempie di gioia perché proprio ieri è stato dato un incarico all’ex segretario del suo sindacato, un calabrese, da questo governo. Quindi anche nella Cisl c’è qualcosa di buono.


F. A.: “Ogni organizzazione è fatta da persone pensanti. Questo ci permette anche di ottenere la fiducia di chi ci ascolta, perché è vero che c’è una linea data dall’organizzazione, però c’è anche il senso critico».
D.A.L.: «Brucaliffo è diventata Al – Awda, e ognuno è salito su questa barca dimenticandosi le proprie radici politiche. Siamo diventati l’equipaggio che deve portarla a Gaza, anche se siamo persone diversissime. Stiamo facendo navigare la barca insieme e stiamo ragionando su quello che accade. Il dibattito è costante».

Nando Primerano (reggino, attivista e protagonista di tante battaglie), come va?


Nando Primerano: «Sicuramente dal punto di vista fisico è stancante anche per l’età, che comunque non m’ha impedito di intraprendere questa bella avventura. Noi siamo corroborati da tutte le persone che abbiamo incontrato, da quelle che ci scrivono. Siamo spinti non solo dal vento, ma anche da tutto questo affetto. Non ci sentiamo un’avanguardia, ma parte di questa impresa. Si è detto che esiste l’equipaggio di terra e l’equipaggio di mare, proprio perché ci sentiamo parte di una comunità che si è formata in questo frangente storico molto particolare. Lo stimolo adesso è diventato uno tsunami, non più un’onda, con tutti i natanti, tutte le organizzazioni che provano a infrangere il muro di fronte a Gaza. Un incrocio storico molto particolare che noi siamo orgogliosi di star vivendo come parte di questo mondo che si è messo in movimento e che sta obbligando i governanti, i nostri in primis, a trasformare questa realtà».

Scusate se vi faccio questa domanda: a paura come siamo messi?


Fabio Saccomani: «Io mi pongo, per la prima volta così seriamente, il problema di andare incontro a qualcosa di potenzialmente mortale. Mi è capitato di vivere situazioni molto pericolose ma improvvise, oppure mi è capitato di fare sport estremi, il cui rischio è però calcolatissimo. Qui siamo consapevoli con grande anticipo. Stiamo andando con una barchetta incontro a un esercito. Attingendo alla bellissima tradizione giudaica, siamo Davide contro Golia».

Quindi non è detto che Davide debba soccombere, soprattutto se è accompagnato, come diceva giustamente Nando, dal c.d. equipaggio di terra.


F. S.: «Rimanendo in tema di metafore, lo tsunami è scaturito da un movimento che ha origine proprio da terra, è un movimento tettonico di faglia. Si è aperta una faglia nella crosta terrestre politica e la tensione e l’energia, immagazzinate in forze immense ma latenti, hanno finalmente dato vita a un movimento talmente potente da creare un’onda enorme, per cui 40 o 50 barchette acquisiscono veramente la dimensione di uno tsunami. A proposito della paura, noi siamo quattro persone come tutte le altre. Semplicemente mettiamo in gioco, forse per una serie di opportunità, di incastri, questo nostro tempo e questo nostro corpo. Ma ciò ha senso solo se siamo la parte più esposta di un movimento più grande».

Adesso qual è il programma?


D.A.L.: «Aspettiamo che passi questa prima perturbazione per muoverci verso il sud del Peloponneso. Probabilmente alle prime luci dell’alba salperemo. Il primo passo verso Gaza è unirci alla flottiglia 1000 Madelin salpata da Catania. Ci uniremo a loro per raggiungere altri che si stanno muovendo, giacché c’è stato un fiorire di iniziative di persone che si stanno mettendo in gioco per un’idea semplice, però diretta e in qualche modo sconvolgente: rompere l’assedio della fame. Anche per questo è difficile accettare la soluzione proposta da Mattarella perché non riesce a visualizzare questo aspetto. Dopodiché abbiamo apprezzato moltissimo il suo riconoscimento alla nostra azione dal Presidente. Dobbiamo riuscire però a rompere il muro della politica, assente come i governi. Anche la politica dei partiti progressisti o di sinistra, tolto qualche deputato che ha deciso di spendersi in questa direzione, deve elaborare proposte. La nostra è una sola: rompere l’assedio, e su questa non siamo disposti anche a mediare».

Assedio che, ricordiamolo, non è iniziato adesso. Da anni i palestinesi sono prigionieri nella loro terra e lo sono sempre di più. Questo è inaccettabile.


F. S.: «Una riflessione: le critiche sul tempo che ci mettiamo ad arrivare secondo me poggiano su una non conoscenza di base, su una mancanza di fiducia per lo straniero. Magari le persone hanno l’idea dei traghetti che in qualsiasi condizione fanno 18, 20 nodi. Noi siamo su una barca a vela di 12 m che ne fa al massimo 6. Non ci possiamo permettere di affondare, per noi stessi e per non creare problemi agli altri, che dovrebbero venire a soccorrerci. Inoltre, dobbiamo andare commisurati alle condizioni di vento, non possiamo stivare milioni di litri di carburante, dobbiamo andare a vela».
D.A.L.: «Quando ho detto ci vado l’ho comunicato a tutti, e mi chiedevano: “ma non hai paura dell’esercito israeliano?” Io ho risposto che mi spaventavano di più le 900 miglia in mare con una barca stipata!»
F. A.: «Un aggettivo molto utilizzato nei nostri riguardi dalle istituzioni italiane è “irresponsabili”. Non è proprio così: stiamo procedendo a piccoli passi proprio per mantenere un atteggiamento responsabile innanzitutto nei nostri confronti, in maniera da essere utili agli altri».
Gli irresponsabili sono quelli che non si occupano della morte per fame di tanti bambini che, forse, è ancora peggio della morte per i bombardamenti.
F. A.: «A proposito delle persone che non vogliono ascoltare o vedere: io mi chiedo, con quello che sta succedendo, come sia possibile. A partire dai più giovani, sempre iperconnessi, ma anche per le persone di tutte le età. Per cui magari l’appello da lanciare è quello di avere un focus su chi troverà giovamento da quello che noi stiamo facendo, non tanto su di noi».

E sarebbe il modo forse migliore per rendersi conto e per apprezzare quello che fate. A presto e buon vento.


L’equipaggio: «Grazie! Andiamo a Gaza!»

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