The shadow scholars, così i ricchi e gli studenti occidentali “sfruttano” i laureati del Kenya

  • Postato il 2 ottobre 2025
  • Cinema
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Migliaia di laureati kenioti poveri scrivono tesi, saggi, prove d’esame per milioni di studenti ricchi dei paesi occidentali (e non solo). Il dato nudo e crudo del documentario The shadow scholars – uno dei titoli di punta della rassegna Mondovisioni all’interno del Festival di Internazionale a Ferrara dal 4 al 6 ottobre 2025 – ti sbatte sul muso l’ennesimo effetto del neoliberismo globale, in chiave insolitamente scolastica ed intellettuale. Quando si dice il mondo del sapere sommerso.

Quello che scopre la docente Patricia Kingori, la più giovane accademica di origine africana di Oxford, è qualcosa di incredibilmente paradossale. In pratica solo nella capitale Nairobi, in Kenya, ci sono almeno 40mila laureati, uomini e donne, che forniscono in pochi giorni o addirittura poche ore saggi brevi, medi o lunghi di ingegneria, veterinaria, chimica, economia. Chi più ne ha più ne metta. Di soldi però no. Perché si viaggia a pagamenti da fame (poco più di un dollaro l’ora). Semmai di richieste che arrivano da qualunque parte del mondo, in primis Stati Uniti e Gran Bretagna, e perfino da Cina e Australia.

Gli studenti ricchi ma ignoranti, per nulla studiosi, magari ansiogeni, dicono loro, per poter procedere negli studi universitari, anche nelle prove settimanali, attraverso account falsi sul web chiedono ai kenioti laureati di scrivergli di tutto. Il sistema funziona da parecchio tempo. I docenti occidentali promuovono a gran voti e intanto alimentano la miseria di sfruttati e preparati laureati africani.

Chiaro The shadow scholars è una sorta di reportage dall’impostazione antispettacolare. La regia di Eloise King non è di quelle che si sentono e si vedono. Ma a questo giro basta raccontare, registrando facce ed espressioni di sfruttati e sfruttatori dentro ad un sistema apparentemente ignaro. Un’analisi socio-economica dell’attuale che si infila dritta nel post-colonialismo di fine del secolo scorso. L’indipendenza del Kenya raggiunta con fatica nel 1963, ma che con il globalismo finanziario e culturale fin de siecle (si campa non conoscendo la propria lingua, ma l’inglese) fa tornare presente e futuro delle nuove generazioni nello sprofondo del terzo mondo. Tanti gli intervistati dal duo King/Kingori a Nairobi, anche tra gli slums. C’è perfino una ragazza di 25 anni che da oltre due anni fa questo lavoro. L

’affitto, i pannolini della bimba, banalmente mangiare. Si accetta ogni pagamento, spesso al ribasso. Ma il sapere a Nairobi vale un dollaro all’ora, mentre là nelle aree dove una piccola elite comanda si avanza tra frodi e contraffazioni della conoscenza per ottenere le agognate lauree, corone d’alloro, prestigio di status per zii e parenti. Ma c’è di più. E lo scandaglio documentario lo fa emergere nella sua ulteriore cruda realtà. Le migliaia di “teste” keniote non hanno alcuna voglia di protestare, di far valere diritti, di alzare la voce. È la violenza di un sistema globale che costringe i reietti e il sottoproletariato del mondo contemporaneo a tacere, passivi e consapevoli. Addirittura alcuni sfruttati provano perfino “empatia” verso i ricchi ignorantelli frodatori. Inutile che presidi e docenti occidentali, qui di San Diego in California, parlino di “etica”. Il tappo è saltato. Eresia totale, anche se unica speranza di rinascita. King e Kingore, regista e narratrice, ancora visivamente a braccetto, risalgono alle radici culturali locali e nazionali. Ascoltano Ngugi Wa Thiong’o, il più importante romanziere del continente africano probabilmente, morto lo scorso marzo. Il sovranismo keniota sulle tracce della propria lingua, della propria storia, di una propria “narrazione”. Sacrilegio, ma unica arma per sopravvivere con dignità dove il globalismo finto democratico ha chiaramente fallito.

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Il Fatto Quotidiano

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