Strage al ristorante di Cirò Marina, Spagnolo assolto per «inattendibilità» di 12 pentiti
- Postato il 21 dicembre 2025
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Strage al ristorante di Cirò Marina, Spagnolo assolto per «inattendibilità» di 12 pentiti

Ritenuti inattendibili i pentiti, compreso l’esecutore materiale della strage al ristorante: assolto Spagnolo, tra i capi del “locale” di Cirò. Tra i collaboratori di giustizia anche il cognato, esecutore materiale.
CIRÒ MARINA – Dodici collaboratori di giustizia ritenuti incoerenti o inattendibili. La Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro ha depositato le motivazioni della sentenza con cui, nel luglio scorso, aveva confermato l’assoluzione nei confronti di Giuseppe Spagnolo, uno dei plenipotenziari del “locale” di ‘ndrangheta di Cirò, dall’accusa di aver avuto un ruolo nella strage al ristorante “l’Ekò” dell’agosto 2007. Venne ucciso Vincenzo Pirillo, obiettivo predestinato. Rimase gravemente ferita una bimba che la vittima teneva sulle gambe. Per Spagnolo la Procura aveva chiesto l’ergastolo. Ormai uscito di scena, invece, il coimputato Giuseppe Farao, capo supremo del clan, dopo l’assoluzione in primo grado non impugnata dall’accusa.
I COIMPUTATI
Nel processo col rito ordinario un altro dei capi del clan, Cataldo Marincola, è stato condannato all’ergastolo in primo grado, mentre Silvio Farao è stato assolto. Nei mesi scorsi erano finiti in carcere quattro pezzi grossi della cosca Farao Marincola, dominante nel Cirotano e nel Cosentino jonico. Si tratta di Franco Cosentino, Martino Cariati, Vito Castellano e Palmiro Salvatore Siena, accusati di essere stati organizzatori dell’agguato e componenti del commando, per i quali la Dda di Catanzaro ha già chiesto il giudizio immediato.
LA VICENDA
Pirillo morì in ambulanza durante il tragitto per l’ospedale di Crotone dopo essere stato raggiunto da quattro colpi di pistola sparati dal gruppo di fuoco di cui facevano parte, secondo l’originario impianto accusatorio, Spagnolo e altri non identificati. I killer raggiunsero il ristorante a bordo di due scooter e un’auto Hiunday e si misero a sparare all’impazzata tra gli avventori scatenando il fuggi fuggi generale. In tutto furono sei le persone ferite dall’esecutore materiale che indossava un casco da motociclista, mentre un complice con tuta e mascherina da imbianchino si soffermava nel locale sulla cui veranda si sparse il terrore tra quanti erano a cena. Due proiettili colpirono Pirillo alla nuca. Subito dopo i sicari, approfittando del panico generale, fuggirono da una porta laterale.
LE INCONGRUENZE
Sono ben dodici, dunque, i collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono ritenute dai giudici troppo “generiche”, “prive di capacità dimostrativa” e “incongruenti”. L’ex boss di Belvedere Spinello Francesco Oliverio? Secondo i giudici non poteva conoscere il luogo del delitto perché la scelta del ristorante da parte di Pirillo fu estemporanea. Per i giudici è inattendibile anche perché riconosce erroneamente la propria voce all’interno di una conversazione intercettata. L’ex pentito Vincenzo Marino, che da tempo non riveste lo status di collaboratore di giustizia? Le sue dichiarazioni sono addirittura false perché non era mai stato detenuto insieme a Spagnolo e Pirillo. Una considerazione a parte merita il pentito Michele Bloise, che per la Corte mostrerebbe “acredine” nei confronti di Spagnolo, da lui ritenuto responsabile dell’uccisione del fratello nonostante l’assoluzione.
LA GENERICITÀ
Generiche le affermazioni di Antonio Forastefano che non indica la fonte da cui avrebbe saputo che mandanti del delitto erano i vertici del “locale” di Cirò. L’ex boss crotonese Pino Vrenna non viene creduto perché l’avvocato, presente nel ristorante, che gli disse di aver riconosciuto i killer mascherati, non poteva individuare in uno di loro Spagnolo, in quel momento nella sua abitazione. “Irrilevante” il contributo di Carmine Venturino. “Preciso” quello di Francesco Farao, che però indica i killer in Gaetano Aloe e Franco Cosentino. Non fornisce informazioni “specifiche” Carmine Alfano. “Del tutto inattendibili” Massimo Colosimo ed Emanuele De Castro. Nicola Acri, nonostante il suo osservatorio privilegiato perché testimone di “ambasciate” di Marincola a Spagnolo, secondo la Corte apprende notizie soltanto de relato.
IL CASO ALOE
“Parziale attendibilità”. Questo il responso che grava sulla versione di Gaetano Aloe, l’ultimo dei pentiti dell’area cirotana che la Procura avrebbe voluto risentire in aula. I giudici hanno respinto la richiesta di riapertura dell’istruttoria perché l’accusa non ha indicato in maniera specifica i temi da trattare. Ma anche perché, con riferimento alla posizione di Spagnolo, Aloe non sarebbe del tutto credibile. Aloe, figlio del noto Nik, il boss ucciso nel 1987, è un cognato di Spagnolo. Per i giudici è credibile quando si autoaccusa quale esecutore materiale del delitto, del resto le sue affermazioni sono riscontrate da quelle di altri dichiaranti. Lo è meno quando parla di Spagnolo. Prima, il pentito definisce Spagnolo come contrario all’esecuzione del delitto e afferma che avrebbe manifestato disappunto in seguito all’assunzione dell’incarico di morte da parte di Aloe. Poi lo indica come “organizzatore” e dice che si va a cambiare gli abiti la sera dell’omicidio prima dell’arrivo dello stesso Aloe.
LA DIFESA
Accolta, dunque, anche in appello, la tesi difensiva, sostenuta dagli avvocati Gregorio Viscomi e Tiziano Saporito. I legali individuano contraddizioni nelle rivelazioni del pentito Gaetano Aloe, cognato di Spagnolo. Aloe prima racconta che Spagnolo si oppone al progetto di sangue, ma alla fine dovette uniformarsi alla volontà della cosca. Dopo due settimane, il collaboratore di giustizia muta versione e indica Spagnolo non come oppositore ma come organizzatore del delitto. La difesa rileva contraddizioni anche sui dettagli relativi all’esecuzione svelati dal pentito. Inoltre, fa riferimento anche alle rivelazioni del pentito Nicola Acri, che racconta che Cataldo Marincola, durante la sua latitanza, si lamentava del fatto che Spagnolo fosse riluttante e stesse temporeggiando nell’eseguire l’omicidio.
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L’ALIBI
«Non è logicamente possibile che Spagnolo fosse, contemporaneamente, un organizzatore entusiasta che si apprestava a sparare personalmente (come dice Aloe nella sua ultima versione) e un soggetto temporeggiatore e quasi inadempiente (come dice Acri)», è detto, tra l’altro, nella memoria difensiva. Circa la partecipazione all’omicidio come esecutore materiale, continua a reggere l’”alibi”. L’omicidio è avvenuto “qualche minuto prima” delle 22:40. Spagnolo era stato controllato presso la sua abitazione agli arresti domiciliari alle 22:35.
LA CONFESSIONE
Manca un pezzo di storia, che è possibile ricostruire grazie alle rivelazioni di Aloe, desideroso di vendicare il padre. Sarebbe stato lo stesso Pirillo a spiegare ad Aloe perché il vecchio boss morì, addossandosi le responsabilità. Suo padre avrebbe violato le regole della ‘ndrangheta intrattenendo una relazione extraconiugale. Anche se vari atti giudiziari emerge che si stava affermando la leadership dei Farao-Marincola all’interno della cosca. Pirillo era peraltro cugino della madre del pentito. «Mi ha detto che era responsabilità sua. “Se hai qualcosa te la vedi con me”». «No, non tengo niente», disse Aloe fingendo di non serbare rancore.
IL “REGALO”
In realtà, Aloe ammette di aver colto “la palla al balzo” appena Vito Castellano e Pino Sestito, tra i plenipotenziari del clan, gli dissero che Pirillo doveva essere ucciso. «Ti faccio un bel regalo, te la senti di ammazzare Cenzo?». Così Sestito esordì nel proporgli l’incarico di morte, sapendo forse di trovare la porta aperta perché era risaputo negli ambienti criminali che Pirillo era ritenuto responsabile dell’uccisione di Nick Aloe. Un omicidio come “regalo”. Il pentito accettò e indicò il complice in Franco Cosentino. «L’unico che voglio». Il mandato veniva dal “padrino”, come era chiamato il boss Marincola, allora latitante.
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