Quando la natura africana è un affare da bianchi. Il libro-denuncia sulla gestione dei grandi parchi

  • Postato il 15 aprile 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Per scrivere “Cattivi custodi. Storia e affari di un ambizioso club di benefattori bianchi in Africa” (Add Editore), durante i suoi numerosi viaggi nel continente, il reporter Oliver Van Beemen è stato più volte perquisito e perseguitato, arrestato e poi accusato di spionaggio. È finito in una cella africana a guardare il soffitto e chiedersi perché investigare su “un’organizzazione che si batte per impedire l’estinzione dei leoni, elefanti e rinoceronti. Cosa c’è di male?”. Lo scoprirà scrivendo il romanzo-inchiesta urgente come un pamphlet, elaborato come un thriller, necessario come un saggio, che raccoglie interviste con funzionari, abitanti, bracconieri, custodi, docenti universitari, attivisti che si sono tutti imbattuti in African Parks, organizzazione internazionale che gestisce riserve naturali in Africa.

La missione ufficiale dell’ente è la salvaguardia di natura e animali in una ventina di immense riserve. Lo slogan è: “A business approach to conservation”, approccio ambientale alla conservazione. È il motto del quarto uomo più ricco dei Paesi Bassi (quando era vivo, aveva un tesoro personale di oltre due miliardi di euro), quello che nelle interviste diceva: “L’importante è poter ammirare i fiori che crescono in giardino”; “Nei negozi sono in vendita 22 tipi diversi di tostapane, ma nei boschi non cresce più nemmeno un fungo”.

African Parks viene fondata da Paul Fentener van Vlissingen, miliardario olandese ed eccentrico, petroliere e cacciatore, che non trova contraddizioni tra il suo mestiere e le sue attività parallele di salvaguarda dell’ambiente. È stato membro del “club dieci milioni” – associazione che voleva ridurre la popolazione olandese -; la popolazione che voleva ampliare era invece quella degli animali che i cacciatori chiamano “big five”, i grandi cinque: bufali, leoni, rinoceronti, elefanti, leopardi. Per il miliardario olandese l’Africa è un paradiso terrestre di foreste e savane, mentre in Europa sono rimasti solo “francobolli di terra”, è un ecosistema irripetibile senza molte autorità che sorvegliano o con cui fare i conti. Oggi l’ente gestisce territori dal Benin all’Uganda, dal Mozambico al Congo, fino in Ruanda ed Etiopia: “Difficile non pensare ai governanti europei e agli esploratori del XIX secolo che avevano cercato nuove zone da sfruttare” scrive subito il giornalista, che nella costellazione dei parchi documenta (attraverso i testimoni) violenze compiute dai ranger, waterbording, maltrattamenti e torture. Stupri e morte.

“African Parks è stata fondata sulla convinzione razzista che dovessero essere gli europei a gestire i parchi” dice una delle fonti dello scrittore che, oltre alle riserve, si rende conto di essere entrato in un mondo maschilista e monocromatico. Nei panorami africani i colori si possono trovare tutti, ma quelli della pelle, nei parchi, contano più degli altri. “È possibile che oggi top manager dei parchi decidano il destino della popolazione nera che vive nei dintorni dei parchi naturali”? Case, villaggi “fattorie, alloggi, pali telefoni” – tutto ciò che ricorda la presenza umana nei territori – viene distrutto, raso al suolo. Gli abitanti vengono espulsi dai territori che diventano proprietà dell’ente; i cacciatori nativi vengono sistematicamente accomunati a bracconieri. Quando muore l’imprenditore che “vuole riportare le lancette indietro di cent’anni, quando nel contente africano le potenze europee spadroneggiavano quasi ovunque”, i parchi gli sopravvivono.

“L’organizzazione può contare sul sostegno di vari rich and famous”. Tre loro i Buffet, il principe Harry, Leonardo di Caprio. Ha un fatturato di oltre un centinaio di milioni, ma sono soldi che girano tutti lontanissimo dalla latitudine bollente del continente: nei conti dell’Isola di Man, paradiso fiscale dove sovvenzioni e donazioni flussi di denaro sono difficili da tracciare. Il libro è un safari nel capitalismo colonialista, nell’arroganza occidentale e nei suoi lati oscuri, in un certo ambientalismo velenoso, fondato sulla convinzione che la natura sia “faccenda da bianchi”, nella “militarizzazione della conservazione ambientale con la prevalenza dei bianchi ai vertici”. Non è solo una riflessione sull’ecologia, ma anche sulle relazioni tra Occidente e quell’Africa che è ancora solo immaginata nella sua versione disneyficata. Ancora oggi non si sa – scrive Van Beemen– come un giorno gli stati africani potranno riprendere il controllo dei loro territori.

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Il Fatto Quotidiano

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