La missione NS-31 di Blue Origin non ha niente a che vedere con il femminismo o con la scienza
- Postato il 18 aprile 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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Una costosa, mediaticamente riuscita e tecnologicamente avanzata operazione di marketing.
Ecco come potremmo riassumere “l’impresa” che ha compiuto Blue Origin, l’azienda di Jeff Bezos che si occupa di costruire razzi spaziali. Il 14 aprile, con la missione NS-31, è stato portato oltre la linea di Kármán (all’altezza di 100 km o 62 miglia o 330.000 piedi, dove per convenzione si definisce il confine tra l’atmosfera terrestre e lo spazio esterno, calcolata dal fisico Theodore Von Kármán) un equipaggio tutto al femminile composto da Aisha Bowe, Amanda Nguyen, Gayle King, Katy Perry, Kerianne Flynn e Lauren Sanchez.
L’evento che ha avuto una copertura praticamente mondiale è stato spacciato dall’azienda e da alcuni cronisti come un grande traguardo per il femminismo e per avvicinare le nuove generazioni, soprattutto dal lato femminile, alle materie STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).
Analizzando però attentamente ciò che è avvenuto, ci possiamo rendere conto di come questa missione abbia veramente poco a che fare con il femminismo o con la scienza. Sebbene l’equipaggio comprendesse due scienziate (Bowe e Nguyen), l’intero set di donne selezionate per questa missione rappresenta solo ed esclusivamente una élite di privilegiate che non hanno nulla in comune con gli astronauti veri. Non hanno mai effettuato un addestramento per le missioni nello spazio, non hanno particolari meriti o svolto attività tali da renderle degne di essere annoverate nell’album degli astronauti. La missione è durata poco più di 11 minuti, non sono state svolte attività scientifiche di sorta ed il tutto si è limitato ad un paio di minuti in assenza di peso in cui l’equipaggio ha guardato fuori dagli oblò (una vista magnifica, questo bisogna ammetterlo) fatto un paio di piroette a testa in giù e mostrato le nuove tute “spaziali” che di spaziale non hanno nulla, super aderenti e disegnate ad hoc dalla maison Oscar de la Renta. Tute che tra l’altro sarebbero state ridisegnate su misura dopo una scansione 3D dei corpi delle donne dell’equipaggio, perché si vocifera che qualcuna si sia rifiutata di indossare quelle classiche di Blue Origin. E quindi via alla zampa d’elefante del pantalone, scollatura in vista ed un terrificante stivaletto con tacco bene in vista durante le evoluzioni in cielo.
Quale sarebbe il messaggio inviato da questa missione? In un momento in cui il governo degli Stati Uniti d’America abbatte con la scure i programmi dedicati all’inclusione ed alla parità, parlare di NS-31 come grande traguardo per il femminismo, solo perché 6 donne ricche hanno potuto spendere una cifra enorme per 2 minuti in assenza di peso (si stima che un biglietto costi 475 mila dollari, ma non si sa se questo viaggio sia stato fatto su invito o a prezzo scontato) appare una grossa forzatura, o più che altro una banale operazione di marketing o “pink-washing”. Soprattutto se fatta alcune settimane dopo la cancellazione dal sito della NASA di pagine come quella della storia motivazionale di Rose Ferreira, una giovane NASA-intern venuta dalla Repubblica Dominicana, che dopo momenti di difficoltà grossissime, come vivere da senzatetto a NYC, riesce ad iscriversi all’Arizona State University e viene selezionata per uno stage alla NASA, incarnando il sogno americano. Ecco, Rose Ferreira è stata recentemente licenziata, forse perché causa di imbarazzo a Houston per essere diventata un simbolo di quell’aberrazione che è l’amministrazione Trump rispetto alle politiche di inclusione e parità di genere. Forse su uno di quei sedili sarebbe stato più coerente e di impatto mettere Rose, piuttosto che Lady Bezos (Lauren Sanchez, un bel regalo di nozze, non c’è che dire).
Ma risulta anche difficile parlare di grande risultato per la scienza, visto che sempre l’amministrazione Trump in questi primi mesi di lavoro ha tranciato, particamente senza mezze misure una marea di sovvenzioni a programmi di ricerca scientifica sull’ambiente, medicina, sviluppo tecnologico in campo transizione verde. E ciliegina su questa torta, la settimana scorsa ha iniziato a circolare la voce che alla NASA sarebbero stati tagliati i fondi per la ricerca e l’esplorazione spaziale. Il messaggio è chiaro, lo spazio deve diventare un business, e quindi largo alle imprese come SpaceX, Blue Origin eccetera, che però rispondono ad azionisti, a logiche di mercato e non a qualcosa di più alto come il progresso scientifico dell’umanità. Se anche la NASA diventa un’azienda “di trasporti spaziali” che mira all’industrializzazione oltre l’atmosfera allora i grandi programmi che hanno fatto la storia dell’esplorazione spaziale (penso alle Voyager, Cassini-
Huygens, Hubble, eccetera) rimarranno solo ed esclusivamente il ricordo di un passato in cui si guardava alle stelle con speranza e non pensando al portafoglio.
In tutto questo ci rimane solo l’immagine della cantante Katy Perry che bacia la Terra al rientro dai suoi 11 minuti di viaggio “spaziale” e mi scappa un sorriso amaro, immaginando cosa avranno pensato Suni Williams e Butch Wilmore vedendola, ricordando i loro 9 mesi in orbita, tra incertezze sul rientro fake news sul loro esser rimasti bloccati sulla ISS. Baby you’re a Firework!
“#LigurianSpace” è la rubrica di IVG che tratta di spazio, scienze e tecnologie, a cura di Jonathan Roberts, chimico, divulgatore scientifico e fondatore di Pandascienza.eu. Clicca qui per leggere tutti gli articoli