Jonny, il pentito di Borgia temeva di essere ucciso. Ora fa luce su 4 omicidi

  • Postato il 17 aprile 2025
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Jonny, il pentito di Borgia temeva di essere ucciso. Ora fa luce su 4 omicidi

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Operazione Jonny, il pentito Guarnieri temeva di essere ucciso mentre rientrava a casa a Borgia, rivelazioni su 4 omicidi, 2 commessi quando aveva 19 anni


CATANZARO – Temeva di essere ucciso. Per questo ha deciso di collaborare con la giustizia, iniziando a vuotare il sacco su ben quattro omicidi da lui compiuti. I primi fatti di sangue in cui è stato coinvolto risalgono al 2013, quando lui aveva appena 19 anni. Andrea Guarnieri, il 31enne di Borgia imputato nel maxi processo Jonny, condotto dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Arena di Isola Capo Rizzuto, era a piede libero quando, l’altra sera, rientrava dopo aver finito il turno di lavoro di magazziniere. Era buio. Appena sceso dall’auto, ha sentito movimenti di qualcuno non meglio identificato ed è scappato dentro casa.

Ha chiesto consigli a due avvocati catanzaresi che, non essendo suoi difensori, gli hanno detto di fare “libere valutazioni”. Il pomeriggio del giorno dopo, Guarnieri era negli uffici della Squadra Mobile di Catanzaro per manifestare la sua volontà di saltare il fosso. Le sue prime “cantate” le sta raccogliendo la pm antimafia Debora Rizza, applicata nel processo d’appello bis contro la cosca Arena. Un filone processuale riguarda proprio la cosca Catarisano di Borgia, di cui Guarnieri, condannato a 8 anni nei precedenti gradi di giudizio, avrebbe fatto parte. Ma i rapporti di Guarnieri erano anche con i plenipotenziari della cosca Arena, come Nicola Lentini, a cui il clan del Catanzarese era gerarchicamente subordinato.

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JONNY, IL RACCONTO DEL PENTITO: IL PRIMO OMICIDIO

Il primo omicidio di cui si autoaccusa gli sarebbe stato ordinato da Salvatore Abruzzo, esponente di vertice del gruppo criminale di Roccelletta di cui il pentito avrebbe fatto parte. Guarnieri ha detto di non conoscere la vittima. All’epoca lavorava in nero in un camping. Il suo capo gli disse che bisognava andare in un posto e si mostrò infastidito quando lui chiese dove stessero andando. «Mi venne a prendere Piero Abruzzo che mi portò a Girifalco da Sandro Ielapi, che conobbi in quell’occasione».

La pm Rizza ha prodotto anche rivelazioni di Ielapi, da qualche mese collaboratore di giustizia in seguito all’arresto nell’operazione Scolacyum. Guarnieri e Ielapi avrebbero partecipato insieme a vari fatti di sangue. Ielapi, secondo il racconto di Guarnieri, era armato di mitraglietta. «Il segnale doveva darcelo Vincenzo Tolone. Io guidavo il motorino e con me a bordo c’era Ielapi. Il motorino lo rubammo davanti a un tabacchi di Soverato io e Piero Abruzzo». Al segnale, i due in scooter partirono. «Mi fermai appena me lo disse Ielapi. Questi scese dalla moto. Subito dopo sentii sparare». Ielapi sarebbe risalito sul motorino e avrebbe lasciato il killer nei pressi di un supermercato. Là vicino Massimo Citraro aspettava con un’auto e bruciò la moto. Lo portò a casa di Leonardo Catarisano, che gli intimò di non dire nulla a nessuno.

OPERAZIONE JONNY, I SUCCESSIVI TRE OMICIDI SVELATI DAL PENTITO

Il secondo omicidio fu compiuto da killer a bordo di una moto rubata a Soverato. Il solito Tolone avrebbe dato il segnale. Ielapi quasi si sparò addosso perché partì un colpo accidentalmente. La vittima predestinata stava entrando in una sala giochi. Anche stavolta Guarnieri guidava la moto. Ielapi scese, entrò nel circoletto e subito dopo da fuori si udirono colpi di pistola. I due scapparono sulla moto, poi abbandonata tra le sterpaglie in una strada sterrata. Ad aspettarli ci sarebbe stato Tolone che li avrebbe prelevati con un’auto.

Anche stavolta Guarnieri guidava una moto rubata, con a bordo Ielapi. Lui era fuori, davanti un casolare. Durante la fuga buttarono lo scooter in un burrone. La pistola Ielapi l’avrebbe gettato nella fiumara di Germaneto. Il pentito non è in grado di ricordare se il suo complice avesse una o due pistole.

In occasione del quarto omicidio, Guarnieri afferma di essere stato il conducente di un’auto Fiat “Panda” rubata. Stavolta a premere il grilletto sarebbe stato un altro, non il solito Ielapi. Salvatore Abruzzo si era infastidito per un ritardo e avrebbe inviato per la spedizione di morte Guarnieri e un altro. Dopo aver dato fuoco all’auto, i killer sarebbero rientrati con la Mercedes di Massimo Cistaro, che li aspettava insieme a Piero Abruzzo.

ESTORSIONI E STUPEFACENTI

Guarnieri sostiene che una nota discoteca della zona fosse sotto estorsione. Cinquecento euro a settimana l’obolo da versare al clan. A volte sarebbe andato lui a prelevare la somma che i gestori elargivano per la protezione del gruppo criminale di Roccelletta. Ma Guarnieri sa anche di estorsioni a ditte di movimento terra.

La droga il suo gruppo la comprava a San Leonardo di Cutro. Guarnieri racconta una trasferta a casa del boss Giovanni Trapasso che era con i figli Leonardo e Tommaso quando vendette la cocaina. Sarebbe stato anche a casa di Dante Mannolo, esponente dell’omonimo clan di San Leonardo di Cutro, per lo stesso motivo. Lui versava i proventi dello spaccio ai capi del suo clan.

IL BATTESIMO

Il pentito ha raccontato anche l’ingresso formale nella ‘ndrangheta. Sarebbe stato “battezzato” in carcere dopo l’arresto nell’operazione Jonny. Chiese a Giuseppe Cosco e Roberto Valeo, con i quali condivideva la cella, di essere affiliato. Lo fece perché in un primo momento si era rifiutato di entrare formalmente nel clan e temeva conseguenze gravi per il suo rifiuto. Il rito consisteva nel bruciare un santino. Mentre veniva punto da un ago, avrebbe pronunciato le formule secondo le indicazioni dei co-detenuti. Alla seconda “dote” di ‘ndrangheta c’erano anche mafiosi di Isola Capo Rizzuto.

JONNY, NON SOLO GLI OMICIDI ANCHE UN TENTATO OMICIDIO SVELATO DAL PENTITO

Il pentito ha anche raccontato di aver preso parte al tentato omicidio di Luciano Babbino. I killer desistettero in seguito all’arrivo di una volante della polizia nella pineta di Squillace Lido. L’omicidio sarebbe stato commissionato da Salvatore Abbruzzo. Successivamente seppe di un summit con la partecipazione dei maggiorenti delle cosche di Isola e Cutro che stabilirono che l’agguato non doveva essere commesso. Era stata sancita la pax tra la cosca Catarisano di Borgia e il gruppo antagonista dei Bruno di Vallefiorita.

L’ORGANIGRAMMA E IL SUMMIT

Luce anche sulla composizione del gruppo criminale di Roccelletta. Guarnieri indica in Salvatore Abbruzzo il “capo società”. “Contabile” sarebbe stato Roberto Valeo. “Crimine” Giuseppe Cosco. “Mastro di giornata” Francesco Gualtieri. “Capo giovane” Vincenzo Tolone. La sua decisione di collaborare con la giustizia potrebbe avere a che fare col pentimento recente di Sandro Ielapi che lo chiama in causa nei fatti di sangue che avrebbero compiuto da complici.

Il collaboratore di giustizia narra anche un summit con la partecipazione di Paolo Lentini, reggente della cosca Arena nella fase focalizzata dall’inchiesta Jonny, e altri esponenti delle cosche del Crotonese. Il summit era stato convocato dopo l’uccisione di uno zingaro a Catanzaro. C’erano anche rappresentanti del clan degli zingari il cui malumore era grande per l’omicidio. Il motivo del delitto, in base a quello che Guarnieri apprese partecipando alla riunione, era legato al fatto che l’escavatore con cui era stata compiuta la maxi rapina al caveau di Caraffa non doveva essere rubato. Ma la vittima avrebbe violato l’accordo. In quella riunione, secondo Guarnieri, Salvatore Abbruzzo fece valere la sua caratura criminale senza lasciarsi intimorire e difese la sua decisione. L’omicidio era stato compiuto perché l’accordo non era stato rispettato. Lentini in quel contesto svolse un ruolo di “paciere”.

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