Allevamenti intensivi e reflui, salgono le infrazioni in Lombardia e i ritardi nei rimborsi penalizzano le piccole aziende

  • Postato il 4 ottobre 2025
  • Ambiente
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 4 Visualizzazioni

Regione Lombardia sostiene di promuovere “la gestione sostenibile delle attività agricole e zootecniche”, che verrebbe facilitata con “azioni per la qualità dell’aria e per il clima”, mentre “buone pratiche di spandimento dei reflui zootecnici sono ormai di uso sul territorio regionale”. Ma la verità è che i risultati tardano ad arrivare. Negli ultimi anni sono aumentati i controlli sugli spandimenti, ma è aumentato ancora di più il numero delle infrazioni rilevate, commesse dal 57,5% degli allevamenti soggetti ad Autorizzazione Integrata Ambientale. Sono esclusi, quindi, non solo i piccoli e i medi, ma soprattutto gli allevamenti di bovini, perché la lobby europea dell’agroindustria è riuscita a impedire che fossero soggetti alla direttiva sulle emissioni industriali (Ied). È stata la stessa Regione Lombardia a fornire questo e altri dati (dei suoi uffici e di Arpa), rispondendo a un’interrogazione del consigliere del Movimento 5 Stelle, Nicola Di Marco. Nella regione con più di 31 milioni i capi allevati contemporaneamente, solo tra polli, galline ovaiole, tacchini, suini, bovini e bufalini come raccontato da ilfattoquotidiano.it nell’inchiesta sugli allevamenti intensivi della Lombardia), chi vuole adottare pratiche virtuose per ridurre le emissioni deve aspettare almeno tre anni prima di ricevere l’aiuto. “Un ritardo che le aziende più piccole non possono certo permettersi e che, dunque, favorisce ancora una volta quelle più grandi e il sistema degli allevamenti intensivi” commenta a ilfattoquotidiano.it Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. E aggiunge: “Il fatto che vengano rilevate infrazioni in più della metà degli allevamenti soggetti ad Aia, che dovrebbero essere tra quelli più grandi e con più risorse a disposizione, è segno che esiste una situazione di endemica irregolarità, se non illegalità”. Nel frattempo, è ferma in Commissione Agricoltura la proposta di legge promossa da una coalizioni di associazioni e firmata da 23 parlamentari.

Aumentano le infrazioni nonostante i pochissimi controlli ‘a sorpresa’ – Nell’interrogazione si chiede conto dei controlli del rispetto delle norme ambientali e delle eventuali infrazioni degli allevamenti sottoposti ad Autorizzazione integrata ambientale, soggetti alle verifiche dell’Arpa. Si va dalle violazioni ai periodi di blocco nello spandimento dei fertilizzanti (per almeno novanta giorni fra novembre e febbraio, continuativo per sessanta giorni da dicembre a gennaio), alla mancata adozione delle buone pratiche. “Trattandosi di impianti sottoposti ad Aia, si tratta soprattutto di grandi allevamenti perlopiù di maiali e polli. Sono esclusi i piccoli e medi allevamenti ed anche tutti quelli di bovini, esclusi grazie alle pressioni delle lobby dalla direttiva Ied nonostante rappresentino una buona fetta del problema” spiega Damiano Di Simine. “È un segnale preoccupante – aggiunge – che ci sia un alto tasso di infrazione negli allevamenti grandi che, quindi, hanno a disposizione più risorse per potersi mettere in regola”. Di fatto, dai 116 controlli del 2018 nel 2024 si è passati a 167, con un aumento di 51 verifiche, ma le infrazioni (e si tratta di contestazioni sia di carattere amministrativo sia penale) sono aumentate di più (da 38 a 96: +58). Significa che, nel 2024, il 57,5% degli allevamenti controllati è risultata in condizioni di infrazione. E questo nonostante il fatto che solo una minima parte delle verifiche effettuate sono straordinarie o non programmati, ossia avviati di iniziativa di Arpa o svolti su richiesta di altri enti. E quindi ‘a sorpresa’. Un esempio: nel 2024, su 167 controlli, 160 sono stati controlli ordinari.

I finanziamenti erogati per la qualità dell’aria – Nella sua interrogazione, Di Marco, aveva chiesto l’ammontare dei finanziamenti erogati (dall’Ue e dalla Regione), dal 2018 ad oggi, finalizzati all’adozione di pratiche agricole e gestionali che riducano le emissioni per preservare la qualità dell’aria. Riguardo all’inquinamento ambientale, proprio in queste ore è stato pubblicato il nuovo rapporto della Commissione Lancet-Eat che, facendo seguito a quello storico del 2019, viene definita l’analisi scientifica più completa dei sistemi alimentari globali fino ad oggi. E dice che la Planetary Health Diet (Phd), che privilegia alimenti vegetali naturali e un consumo moderato di prodotti animali come carne e latticini, potrebbe non solo sfamare la popolazione mondiale, prevenire circa 15 milioni di morti all’anno e ridurre le emissioni di carbonio legate all’alimentazione di oltre il 15% rispetto ai valori del 2020. Una percentuale che aumenta fino ad almeno il 20% proprio dimezzando gli sprechi e migliorando le pratiche di produzione. Ma in Lombardia la direzione è tutt’altra. Nella risposta si elencano sei misure attivate nel periodo 2018-2025 attraverso appositi bandi e si mette nero su bianco il totale dei finanziamenti erogati. Si va dalle diverse edizioni dei bandi Aria e Agromeccanici (22 milioni, di cui 17 di fondi nazionali e 5 regionali), il bando del Piano per lo Sviluppo Rurale (nell’ambito della Politica agricola comune 2014-2020 (40 milioni, di cui 28 di fondi comunitari Ue, 8 nazionali e 4 regionali), Bando Pnrr del 2024 (6 milioni di fondi comunitari) e il bando Psr 2023-2027 per il quale ad oggi un primo riparto di progetti ammessi a finanziamento (5 milioni, 2 da Ue, 2 da fondi nazionali e un milione dalla Regione. Totale: su 73 milioni erogati, 36 sono finanziamenti comunitari, 27 nazionali e 10 arrivano da Regione Lombardia. Ma a chi vanno davvero queste risorse?

I tempi di attesa che favoriscono le grandi aziende (e l’allevamento intensivo) – Il nodo è anche nei tempi di attesa, che penalizzano ancora una volta le piccole aziende. Senza considerare che l’apposito bando per poter essere formalizzato necessita di “un’intensa attività preliminare di fattibilità economia (individuazione e messa a disponibilità nel bilancio delle risorse da impegnare) e regolatoria” che di per sé può durare “molti mesi – scrive Regione Lombardia – se si considera quale tempo ‘zero’ la pubblicazione del bando, il tempo che trascorre per giungere alla conclusione del progetto (ossia all’erogazione dell’aiuto) è raramente inferiore ai 3 anni”. Ed è un tempo che, lo sottolinea la stessa Regione, “non considera eventuali intermezzi di varianti e/o proroghe”. Se un allevatore che ha un’enorme vasca di raccolta dei reflui degli animali scoperta partecipa ai bandi per ammodernizzarsi e ridurre le emissioni inquinanti, magari anche con filtri o altri accorgimenti le risorse economiche gli arrivano non prima di tre anni. “Il punto è che le buone pratiche per abbattere le emissioni di ammoniaca – spiega Di Simine – sono costose e mentre le grandi aziende che gestiscono gli allevamenti intensivi possono anche permettersi di anticipare quanto serve, per le piccole aziende queste spese sono proibitive. Anche questo fattore, dunque, diventa uno dei tanti meccanismi che motivano la mortalità delle piccole realtà”. Il dato è strutturale da anni: “In Lombardia ogni giorno spariscono due piccole imprese di allevamenti”.

La spada di Damocle della nuova Pac – Tutto questo senza considerare gli effetti della nuova Pac, che non promettono nulla di buono. Se l’Italia ha ricevuto per il periodo 2021-2027 circa 37 miliardi di euro, la riduzione del 20% (secondo la proposta presentata dalla Commissione Ue, che andrà votata da tutti i governi europei e dal Parlamento Ue) porterebbe la quota riservata alla Lombardia a quasi 2,3 miliardi tra pagamenti diretti e sviluppo rurale, con un taglio di circa un miliardo di euro. E questa, rispetto alla capacità di adeguarsi alle norme ambientali, non è certo una buona notizia. Eppure, da anni Arpa Lombardia ha evidenziato che gli allevamenti sono responsabili di circa l’85% delle emissioni regionali di ammoniaca, che concorre mediamente a un terzo del pm della Lombardia, arrivando a oltre il 50 per cento durante gli episodi acuti.

Solo il 26% utilizza tecniche ad alta efficienza per spandimento fanghi – Tornando ancora all’interrogazione del consigliere M5S Di Marco, si chiese se la Regione avesse registrato un aumento delle buone pratiche di fertilizzazione dei campi, con l’obiettivo di prevenire la dispersione di ammoniaca in atmosfera derivante dai reflui. “Le buone pratiche di spandimento dei reflui zootecnici sono ormai diffuse sul territorio regionale. Ad oggi – spiega la Regione – la pratica più di utilizzata rimane la distribuzione superficiale a bassa pressione, seguita dall’interramento entro le 12 ore che è noto avere – aggiunge l’Ente – un’efficienza di riduzione delle emissioni del 50%”. Eppure è la stessa Regione che ammette: il 4% distribuisce i reflui con tecniche a bassa efficienza e “il 26% delle superfici è distribuito attraverso tecniche ad alta efficienza di riduzione delle emissioni di ammoniaca quali l’iniezione profonda, la fertirrigazione e l’applicazione sotto-superficiale”. Ma il problema è molto più ampio e non riguarda solo l’aria. “Si può anche discutere su quali siano le migliori pratiche per abbattere davvero le emissioni di ammoniaca in atmosfera e quindi andare a indagare cosa succede sul restante 70 per cento di superfici dove non si utilizzano le tecniche cosiddette ‘ad alta efficienza’ – commenta Di Simine – ma il vero nodo riguarda il carico di azoto. Perché se ho un rapporto adeguato tra deiezioni degli animali e metri quadrati di terreno, allora tutto ritorna in ciclo in modo ragionevole, ma se il carico di animali è molto superiore alla capacità di ritenzione da parte degli ecosistemi coltivati, l’azoto in più non sparisce e diventa inquinante (Leggi l’approfondimento). Dunque è lo stesso numero di animali degli allevamenti intensivi che ha creato il problema e, quindi, ha reso necessari gli interventi di adeguamento per tutto il settore. Nella condizione in cui ci troviamo, le buone pratiche di abbattimento delle emissioni per migliorare l’aria sono benvenute, ma dobbiamo essere consapevoli che con l’interramento trasferiamo il problema nel suolo e nelle acque. L’unica soluzione è ridurre il numero di capi. In Lombardia e ovunque”

La proposta di legge ferma in Commissione Agricoltura – Proprio nei giorni scorsi, le associazioni Terra!, Greenpeace Italia, WWF Italia, Lipu e ISDE – Medici per l’ambiente, tornando a denunciare l’impatto devastante degli allevamenti intensivi su animali, ambiente, piccole aziende e salute pubblica, hanno sollecitato la politica ad avviare l’iter legislativo della proposta di legge ‘Oltre gli allevamenti intensivi – Per una transizione agroecologica della zootecnia’, presentata dalle stesse associazioni a Montecitorio nel marzo 2024 e oggi ferma in attesa di calendarizzazione in Commissione Agricoltura. Nel frattempo, però, aumentano le mozioni approvate a livello locale per riconvertire il sistema degli allevamenti intensivi verso un modello agroecologico. In pochi mesi, i nove Comuni di Castenedolo (Brescia), Spoltore (Pescara), San Vito al Tagliamento (Pordenone), Stanghella (Padova), Bastia Umbria e Città di Castello (Perugia), Fabbrico (Reggio Emilia), Rivalta (Torino) ed Empoli (Firenze) hanno scelto, con atti formali, di supportare la proposta di legge 1760 promossa dalla coalizione di associazioni, firmata da 23 parlamentari di cinque forze politiche diverse e sostenuta da decine di associazioni (a cui si è aggiunta anche Slow Food) e comitati.

L'articolo Allevamenti intensivi e reflui, salgono le infrazioni in Lombardia e i ritardi nei rimborsi penalizzano le piccole aziende proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti