Affitti brevi, la cedolare secca voluta da Berlusconi (e sempre confermata) non ha ridotto il nero ma solo il gettito per lo Stato
- Postato il 21 ottobre 2025
- Speciale Legge Di Bilancio
- Di Il Fatto Quotidiano
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È una delle tante flat tax che fanno sì che l’Irpef gravi praticamente solo sulle spalle di lavoratori dipendenti e pensionati. La cedolare secca sui redditi da locazioni, che stando alle prime bozze della legge di Bilancio l’anno prossimo salirà dal 21 al 26% per chi affitta a breve termine attraverso intermediari, era nata nel 2011 con l’obiettivo dichiarato di ridurre il nero. Ha mancato l’obiettivo, finendo per essere solo un regalo ai grandi proprietari immobiliari. In parallelo il mercato gestito dalle grandi piattaforme di intermediazione come Airbnb è esploso di pari passo con il fenomeno dell’overtourism, che peggiora la vita dei residenti e li espelle dalle città. La stretta arrivata a gennaio con il Codice identificativo nazionale e l’offensiva (finita male) contro le keybox diventate simbolo del turismo mordi e fuggi sono servite a poco. È bastato però ipotizzare un ritocco dell’aliquota, che allineerebbe la tassazione a quella dei redditi finanziari e da capitale, per scatenare le ire di Lega e Forza Italia, decise a non votare la norma.
La tassa piatta sugli affitti è stata introdotta dal governo Berlusconi IV. Due le aliquote: 21% per i contratti a canone libero, 19% per quelli a canone concordato (per questi ultimi dal 2014 la richiesta è scesa al 10%). Senza differenze legate alla durata. Si puntava a semplificare gli adempimenti fiscali, incentivare l’offerta sul mercato di immobili vuoti e spingere i proprietari a far emergere gli affitti in nero riducendo il divario tra gettito potenziale e gettito effettivo. Missione fallita. Quel che è successo è che molti proprietari che prima su quelle rendite già versavano l’Irpef sono passati alla cedolare per motivi di convenienza. Mentre chi affittava in nero ha continuato a farlo.
Quindi l’effetto di emersione è stato molto limitato rispetto alla perdita di gettito causata dalla minore aliquota. Che – mentre i governi successivi continuavano a confermare il regime agevolato – è andata aumentando di pari passo con la riduzione delle case offerte a lungo termine e il boom degli affitti brevi: l’ultimo Rapporto sulle spese fiscali, cioè le deduzioni e detrazioni che riducono gli introiti per lo Stato, la quantifica per quest’anno in 3,1 miliardi l’anno contro gli 1,7 quantificati per il 2019. Più del costo del taglio Irpef previsto dalla manovra.
La Relazione 2025 sull’evasione fiscale e l’economia non osservata, ancora in attesa di pubblicazione, aggiunge un altro tassello. Le stime sul passato sono state aggiornate sulla base della revisione Istat dei conti nazionali e la tendenza a un progressivo calo della distanza tra le imposte attese sulle locazioni e quelle effettivamente versate è stata smentita. Nel 2022, ultimo anno oggetto di analisi, l’evasione complessiva sugli affitti è tornata a salire in valori assoluti a quota 875 milioni dopo la riduzione legata al Covid (nel 2021 si era fermata a 625 milioni). E anche la cosiddetta propensione al gap, cioè il rapporto tra somme sottratte al fisco e gettito sperato, è aumentata superando di slancio il 10%.
Il dipartimento Finanze del Mef, come dettagliato nella Relazione 2022, aveva del resto già analizzato l’impatto della misura sulla fedeltà fiscale utilizzando dati amministrativi su un campione casuale di contribuenti, ed era arrivato alla conclusione che “il saldo netto dell’introduzione della cedolare è negativo dal punto di vista della finanza pubblica” e “coloro che hanno beneficiato maggiormente dell’introduzione della cedolare secca sono i contribuenti con reddito imponibile più elevato, mentre per i tre quarti della distribuzione del reddito gli effetti sembrerebbero essere stati poco rilevanti”. Tradotto: lo Stato ci ha perso e a guadagnarci è stato chi vive di rendita immobiliare, che versa un’aliquota fissa più bassa rispetto a un insegnante o un impiegato.
Ora il governo Meloni, pressato tra l’altro dalla lobby degli albergatori che lamenta un trattamento fiscale sfavorevole, tenta di mettere in campo un parziale correttivo che consente più che altro di fare cassa raccogliendo qualche centinaio di milioni utili come copertura della mini manovra da 18,7 miliardi. Ma il risultato è l’ennesima clamorosa spaccatura nella maggioranza. Per Lega e Forza Italia, toccare la cedolare significa scontentare la platea dei piccoli e medi proprietari che costituisce una parte consistente di elettorato. Così le bozze di manovra in circolazione da domenica sera e ormai sviscerate da tutti i giornali vengono disconosciute. E il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti tenta di calmare gli animi invitando a diffidare di testi non ufficiali. Il Parlamento, a cui stando alla legge il ddl di Bilancio va inviato entro il 20 ottobre, dovrà attendere.
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