48 ore nel Mediterraneo in missione per TOM: continue richieste d’aiuto e la tristezza per chi torna in Libia
- Postato il 19 aprile 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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La traversata non è stata facile, ma dovevamo arrivare in zona operativa prima che si aprisse la finestra meteo che avrebbe consentito di nuovo le partenze dalla sponda sud.
Siamo un piccolo equipaggio di 9 persone: Tiziano, il nostro comandante, è un velista di lungo corso e con Francesco, il Presidente di Sailing4BlueLab, è stato il motore di questo progetto; Giammarco, detto anche Mambo, e Francesca, anche loro come i primi due sono velisti e marinai straordinari, compongono il nostro rescue team oltre a far navigare la nostra barca. Martina e Giovanni sono il nostro personale sanitario, lavorano al pronto soccorso di Bologna, lei rianimatrice e lui infermiere, fanno parte del Laboratorio di salute popolare di Bologna.
Valentina lavora al numero verde di ARCI ed in questa missione fa la guest care, ovvero si occupa di tutto ciò che può servire alle persone che assistiamo e cerca di spiegargli cosa sta succedendo e cosa succederà dal momento in cui vengono soccorse. Poi c’è Alain, un compagno di Secure Populaire France, anche lui marinaio di lungo corso è venuto per capire come la sua organizzazione può aiutare il nostro progetto. E poi ci sono io che in questa missione faccio il capomissione, ruolo che turniamo con Francesco e con Maso che a questo giro non è a bordo e che con Alessandra e Margherita ci supportano con il coordinamento di terra.
E poi c’è lei, la nostra barca: Nihayet Garganey VI, con un nome talmente impronunciabile che alla fine la chiamiamo soltanto Garganey (non che sia meglio), ma le vogliamo un sacco di bene è una gran bella barca sicura ed affidabile. E’ una delle due barche messe a disposizione del progetto da Sailing4BlueLab, un circolo navigante, un’associazione di gente di mare che ha dato l’input alla nascita del progetto Tutti gli occhi sul Mediterraneo (TOM) e che insieme ad ARCI e a Sheep Italia ne è promotrice.
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Siamo arrivati a Lampedusa verso ora di pranzo dell’11 aprile e dopo una piccola pausa per sistemare un piccolo guasto al motore siamo ripartiti, rotta sud-ovest per posizionarci a 40 miglia da Lampedusa in quella che chiamano la “banana route” da dove transitano tutte le imbarcazioni che riescono a sfuggire alla cattura delle motovedette libiche donate dal Governo Italiano e che deportano di nuovo le persone nei lager da cui erano riuscite a fuggire.
Comincia così la nostra quarta missione di monitoraggio di quella che continua ad essere una delle frontiere più letali al mondo.
Non siamo soli, in questo tratto di mare insieme a noi ci sono altre 4 barche a vela che come noi monitorano e assistono le imbarcazioni in difficoltà e la nave Aita Mari della ong spagnola Salvamento Maritimo Umanitario.
Nadir, la barca vela della ong tedesca RescueShip, e Trotamar III del Collettivo Compass sono posizionate più a sud poco dentro la zona Sar Libica, noi di TOM, Safira di Mediterranea e Dakini la più piccola delle barche a vela stiamo più a nord nella zona SAR Maltese. Comunichiamo spesso per scambiarci informazioni, e cercare di coprire quanto più spazio di mare possibile, ma le distanze sono enormi e così quando arriva la prima segnalazione di una imbarcazione in difficoltà Nadir che è la più vicina si trova circa 3 ore di navigazione.
Le barche a vela non sono assetti veloci, ne pensate per fare soccorso e quindi tutti chiediamo l’intervento dei mezzi delle guardie costiere limitrofe, quella Maltese e quella Italiana. Per tutte le tre ore di navigazione le richieste di soccorso rimarranno senza risposta ed alla fine Nadir sarà costretta a prendere a bordo le persone e risalire lentamente verso Lampedusa. La segnalazione arriva da Alarm Phone che la manda ai centri di coordinamento dei soccorsi italiano e maltese e mette in copia anche le imbarcazioni della società civile presenti in mare in quel momento.
Passa poco che arriva un’altra segnalazione questa volta arriva da SeaBird3 un aereo della ong SeaWatch che sorvola il mediterraneo centrale supportare il lavoro delle navi e individuare le imbarcazioni in difficoltà: un gommone con più di 80 persone a bordo, alcune sedute anche sui tubolari che rischia di andare a fondo. Si trova a più di 70 miglia dalla nostra posizione per arrivare fin lì ci vorrebbero quasi 11 ore, chiediamo ad Aita Mari che vediamo sui radar più vicina se stanno andando loro, ci dicono di sì, ma poco dopo ci comunicheranno che purtroppo non hanno fatto in tempo, sono arrivati prima i libici ed hanno catturato tutti.
La giornata è scandita da continue richieste di soccorso una è arrivata via radio anche da Eagle1 l’aereo di Frontex che perlustra la zona Sar anche lui in cerca di imbarcazioni. Avevamo visto su Flight radar che volava dalle 13 circa sulla stessa area e sia noi che Safira ci stavamo dirigendo lì per vedere cosa stava accadendo. Soltanto alle 15.30, due ore dopo che avevano fatto il primo avvistamento hanno diramato una richiesta di soccorso a tutti i mezzi in area. Siamo rimasti tutti sorpresi nel sentire il MayDay Relay rilanciato da Frontex, dovrebbe essere la normalità, lo prevedono le leggi internazionali a tutela della sicurezza in mare, ma da molti anni ormai non accade più.
Pensiamo quindi che la situazione sia grave, per chiedere a tutte le imbarcazioni in zona di recarsi lì più velocemente possibile devono stare per andare a fondo. Scriviamo tutti alle autorità competenti ripetendo la stessa storia: “Siamo barche a vela, non siamo mezzi idonei al soccorso, siamo attrezzati per fornire prima assistenza e stabilizzare la situazione dotando le persone di giubbotti salvagente, ma chiediamo l’immediato intervento di mezzi di soccorso della Guardia Costiera”… nessuna risposta. Quando Safira arriva per prima sul posto una motovedetta della Guardia Costiera italiana stava ultimando le operazioni di soccorso. Tiriamo tutti un respiro di sollievo, ci scriviamo tra capi missione. Per fortuna stavolta sono intervenuti, non è la prima volta: accade sempre più spesso quando le imbarcazioni non si trovano in Sar libica, ma questa volta più a sud del solito, ne siamo felici.
Se c’è una cosa che ci accomuna tutti in questo tratto di mare è la consapevolezza che noi non dovremmo esserci e che gli Stati dovrebbero adempiere al loro dovere di soccorrere chi si trova in difficoltà noi speriamo che un giorno tutto questo torni ad essere la norma e non l’eccezione, come accadeva ai tempi di Mare Nostrum.
Un’altra segnalazione, un altro gommone stracarico sempre in Sar libica, le motovedette sono in movimento, ma stavolta Aita Mari è più vicina e riesce ad effettuare il soccorso, sono una nave attrezzata per farlo, hanno tanta esperienza alle spalle e sapere che ci sono loro ci rassicura tutti.
Le condizioni meteo stanno peggiorando velocemente, cominciamo tutti a fare rotta verso Lampedusa per cercare riparo, Nadir è ancora lontana con 47 persone soccorse a bordo di una barca di soli 18 metri. Dakini e Safira fanno rotta verso il porto, noi decidiamo di attardarci un po’ nel caso qualcuno fosse ancora in mare e decidiamo di rimanere fino alle prime luci dell’alba quando abbiamo saputo che entrerà in assetto operativo Aurora una imbarcazione veloce di Sea Watch che è in grado di operare come operano le motovedette, partendo direttamente da Lampedusa.
Alle 2 del mattino però arriva l’ultima segnalazione, le onde sono già alte più di 2 metri, un gommone con 75 persone a bordo ed almeno 7 bambini è in difficoltà, stanno andando a fondo chiedono aiuto, ma si trovano in SAR libica non arriveranno i soccorsi. Tracciamo una rotta, sono circa 65 miglia 9 ore di navigazione al massimo della nostra velocità, prenderemo in pieno la bufera. Per fortuna Aita Mari è ancora in zona e sulla rotta del rientro si è avvicinata e Trotamar III che si trovava ancora più a sud raggiunge per prima l’imbarcazione e riesce a stabilizzarla in attesa che arrivino i soccorsi della nave più grande.
Sono salvi, possiamo riprendere la nostra rotta ed aspettare di ritrovarci tutti a Lampedusa per festeggiare perché anche oggi nessuna vita è andata perduta grazie alla presenza della flotta civile nel Mediterraneo centrale. Resta la tristezza per quelle 80 persone che non ce l’hanno fatta e che sono tornate nell’inferno dei centri di detenzione libici in un Paese dove anche le Nazioni Unite non hanno più accesso perchè non devono esserci testimoni delle torture e delle violenze che subiscono ogni giorno migliaia di persone da parte delle autorità che i governi europei continuano a finanziare.
Adesso siamo in porto al riparo, sperando che nessuno si trovi in mare con questo tempo, ma pronti a fare la nostra parte se fosse necessario, come sempre. Perché è la cosa giusta da fare.
Lampedusa, Europa, Mediterraneo Centrale, 14 Aprile 2025
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