VinNatur compie 20 anni. Il “conclave” dei naturalisti sfida i colossi industriali: “Studiamo i difetti per migliorare i nostri vini”

  • Postato il 8 maggio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Vent’anni di VinNatur e si continua a studiare e sperimentare. Un po’ come quel Tai rosso frizzante (sì, un tocai con le bollicine e di una bontà divina) della cantina In Sordina (Vicenza), arrivato così senza prevederlo, proprio perché l’estate era stata siccitosa e i grappoli del Tai avevano sofferto, rachitici e piccini. Fare di necessità virtù, insomma. E farlo da dio. Il vino naturale è sorpresa e anarchia, serietà e attenzione. Il conclave di cardinali di VinNatur, fondato dal papa Angiolino Maule nel 2006, ha tagliato un traguardo che meriterebbe proprio uno speciale TG1. Un anno vissuto pericolosamente con i soliti insulti (il farinettiano “il vino naturale è fascista”), agguati concettuali e lessicali e un pizzico di invidia da parte dell’industria vitivinicola tradizionale. Ricordiamolo ancora una volta, come da statuto austero di VinNatur: “produrre vino naturale significa agire nel pieno rispetto del territorio, della vite e dei cicli naturali, limitando attraverso la sperimentazione, l’utilizzo di agenti invasivi e tossici di natura chimica e tecnologica in genere, dapprima in vigna e successivamente in cantina. L’associazione intende preservare l’individualità del vino dall’omologazione che chimica, tecnologia e industrializzazione hanno portato nelle attività vitivinicole”.

“Non è una moda, altrimenti in tutto questo tempo sarebbe già decaduta”, ci spiega Maule passeggiando tra le corsie del Margraf di Gambellara invase da bevitori e bottiglie degli oltre 200 produttori/soci. “Dopo 20 anni ci mettiamo di nuovo in discussione per tentare di togliere dai vini naturali quelli con i difetti. Non tutti i produttori hanno capito che il Brett (un lievito naturalmente presente nel vino che ne caratterizza odore e sapore ndr), l’acidità volatile, l’ossidazione sono un difetto”, continua Maule. “I soldi che guadagniamo con VinNatur li abbiamo sempre investiti in ricerca per migliorare i nostri vini. Da quest’anno invece di investirli in qualcosa che non sappiamo dove vada a parare, li investiamo su quello che già sappiamo e che dimostrano le analisi”. Insomma, l’asticella si alza.

Maule ha presentato la riforma in assemblea dei soci: c’è consenso, chi mi ama mi segua, “e chi non segue lo invitiamo ad uscire”. “I buoni produttori stanno lavorando bene, ma in generale capita, ad esempio, che la pulizia della cantina diventi un problema: l’inquinamento batterico sfocia nelle tubazioni, nelle botti e infine scoppia nella qualità dei vini. Affinchè la situazione non peggiori ci lavoriamo seriamente”. Del resto tra le corsie del Margraf passano due signori con un carrellone della spesa che acciuffano a caso una bottiglia in mostra per ogni associato per un test a sorpresa. Ed è lì su quei banchi che capisci cosa significhi vino naturale. Se l’anno scorso avevamo menzionato Alberto Lot e la sua cantina tra Veneto e Friuli (a proposito, le bottiglie di Filari Margherita stanno invecchiando e ad ogni stappo si rischia di rimanere sconvolti), Colleformica dai Castelli Romani (quest’anno il Biancofiore – Malvasia al 75% e Trebbiano al 25%- ha un’eleganza e una struttura da primato), quest’anno tocca alle giovani realtà. Gianluca Salce, del’omonima azienda agricola abruzzese – Tocca da Casuria, nel medio chietino – ha iniziato semplicemente nel 2022. “Ci lavoro solo io anche se mio padre mi aiuta. Mi piace fare tutto a me, tranne la vendemmia dove ho degli aiutanti. Credo che in ogni dettaglio si nasconda un universo”, ci spiega Gianluca, timido e rispettoso, quasi in silenzio, tra bottiglie di Trebbiano e Cerasuolo che al massimo, appunto hanno tre anni di vita. “Annate diverse danno vini diversi. La ’22 è stata in Abruzzo buona, nel ’23 bruttissima. Cerco di usare macerati di erbe e propoli per la coltivazione e questo significa fare tanti passaggi sui filari per controllare spesso le foglie perché i miei sono prodotti blandi. Ho un’azienda molto piccola e non ho tanti macchinari. Cerco di portare in cantina solo le uve sane facendo selezione direttamente in vigna”.

Poesia sì, ma anche parecchio rispetto per il vino e chi lo andrà a bere. Dettaglio naif che fa spesso imbestialire i grandi produttori industriali. Anche la giovanissima Camilla, titolare di In Sordina – zona Berici vicentina sud occidentali – quella del Tai rosso con i grappoli che parevano morti ma che invece son diventati nettare ha iniziato nel 2019. “La passione per i vini naturali è nata mentre lavoravo in ufficio. Il venerdì sera stappavamo vini pazzeschi. Mi chiedevo: perché sono così diversi?”. Complice un suocero che torna ad appassionarsi alle vigne e ne acquista di vecchie, ecco nel 2019 che sbuca il Ciano Macia, una glera che macera brevemente sulle bucce e offre una bollicina delicata e persistente che supera tutto il prosecchismo tradizionale in un’unica boccata. I fratelli Devid e Matteo Sassi di Monte Duro stanno ultimando i lavori per una mini libreria tra cantina e capannoni a Vezzano sul Crostolo (Reggio Emilia). I loro vini sono quanto di più genuino e schietto possa offrire VinNatur 2025. La sostanziosa delicatezza del P?no’, un rosso frizzante, che è un Pinot Nero con quattro giorni di macerazione a zero gradi e fermentazione in bottiglia, è probabilmente l’apice naturale che offre il territorio reggiano oggi.

Chiudiamo l’esplorazione VinNatur 2025 con il vino che ci ha letteralmente rapiti. Un vino, come dire, “nobile”. Si tratta di un Fiano in purezza della cantina campana De Beaumont da Castelvetere sul Calore (Avellino). L’offerta insperata arriva quasi in fondo alla giornata. La sorsata ce la offre il 35enne Fabio, l’ultimo erede di famiglia. Uno che dal sorriso che ha sa di avere tra le mani oggi un tesoro, anche se la tradizione nobiliare di famiglia probabilmente risale addirittura al 1600. La “Baronessa” è un vino che in molti definirebbero “glu glu”, di quelli che scendono freschi e appaganti. La “ricetta” vuole che la nonna del vignaiolo, che ancora oggi conduce l’attività con il nipote, fosse solita imbottigliare una piccola parte di uve bianche prima di completare la fermentazione, senza rimuovere i lieviti. Sorpresa: il Fiano rifermentato vi farà dimenticare quello industriale, fruttato e standardizzato, che a questo vitigno tradizionalmente assocereste. Scusate se è poco.

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Il Fatto Quotidiano

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