Usa, tagli da quasi 800 milioni di dollari alla ricerca sanitaria accusata di promuovere la diversità: via libera della Corte Suprema

  • Postato il 27 agosto 2025
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L’amministrazione Trump può per il momento cancellare 783 milioni di dollari in sovvenzioni che i National Institutes of Health avevano già stanziato per progetti ora accusati di promuovere l’ideologia DEI (diversità, equità, inclusione). Lo ha deciso il 22 agosto scorso la Corte Suprema, con il voto di cinque giudici contro quattro. Si tratta di una vittoria parziale per il governo Usa, che non chiude però lo scontro. La vittoria di oggi potrebbe infatti trasformarsi in una sconfitta futura per Donald Trump.

È un caso complesso, con implicazioni giuridiche, economiche, culturali, quello discusso dai nove giudici della Corte. Lo scontro legale è iniziato davanti a una corte distrettuale di Boston, cui una serie di associazioni sanitarie e i democratici di 16 Stati si sono rivolti per bloccare il tentativo dell’amministrazione di congelare 1.700 tra sovvenzioni, contratti, borse di studio accusati di violare le norme anti-DEI emanate da Trump, favorendo “l’ideologia del gender o immorali preferenze basate su razza e sesso”. Il giudice di Boston William Young – nominato da un presidente repubblicano, Ronald Reagan – ha alla fine dato ragione ai querelanti e chiesto al governo di riprendere il flusso dei finanziamenti. Nella sua sentenza, ha rilevato di “non aver mai visto, in anni di attività, un tale livello di discriminazione razziale da parte del governo”.

Diversi tra i programmi cancellati hanno infatti a che fare con studi relativi alla salute delle minoranze, in particolare quella degli afroamericani. Disturbi alimentari, cardiovascolari, diabete, salute mentale sono alcune delle aree coperte dai programmi cancellati. Dopo la sentenza del giudice, il governo americano si è quindi rivolto, senza successo, a una corte d’appello e infine alla Corte Suprema, dove cinque giudici conservatori – Clarence Thomas, Samuel Alito, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett – hanno dato ragione all’amministrazione. Contrari il presidente della Corte, John Roberts, e le tre liberal: Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Ketanji Brown Jackson. Proprio la Jackson ha redatto 21 pagine di feroce dissenso, scrivendo che “questa Corte sembra avere due regole. La prima, che non ci sono più regole. La seconda, che l’amministrazione Trump vince sempre”. Il riferimento è ovviamente diretto alla sfilza di decisioni favorevoli al presidente emesse in questi mesi dai giudici conservatori (tre di questi nominati da Trump stesso).

Durante il dibattimento, gli avvocati del governo hanno voluto dimostrare come molti dei programmi cancellati rappresentassero uno spreco di denaro del contribuente, senza un ritorno effettivo dal punto di vista scientifico. Tra gli esempi citati, una ricerca su “Buddismo e stigma derivante dall’HIV in Thailandia”. I querelanti hanno invece sottolineato l’importanza di molte ricerche. Tra queste, quelle relative all’Alzheimer, a patologie neurologiche, agli effetti dell’inquinamento sulla salute umana. La maggioranza dei giudici ha comunque dato ragione al governo sulla base di una sentenza dello scorso aprile, in cui si consentiva al Dipartimento all’Educazione di congelare 65 milioni di dollari in finanziamenti per iniziative ancora una volta ispirate ai principi di inclusione e diversità. Questa volta è stata però la giudice Coney Barrett, che pure si è dichiarata a favore del governo, ad aggiungere una postilla importante. Coney Barrett afferma infatti che il suo voto non riguarda il diritto di allocare finanziamenti ai progetti DEI. Lungi dall’essere un giudizio di merito, la sua è una presa di posizione puramente procedurale. I querelanti avrebbero infatti sbagliato a rivolgersi al giudice distrettuale di Boston. Trattandosi di questione che riguarda una forma di contratto con il governo federale, il tribunale cui affidare il caso sarebbe stata la U.S Court of Federal Claims.

Si tratta di una postilla di enorme valore, che non va nella direzione sperata dall’amministrazione. Chi, nel futuro, vorrà contestare i tagli ai finanziamenti, potrà farlo nelle giuste sedi legali, con buone probabilità di prevalere. Per questo la vittoria attuale di Trump e del governo sui fondi dei National Institutes of Health è solo temporanea e destinata a essere probabilmente ribaltata. Oltre l’aspetto più squisitamente giuridico, quello che dalla vicenda ancora una volta emerge è l’impegno che questa amministrazione mette nella cancellazione dei programmi cosiddetti “woke”. Dopo aver fatto piazza pulita di ogni traccia di inclusione e diversità – etnica, razziale, di genere – nella burocrazia statale, nella scuola, nella sanità, nell’esercito, la scure di Trump si è nei giorni scorsi rivolta alla cultura. Dalla Casa Bianca è partita una nota per lo Smithsonian, la rete dei musei federali. A essere prese di mira sono 26 iniziative e opere. Tra queste, un dipinto di Amy Sherald che trasforma una donna trans afroamericana nella Statua della Libertà e un quadro di Rigoberto González, in cui una famiglia di migranti che cerca di passare il confine con il Texas viene assimilata alla Sacra Famiglia.

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Il Fatto Quotidiano

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