Usa, la storia di Jared Gottula è la radiografia di un sistema che ha sostituito la cura con l’esecuzione

  • Postato il 13 luglio 2025
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Nelle sconfinate praterie del Wyoming, dove i bovini superano in numero gli abitanti, la modernità arriva sotto forma di sirene della polizia. A Hot Springs County, 4.600 anime e nessuno psichiatra, Jared Gottula, 41 anni, disoccupato e afflitto da un disturbo mentale non trattato, agita una mazza da baseball fuori casa. Non minaccia nessuno. Non ha una pistola. Ma quando arrivano gli agenti dello sceriffo, Jared finisce crivellato di colpi. Uno, due, tre… fino all’ultimo proiettile. Il suo corpo resta steso sull’asfalto. Nessuna ambulanza, nessun medico, nessun negoziatore. Solo un padre che corre urlando: “È morto mio figlio?”.

Questa non è la cronaca nera. È la radiografia di un sistema che ha sostituito la cura con l’esecuzione. Che ha trasformato la polizia di campagna in giuria, giudice e boia. Il caso di Jared è solo uno dei tanti che emergono da un trend in crescita: nel 2024, 1.260 persone sono state uccise dalle forze dell’ordine negli Stati Uniti. Di queste, un numero crescente cade sotto il fuoco degli sceriffi rurali, oggi protagonisti di una militarizzazione strisciante e sottovalutata.

Dal 2013 a oggi, gli omicidi da parte degli uffici dello sceriffo sono aumentati del 43%, mentre quelli dei dipartimenti cittadini solo del 3%. Il motivo è semplice: nelle città, dopo George Floyd, le proteste hanno costretto a riforme. Nelle campagne, invece, la repressione è diventata vanto, segno di efficienza, spesso appoggiata da elettori che vedono negli agenti armati gli ultimi bastioni dell’ordine in un mondo che si sgretola.

Il caso di Hot Springs è esemplare. Qui gli agenti sono pochi, malpagati, scarsamente formati. Non esiste un servizio psichiatrico, ma l’arma d’ordinanza è sempre pronta. L’agente Max Lee-Crain, che ha ucciso Jared, ha dichiarato di aver esaurito il caricatore: “Non voleva mollare la mazza”. Eppure, lo stesso sceriffo locale non ricordava alcun precedente di sparatorie nella contea. La tragedia è un inedito. Ma non sorprende.

In un’America dove le crisi mentali si moltiplicano e i servizi scompaiono, chi risponde alla chiamata d’aiuto non è un terapeuta, ma un uomo armato e addestrato al combattimento. Il risultato è scontato. Come ha ammesso Allen Thompson, direttore dell’associazione degli sceriffi del Wyoming: “Abbiamo bisogno di più formazione. Ma il vero problema è che non possiamo prevenire ciò che accadrà la notte dopo”.

Il caso Gottula rivela lo slittamento profondo del ruolo della forza pubblica. Non più tutela, ma controllo. Non più vicinanza, ma dominio. Una logica da guerra civile a bassa intensità che, nell’indifferenza delle metropoli, consuma vite tra i silenzi delle valli e delle riserve.

Le immagini dell’omicidio non fanno il giro del mondo, come accadde per Floyd. Ma nelle comunità locali resta il trauma, resta la domanda: chi sarà il prossimo? La risposta, purtroppo, non arriva da un’aula di giustizia, ma da un poligono di tiro.

Nel cuore dell’America profonda, la frontiera non è più quella dell’Ovest, ma quella tra civiltà e barbarie. E la linea si sposta ogni giorno più in là, inesorabilmente, sotto il peso di un’ideologia securitaria che giustifica tutto, anche l’ingiustificabile. Come ha detto un funzionario di polizia coinvolto in un caso simile: “Tutti si lamentano della de-escalation”. Già. Perché parlare, negoziare, aspettare costa tempo e soldi. Sparare, invece, è rapido, risolutivo, e soprattutto impunito.

In questa America, il disagio psichico non è una malattia da curare, ma una minaccia da neutralizzare. E così lo Stato uccide, a sangue freddo, chi avrebbe solo bisogno di aiuto.

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Il Fatto Quotidiano

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