Un Ulivo 2.0? No, grazie

  • Postato il 24 novembre 2025
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di Pietro Francesco Maria de Sarlo

O il consigliere Garofani è un agente di Putin oppure mi viene il dubbio che ci sia un tentativo di costruire un Ulivo 2.0, magari con la benedizione del Colle. La prima ipotesi è solo una celia. Meglio sottolinearlo visto che ormai attribuiamo al malvagio Putin la qualunque.

L’Ulivo 1.0 è stato un capolavoro. Una minoranza proveniente dalla vecchia DC e dal PPI, grazie ai voti della sinistra stordita dalla caduta del Muro e della delusione del socialismo reale, ha preso in mano il Paese e lo ha governato direttamente o per interposto deep state per tutta la seconda Repubblica, fino al tentativo del M5S di costruire un nuovo orizzonte politico e culturale.
Dal primo Ulivo a oggi è cambiato il mondo. All’epoca si credeva ancora in una sinistra riformista che avrebbe opposto resistenza alla deriva antisociale della destra e all’affarismo commisto tra pubblico e privato rappresentato da Berlusconi. L’idea era che la mediazione delle istanze sociali, potessero essere fatte all’interno di un unico partito che diventava così il Partito Stato. Prese le decisioni al suo interno ogni dibattito era inutile e c’era solo da vendere queste decisioni al popolo bue, fare propaganda insomma.

C’è stato, almeno fino al 2018, un dominio incontrastato culturale prima che politico, di questo gruppo di cui a pieno titolo fanno parte oltre a Prodi lo stesso Mattarella e poi Gentiloni, Letta, Renzi, Fassino, Franceschini, Draghi e Monti, forse l’unico laico, e nelle forme più destrorse prima Binetti e ora Picierno, Calenda, Guerini e via andare. Questi hanno determinato politiche economiche allineate ai principi della destra liberista e della prevalenza delle ragioni del mondo della finanza e dell’impresa, quello che una volta si chiamava il Capitale, a scapito delle faticose conquiste sociali fatte prima in Europa e poi in Italia per tutta la Prima Repubblica. Conquiste fatte grazie all’equilibrio faticoso tra l’economia di mercato e quella pianificata che è saltato con la caduta del Muro. Si è così costituito un legame molto forte tra la minoranza del centrismo cattolico e le burocrazie nazionali ed europee che hanno insieme ritenuto di essere in possesso delle uniche strategie economiche possibili di gestione della Cosa Pubblica.

Da questa visione è nato lo smantellamento dello Stato imprenditore togliendo una leva fondamentale alla realizzazione delle politiche industriali ormai prive della sponda delle imprese di Stato. Persino monopoli naturali, come le autostrade l’acqua e le reti, sono state cedute ai privati. Che questo sia stato un bene è tutto da dimostrare. Nella realtà si è trattato di trasferire ricchezze pubbliche, come Telecom o Autostrade, a privati che ne hanno fatto carne di porco.

Peggio la teorizzazione dell’Europa a guida franco-tedesca con la linea economica dettata dalla Ue esautorando di fatto i parlamenti nazionali. La lettera Draghi–Trichet del 2011 è solo un esempio dell’attacco al parlamentarismo portato alle istituzioni parlamentari dal Pd di Bersani, da Napolitano, da Draghi e soprattutto dalla Ue. Quando Draghi in Europa chiede che agisca ‘come se fosse un unico Stato’ in tema di difesa in quel ‘come se’ c’è il disprezzo di 27 Costituzioni. Se l’Europa deve funzionare ‘come se’ significa che le decisioni rimangono in mano a pochi autocrati autoreferenziali che decidono pace e guerra e distribuzione delle ricchezza con un disprezzo evidente di ogni tipo di processo democratico.

C’è stata la possibilità con il Conte 2 di creare un nuovo Ulivo su basi diverse. Ma questo supponeva mettere in discussione tutto l’operato della seconda Repubblica e dell’Europa e questo non era possibile. Abbiamo assistito disgustati a un attacco sistematico dei media e dello stesso Pd al governo Conte con la richiesta del Mes, strumento causa di sofferenza ai greci, e non solo, e ritenuto tossico persino dalla europeista Fondazione Delors, ma non dal Pd che voleva mettere l’Italia sotto tutela della Ue. Un nuovo Ulivo? No, grazie. Mi è bastato il primo.

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Il Fatto Quotidiano

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