Un report sul Sud-est asiatico: arte Singapore e Kuala Lumpur tra analogie e differenze

  • Postato il 17 settembre 2025
  • Dal Mondo
  • Di Artribune
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Arrivare nel distretto federale di Kuala Lumpur e nella Città stato di Singapore può avere per un visitatore europeo un effetto straniante. Vicine per geografia e per una storia comune che affonda le sue radici nell’impronta lasciata dall’Impero britannico, sono in realtà molto diverse per qualità della vita e dispiegamento del corpo urbano.

Singapore, la città che guarda al futuro

Con i suoi 6 milioni di abitanti, la metropoli che si è ufficialmente formata nel 1965, distaccandosi in seguito ad un referendum del 1963 dallo Stato della Malesia, è oggi uno degli avamposti dell’economia mondiale, quarta per reddito pro capite subito dopo la Svizzera. E del paese europeo richiama molto nel suo processo di modernizzazione e di normativa edilizia, all’insegna di un’architettura green e sostenibile che si basa direttamente sulle trattative tra imprenditori e autorità locali per quanto riguarda la progettazione a lungo termine. Tutta la città è un fiorire di palazzi ispirati al nostro bosco verticale ma trasposti in una natura selvaggia, alimentata dalle frequenti piogge del clima tropicale, che sembra fondersi col paesaggio urbano un continuum armonico e senza forzature.

Singapore: una progettualità che guarda al benessere comune

Sono molti i giovani architetti che sviluppano un design organico, ispirato a forme modulari in simbiosi con la vegetazione locale e che, rimodulando la tradizione europea lasciata in eredità dal Commonwealth di cui ancora fanno parte, riconfigurano senza interruzione il nuovo landscape. “Qui non importa chi vinca o perda le elezioni, non siamo toccati dai capovolgimenti politici come succede in occidente. La nostra progettualità guarda al lungo termine e al benessere comune”, ci dice Lin, del team di WOHA, studio ultra-premiato per LEED Certification, il ranking che celebra l’edilizia più ecocompatibile del pianeta. “Il nostro diktat è l’autonomia energetica, il dialogo fra generazioni e la fusione tra gli spazi pubblici e privati”, continua “i nostri progetti di social housing nascono dal basso, da un ascolto delle comunità di residenti e delle loro esigenze in termini di necessità e bisogni”. E così sono nati la Meyer House a Marine Parade o lo Skyville@Dawson a Queenstown, dove il vivere quotidiano si sposa con la convivialità, gli appartamenti dei residenti si aprono su ambienti comuni, circondati da ambulatori, palestre e parchi aperti a tutti.

Il landscape di Singapore firmato dalle archistar

In un paese che si pone all’avanguardia per gli investimenti dell’edilizia pubblica c’è posto anche per le costruzioni firmate dai più blasonati nomi dell’architettura internazionale. È il caso del complesso Interlace di OMA, capeggiato dall’olandese Rem Koolhas e di D’Leedon 7 Towers di Zaha Hadid studio, affacciato nel silenzio di Dumpsey Hill. Lontano dalle luci del Marina Bay Sands, emblema della metropoli ad opera di Moshe Safdie, svettano il Marina One Complex, in un minimalismo asciutto creato dal danese Ingenhoven Associates e il Capita Spring Towers, sempre di un danese, Bjarke Ingels insieme al nostro Carlo Ratti, a capo dell’attuale Biennale di Architettura a Venezia. 

Sostenibilità una caratteristica dell’urbanistica di Singapore 

Cosmopolitismo e sostenibilità sono al cuore sia del masterplan urbano che al centro dei gruppi aziendali, come nel caso di Green Cascades, affascinante headquarter di Wilmar firmato dell’inglese Eric Parry che già nel nome e nella location, il distretto Biopolis, evoca un modello di visione integrata tra lavoro e qualità della vita, comunque alta in tutta la città. Ampi spazi pedonalizzati, un’efficiente rete di trasporti che copre tutta l’area di circa 700 chilometri quadrati, parcheggi sotterranei che lasciano libere le strade, un piano regolatore sviluppato ad aree, con a ovest l’edilizia residenziale e a nord il polo tecnologico dove troneggia il SIT, Singapore Institute of Technology, polo di ricerca e di sperimentazione di nuovi brevetti, fanno di questa metropoli un vero modello d’innovazione e di sviluppo.

Kuala Lumpur, tra gentrificazione e crescita

Così vicine e così lontane, verrebbe da dire guardando le file di pendolari che ogni sera attraversano la frontiera singaporiana per rientrare in Malesia, che dopo l’indipendenza del 1957 si è consolidata nell’attuale monarchia parlamentare nel settembre 1965, festeggiando quest’anno il suo sessantesimo anniversario. Paese che ha avuto uno sviluppo accelerato nell’ultimo trentennio ma in cui la ricchezza fatica ad essere equamente distribuita, come testimonia il gap tra la trentacinquesima posizione per PIL e il sessantanovesimo posto per reddito pro capite. 

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Uno scorcio della facciata del Parkroyal on Pickering, di WOHA Architects. Photo Francesca Pompei

A Kuala Lumpur la visione urbana diventa politica e sociale

La Malesia si rivela un paese che prova ad affrontare la trasformazione con esiti disparati: dalla copertura della rete elettrica, arrivata negli Anni Novanta del secolo scorso nelle città ma che ancora non ha raggiunto la piena efficienza nelle isole e nella zona costiera del Borneo, dove si tenta di aggirare il problema con il fotovoltaico. Al tempo stesso, nazione leader dell’ASEAN 2025, l’assemblea degli stati del sud est asiatico, che sul leitmotiv dell’inclusione e della sostenibilità ha avuto proprio a Kuala Lumpur il vertice dei lavori. In questo scenario, la visione urbana diventa anche questione politica e sociale, opportunità di rigenerazione degli edifici malsani e degradati che popolano non solo la periferia ma anche il centro, accanto ai grattacieli ultramoderni e alle boutiques di lusso create per i brands occidentali da studi come l’olandese MVRDV o il francese Jean Nouvel. Una dialettica ricca di contraddizioni, che fatica a trovare il suo centro programmatico, come ben espresso anche dalla rete metropolitana cittadina, organizzata in 10 linee affidate a gestori diversi, ognuno con la sua tariffa e la sua idea di trasporto pubblico, dalla monorotaia eco compatibile ai vecchi autobus a gasolio.

Il melting pot culturale e la creazione di alternative: la complessità di Kuala Lumpur

Rispetto alla vicina Singapore, che già dai tempi della dominazione inglese convive con una diffusa comunità cinese tale da spingere il paese a schierarsi con gli stati non allineati nel secondo dopoguerra, la popolazione di Kuala Lumpur è più legata a una tradizione musulmana. Radicata la comunità yemenita, libanese e magrebina che si riunisce nelle moschee cittadine, ahimè, pressoché chiuse ai non seguaci dell’Islam vista la rigidità degli orari mai riscontrata in nessun paese arabo. Nonostante ciò, le donne godono di una discreta libertà e le istituzioni hanno concesso di recente importanti aperture alla forte comunità LGBTQ che ha portato avanti importanti battaglie in termini di diritti civili. Ciò non impedisce purtroppo una diffusa prostituzione che, unita al profondo divario economico tra classi, alla pessima qualità dell’aria e alla mancanza di un modello urbano e di una filosofia dell’abitare, tiene nonostante gli sforzi la Malesia e la sua capitale ancora lontana da quegli standard qualitativi che la potrebbero rendere un vero punto di riferimento geopolitico per l’area asiatica.

Kuala Lumpur una città ricca di potenziale, soprattutto umano

Non basta infatti l’architettura visionaria delle Petronas Twin Towers create nel 1974 da Cesar Pelli e oggi emblema internazionale della città né la terrazza del Menara, tra le centrali di telecomunicazioni più alte e importanti al mondo a farne una città all’avanguardia. A mancare, come vero punto di riferimento, è la scala umana, specie negli aspetti della bellezza, delle ritualità quotidiane e della cultura, anche se su questo aspetto sono molti i tentativi sul campo, come quello proposto dalla rete di gallerie GMBB che si propone come hub artistico di riferimento per artigiani e creativi locali che con le loro opere e prodotti unici sono un’alternativa ai prodotti commerciali dei mastodontici shopping malls.

Singapore e Kuala Lumpur: una vicinanza che evidenzia le diversità

Singapore e Kuala Lumpur, due luoghi che travolgono per la vita brulicante delle loro strade, impregnate dagli odori degli stands di street food aperti a tutte le ore e dall’aria umida di cui si nutre la rigogliosa foresta tropicale. Due capitali, due stati che si raccontano in maniera diversa come frammenti di un mosaico comprensibile solo a chi le visita entrambe e la cui ricchezza risiede nella loro straordinaria diversità. In un’epoca avida di immediatezza e di risposte veloci, rappresentano entrambe una bella sfida lontana dagli avamposti abituali del modo di vivere e dalle logiche del pensare occidentale.

Francesca Pompei

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Artribune

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