La Mamounia a Marrakech. Storia del leggendario hotel delle star
- Postato il 12 settembre 2025
- Dal Mondo
- Di Artribune
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La Mamounia è un indirizzo leggendario dell’hôtellerie mondiale. Dal 1923 questo albergo di lusso incarna la quintessenza dell’ospitalità marocchina, sapendo coniugare le atmosfere esotiche di un palazzo orientale con i comfort della modernità.
Un giardino del XVIII Secolo diventa hotel
Pur essendo situato nel cuore della città vecchia di Marrakech, a ridosso dei bastioni, rappresenta un’oasi di pace, al riparo dalla confusione dei vicini suq. A proteggere la privacy e la tranquillità degli ospiti ci sono ben 7 ettari di giardini secolari dove crescono ulivi, aranci, palme, roseti, piante grasse e, nella parte dedicata all’orto, si coltivano verdure e frutti utilizzati nelle cucine dei tre ristoranti dell’hotel. È proprio quest’oasi di verde che lega il primigenio giardino e frutteto che nel XVIII Secolo il sultano alawita Sidi Mohammed Ben Abdellah offrì come dono di nozze al figlio, il principe Moulay Mamoun. Da qui deriva il nome che venne scelto all’apertura dell’hotel 102 anni fa. È una delle tante vicende che la giornalista francese Laurence Benaïm racconta nel volume appena pubblicato da Assouline (208 pagine): un’opera preziosa che rende omaggio, con un ricco corredo iconografico, al patrimonio architettonico e artistico del palazzo, alle tante storie e personaggi legati al mondo dell’arte, della letteratura, della moda, del cinema, della politica che sono stati ospiti del Mamounia.
Gli inizi, fra Déco e architettura tradizionale
A progettare il primo edificio che si sviluppava su un solo piano con una disponibilità di una cinquantina di camere furono Henri Prost e Antoine Marchisio, importanti architetti e urbanisti francesi attivi nelle principali città marocchine negli Anni Venti del Novecento. Jacques Majorelle (1886-1962) decora il salone che porta ancora oggi il suo nome e di cui, dopo varie ristrutturazioni, è sopravvissuto il soffitto. Lo stile Déco si fonde con la tradizionale architettura marocchina, con le piastrelle zellige, gli arabeschi moresco-andalusi, mentre nei patii lo sciacquio delle fontane di marmo attutisce il rumore della città. Per quasi cinquant’anni la Grande Dame, il soprannome dell’hotel, rimase fedele alle origini. Il primo grande rinnovamento venne affidato nel 1986 all’architetto e interior designer André Paccard, uno specialista dell’arte islamica marocchina. Per circa cinque mesi, 4mila artigiani furono impegnati nel restaurare completamente l’albergo che, in quell’occasione, raddoppiò le sue superfici, compreso l’allestimento dei tre riad(ciascuno con tre camere da letto, saloni in stile marocchino, terrazza e piscina privata) che ancora oggi sono fra i fiori all’occhiello dell’hotel.
Un mito che continua a rinnovarsi
L’ultima ristrutturazione, affidata allo studio dei designer Patrick Jouin e Sanjit Manku è durata diversi anni e si è conclusa a ridosso del centenario nel 2023. Sono state rinnovate la reception, la Galleria Mamounia, il Bar Majorelle e ora il Lampadario del Centenario occupa, splendido e imponente, il centro della hall. Fra le ultime realizzazioni ci sono un cinema privato, l’enoteca, oltre al salone da tè realizzato in collaborazione col famoso pasticcere Pierre Hermé. I lavori hanno visto il coinvolgimento del general manager dell’hotel, Pierre Jochem che partendo dall’Alsazia, dopo passaggi in alberghi di lusso a Singapore, in Tailandia, Cina, India, guida la struttura marocchina da oltre un decennio: “Negli anni, La Mamounia è cambiata, tuttavia rimane un luogo fuori dal tempo, circondata da un’aura particolare che colpisce gli ospiti e li invita a ritornare”.
Un’atmosfera che pur fra tanti mutamenti, ingrandimenti, ristrutturazioni si mantiene viva ancora oggi. Con successo, perché nel 2018 e nel 2021, la rivista Conde Nast ha posizionato La Mamounia in testa alla sua classifica dei migliori hotel del mondo. Dietro le sue porte, ornate di khorsa e zekroum – i battenti e i chiavistelli riccamente decorati simbolo dell’ospitalità marocchina – La Mamounia continua a servirsi dei migliori artigiani locali che hanno contribuito nei decenni a rinnovare l’hotel.
Musicisti e artisti fra gli ospiti
Fin dai primi decenni di apertura, ogni ospite importante ha sempre avuto il suo momento preferito della giornata e i suoi spazi d’elezione, racconta Laurence Benaïm. Così Maurice Ravel attendeva il crepuscolo per suonare il pianoforte Gaveau dell’hotel (è ancora lì) o magari ascoltare un po’ di dakka marrakchia, la musica tradizionale che incanta sia l’ascoltatore che il praticante, inducendoli in uno stato di sogno prolungato, in una specie di trance. Altri ospiti si riuniscono attorno alla piscina esterna riscaldata color turchese progettata per evocare il famoso bacino dei Giardini Menara che David Hockney amava dipingere durante i suoi soggiorni.
Winston Churchill, un cliente affezionato
E, a proposito di pittori (dilettanti), non bisogna dimenticare Winston Churchill che arrivava al Mamounia con i suoi cavalletti, le sue casse di whisky e ampie scorte di sigari. Scoprì l’hotel per la prima volta nel 1935 in fuga dalla nebbia di Londra, e lo descrisse come “uno dei più bei posti del mondo”. Fu lo scenario per dipingere una dozzina di tele, fra cui Sunset over the Atlas mountains. Un panorama “veramente notevole” che poteva ammirare dalle finestre della sua camera e che non mancava di ricordare nelle sue lettere alla moglie Clementine. Le dodici tele dello statista inglese sono tornate nel luogo dove furono dipinte nel 2014, in occasione di uno dei tanti eventi dedicati all’arte organizzate al Mamounia. In quell’occasione sono state messe a confronto con le opere del pittore marocchino Hassan El Glaoui (1923-2018) che Churchill incontrò e incoraggiò nel 1943, in occasione di uno dei suoi diversi soggiorni. Nel gennaio del 1959 rimase a Marrakech per ben sei settimane avendo occasione di incontrare e discutere di pittura con Majorelle, altro artista che con il suo iconico Blu Majorelle ha connotato non poco gli ambienti del Mamounia (a Marrakech da non mancare anche la visita ai Giardini Majorelle).









La catena dell’Atlante come sfondo
Lo stesso scenario di montagne innevate scintillanti sotto il sole è anche quello amato da Paul Bowles, l’autore de Il tè nel deserto, che lo contemplava dal suo balcone assieme alla moglie Jane. È qui che nel 1936, Nicolas de Staël comincia a dipingere en plein air ed è ancora la vista delle cime innevate dell’Atlante, l’odore dei gelsomini e delle rose che invade la camera al risveglio in un mattino luminoso a far innamorare del posto Yves Saint-Laurent e Pierre Bergé arrivati in città nel 1967. “Non abbiamo più dimenticato quel risveglio mattutino, perché in qualche modo ha determinato il nostro destino” ricorderà Bergé nel suo libro di memorie Yves Saint-Laurent: une passion marocaine (2010).

Un luogo dove si incontrano arte e cinema
Dal 2017, l’hotel ospita 1-54 Marrakech, fiera di arte africana contemporanea (prossima edizione dal 5 all’8 febbraio 2026) e fra le esposizioni più recenti bisogna ricordare quella, nel 2024, delle sculture di Michel Bassompierre: undici grandi opere in bronzo e cristallo dedicate a specie animali in pericolo di estinzione. La Mamounia è anche la casa del Marrakech International Film Festival. Perché nella lunga storia dell’hotel, oltre a tanta arte, moda (Versace, Kenzo, Valentino, Jean Paul Gaultier), musica (è il posto dove nel 1969 Crosby, Stills & Nash composero Marrakesh Express; poi Jacques Brel, Elton John, Dalida, Rolling Stones…) e letteratura, c’è anche un posto particolare per il cinema. Fra tanti episodi, ricordiamo un momento cult per i cinefili: le scene de L’uomo che sapeva troppo (1956) girate da Alfred Hitchcock, con protagonisti James Steward e Doris Day. Inutile sottolineare che l’elenco delle star che vi hanno soggiornato, da Charlie Chaplin a Catherine Deneuve, è pressoché infinito.
Dario Bragaglia
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