Un anno dopo Assad – “La Siria firmerà gli Accordi di Abramo. Gli arabi temono più Hamas di Israele”: il racconto di Salim, ultimo ebreo di Damasco
- Postato il 8 dicembre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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Tutto quello che resta di Damasco, sta in questo antiquario dietro la moschea degli Omayyadi che trabocca di tappeti, stoffe, lumi, ceramiche, argenteria: tutto intorno, Assad non ha lasciato che povertà, e strade da periferia sovietica. Un’ora di elettricità al giorno, dai rubinetti un filo d’acqua che va e viene. Ma qui, il proprietario ha custodito tutto come un’arca di Noè. Sa tutto di tutto, e davanti a un tè, ti racconta ogni storia: è l’angolo più siriano di una Damasco che non ha più niente della Siria che fu. Ed è singolare. Perché è ebreo.
L’ultimo ebreo di Damasco. Si chiama Salim Hamadani. E in Siria, non ha mai avuto problemi. “Ma perché nella vita, se sei ricco non hai problemi”, dice. Neppure dopo Gaza. In tutto il mondo si parla di Gaza: tranne che qui. “Per gli arabi, i palestinesi sono sempre stati un peso e basta. Un fattore di instabilità. Non è certo un segreto. Ora, poi, i siriani temono che Hamas, che è stata a lungo di base a Damasco, venga a rifugiarsi qui. E si torni agli anni ’70. Né Hamas ha molto in comune con Ahmed al-Sharaa. Il nuovo presidente. Che è un islamista, sì, ma Hamas è sostenuta dall’Iran: che sosteneva Assad”, dice. “D’altra parte, chi vorrebbe mai un alleato così? Hamas non aveva detto niente a nessuno del 7 Ottobre. Ti svegli, una mattina: ed è tutto sottosopra”.
La verità, dice, è che gli arabi temono Hamas più di Israele. A un anno dalla caduta di Assad, la Siria è in ripresa, ma ancora in bilico. Ancora con molti fronti aperti. Gli alawiti, con i fedelissimi di Assad che a marzo hanno tentato una rivolta, i jihadisti, che controllano Idlib e Raqqa, i curdi, che vogliono l’autonomia, come anche i drusi, e soprattutto, l’economia, con il 90% dei siriani sotto la soglia di povertà: più Netanyahu. Da quando Israele ha istituito una sorta di buffer zone lungo il confine, allargandosi oltre il Golan, le incursioni dell’IDF sono continue. E a molti, ribolle il sangue. Perché fare i piromani con un paese che ha già mille focolai? Un paese allo stremo? Che sta ancora cercando gli scomparsi nelle fosse comuni?
Il 28 novembre, a Beit Jinn, per eliminare non meglio precisati miliziani di Hezbollah, l’IDF ha ucciso 13 siriani. “Ma onestamente, non penso che l’obiettivo di Netanyahu sia la destabilizzazione della Siria. Che in fondo, ora fa da argine all’Iran. Penso piuttosto che stia esercitando pressione per trattare, e ottenere una frontiera smilitarizzata. Anche perché per quanto la Siria sia fragile, in questo momento, e vulnerabile, al sud, tra il Golan e i drusi, che sono legati a Israele, c’è Daraa: c’è il Southern Front. Uno dei pilastri delle forze anti-Assad”, dice. “E penso che siano molti a pensarla così. Per questo nessuno reagisce. Perché è chiaro a tutti che è una trappola”. Dopo Beit Jinn, Ahmed al-Sharaa ha chiesto l’intervento dell’ONU. Nient’altro. Ha detto che Israele combatte fantasmi. Pericoli che non esistono. E che non esisteranno, ha detto. Sa che Netanyahu cerca la sua reazione.
Ma non solo nessuno reagisce: tutti pensano che si avrà la normalizzazione con Israele. Proprio ora che ti aspetteresti il contrario. E invece, qui nessuno ha dubbi. Prima o poi, la Siria firmerà gli Accordi di Abramo. “Ma forse, non è così strano”, dice. “Il 7 Ottobre, nessuno ha risposto all’appello di Hamas. Nessuno si è unito alla guerra. Neppure Hezbollah. Neutralizzata insieme ai suoi walkie-talkie senza avere mai davvero combattuto. Neppure l’Iran. E a tutti gli arabi è stato evidente quello che ai siriani era già evidente da tempo: che non erano che pedine. Che per gli Assad, i Gheddafi, i Saddam, l’opposizione a Israele non era che retorica: non era che un pretesto per imporre uno stato di emergenza permanente, e giustificare lo sfascio generale. E restare al potere”.
E in effetti, ha funzionato. Damasco è intatta. La guerra, qui, non è mai arrivata. Ma a ridosso del centro, c’è Yarmouk, in cui vivevano oltre 150mila dei 560mila palestinesi della Siria: ed è completamente in macerie. In proporzione, ha avuto più morti di Gaza. Ma a nessuno è mai importato. Perché Yarmouk era contro Assad. E Assad era contro Israele. O appunto. Così si diceva.
E il nemico del mio amico, no?, è il mio nemico. “Come ebreo, non ho mai avuto problemi con i siriani, ma con Assad: come tutti. Quando ero all’estero, la polizia passava subito da mio padre a dirgli che se non fossi tornato, gli avrebbero confiscato tutto. Perché era proibito emigrare. Eravamo circa 5mila: ed eravamo un’arma, per Assad. Merce di scambio. Eravamo ostaggi. Poi, nel 1992, quando la Siria fu sul punto di aderire agli Accordi di Oslo, il divieto fu abolito: e andarono via tutti. Come chiunque potesse”, dice. “Ebreo o meno”. E da allora, è rimasto solo.
Nel Jewish Quarter oggi non c’è che il rumore del vento. Gli ebrei sono tre, in realtà, ma con i suoi 64 anni, Salim Hamadani è il più giovane. E l’unico, diciamo, lucido.
Ma è rimasto solo nel senso che gli mancano anche i siriani. “Con Assad, è finito tutto. La Siria è tutta in macerie: anche quella che sembra intatta. Perché hai solo poveri, qui, impegnati a campare, o miliardari che hanno la casa a Damasco, sì, ma la vita a Dubai. A Parigi, a Londra. E comprano solo auto e donne. Non c’è più un cinema, un teatro, una libreria. Niente. Nessuno, qui, sa più dirti da dove viene uno di questi tappeti”, dice, iniziando a raccontarmi non solo la sua storia, ma la storia di tutti i suoi proprietari, uno a uno, come l’ultimo Sherazade: con cui da una storia all’altra, la Siria rivive.
Ha girato mezzo mondo: ma non è mai stato a Gerusalemme. Con Assad, era troppo rischioso. Sarebbe stato sospettato di essere del Mossad. E ora, dice, non è il momento. “Preferisco Beirut. Istanbul. Questa guerra per Israele è un suicidio. Non sta attaccando gli altri: sta attaccando se stessa. Un tempo, eravamo gli Einstein, i Kafka, i Freud. Ora, siamo ai vertici solo nei droni”, dice. “Voglio un’Israele grande. Non una grande Israele”. Molti israeliani, dico, hanno paura degli arabi. “Non hanno idea di cosa si perdono”.
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